Il buio quieto e familiare delle solite notti.
I passi raminghi delle ore solitarie.
Il silenzio frusciante del parco deserto.
Da qualche parte, qualcuno che conosce, scivola nell'incoscienza del sonno.
A lui, sembra di aver dormito per secoli interi...
Da qualche parte, qualcuno che conosce, sta appagando i propri languidi sensi.
Lui li ha appagati molte volte e in molte differenti maniere...
Da qualche parte, qualcuno che conosce, sta annegando le proprie inquietudini diurne in un vortice acido di luci strobo.
Se lui annegasse le proprie inquietudini, non gli resterebbe più nulla...
Passeggia mani in tasca, reclinando il capo a guardare un cielo muto e luminoso, freddo ed impeccabile sul capo, rotante punto fermo nella sua vaga esistenza.
I giorni scorrono, le costellazioni su di lui si alternano, ma la notte è sempre la stessa, gli parla senza voce e lui ascolta, cercando di capire, di giorno in giorno, il criptico messaggio che sta cercando d'inviargli.
Il parco riconosce i suoi passi, gli alberi il suo silenzio.
Tutto immobile attende che lui muova questi passi.
Al centro del parco la tonda fontana dalle acque spente accoglie stanotte il sogno stupito di un ragazzino intruso.
Uno che la notte non la vive, la uccide...
Sta lì in piedi, sul marmo macchiato di muschio, un sorriso dilatato e pupille immense, non guarda nemmeno il cielo, ondeggia su se stesso come sulle note della sua melodia personale.
Lui lo guarda, avvicinandosi con quel passo che non cambia mai.
Di preciso vede il riflesso del sorriso vuoto, e lo specchio delle pupille cieche, che non sanno cosa vedono.
Il movimento ondulatorio di quel corpo appeso alla notte, a cui pare che i fili stiano per essere recisi.
Il suo sguardo dovrebbe fermare quel suo ondeggiare, dovrebbe appuntarlo al cielo come una farfalla senza vita.
Cammina ancora verso il ragazzino, per cui lui nemmeno esiste, per cui non esiste altro, che quella melodia interiore che lo fa ondeggiare come un giunco.
Le costellazioni continuano a ruotare su di loro, al proprio ritmo.
Lui guarda altrove, guarda il ragazzino e il tempo che scorre e non si vede...
Dalle labbra dilatate del ragazzino esce un suono, estraneo a quella notte, un suono alieno, che trova la propria collocazione nell'evolversi del tempo di questa notte come le altre.
Lui ancora lo guarda, sta ondeggiando appeso ai suoi fili, al suono della sua melodia.
Fa un passo verso la fontana.
Allunga un braccio e copre la distanza che lo separa dal ragazzino, sfiora la stoffa della sua maglietta, la mano si apre come un ventaglio e i polpastrelli trovano la consistenza delle ossa sotto la maglia.
Premono, decisi.
Il ragazzino si rovescia nella fontana.
L'acqua si anima in un carnevale di spruzzi e gocce.
Le sfere perfette gli arrivano sul viso, lui si lecca le labbra e beve la fontana, guardando il ragazzino che agita braccia e gambe come una macchina ad acqua del parco reale.
Il sorriso è sempre dilatato, le pupille specchiano ancora il cielo, solo da una prospettiva differente...
Lui scavalca il bordo della fontana, acqua filtra attraverso le fibre dei suoi jeans e gli accarezza la pelle, lambendolo tiepida fino alle ginocchia.
Il carnevale di gocce del ragazzino continua mentre le costellazioni ancora girano, là sopra.
I polpastrelli si tendono di nuovo, hanno assaggiato la stoffa, ora cercano la carne.
La mano si apre di nuovo a ventaglio e mentre lui si cala, trova il collo bagnato del ragazzino.
I polpastrelli assaggiano la carne ora, lieve e umida, la sfiorano senza pressione, senza passione, la sfiorano, soltanto... Solo il braccio si tende, pochi centimetri alla volta.
L'acqua scivola sulla maschera del ragazzino, le pupille specchio, il sorriso dilatato, le narici protese.
Quando l'acqua finalmente le morde, una parata di bolle s'anima tutto intorno, e lui guarda le bolle, e guarda la maschera sotto la superficie, le ciglia spalancate sulle stelle che ruotano e ruotano, osservando pigre la parata di bolle...
L'acqua circuisce le sue ginocchia, lecca tiepida il suo polso, sotto la superficie torbida la parata di bolle prosegue, diseguale e continua, e lui osserva.
Dietro di lui, tra i cespugli, un fruscio agita la notte, un suono stridulo di caccia, uno schianto di morte e uno squittio di resa. I polpastrelli scivolano via, sazi della carne.
La parata di bolle sta scemando sola.
Lui si volta, scavalca il bordo della vasca e grondando rivoli di sensi affranti, assalta i cespugli, li scuote e li scosta, scopre il teatro e cerca gli attori.
Un gatto a macchie protesta indignato, mostra i denti, il pelo ritto e la coda gonfia, minaccia lui con i suoi occhi enormi pieni di notte e di stelle, ma lui non conosce minacce, sorride appena, la bestia ritira gli unghielli, soffia indispettita e balza via gnaulando offesa.
Un arco di pelo morbido e colorato.
Un arco indignato e torbido.
Tra le foglie, tra i fruscii, un grosso ratto grigio. Stremato, vinto, rassegnato, non muove un pelo nemmeno quando lui si avvicina ancora e si accoccola lì accanto, il gomito sul ginocchio, il capo appena reclinato.
Un occhio scuro e lucido lo guarda, e i baffi ispidi vibrano appena nell'aria.
Il respiro è pesante, le zampe al suolo resteranno e non ci saranno altre fughe.
Il ratto lo sta guardando, è una preda e lo sta guardando...impudica.
Lui allunga la mano, i polpastrelli trovano il pelo duro sporco di sangue.
La mano stringe la bestia, i polpastrelli accarezzano il pelo, il braccio raccoglie il peso e lui si rialza, portando con sé il ratto.
Nella fontana le stelle si riflettono immobili mentre nel cielo le costellazioni continuano il loro corso.
Negli occhi socchiusi del ratto le stelle vorticano di adrenalina.
Sotto la superficie dell'acqua, un'ombra scura aleggia ondeggiando alla sua melodia.
Lui riprende i suoi passi e la notte lo guarda accarezzare il ratto che riposa contro il suo petto.

Per la mia Kronemberghiana sorella.

di Nadja