Chiusa al buio, in una stanza con parenti dipinte di aghi, con pareti che si restringono ad ogni mio respiro, fisso il lento scorrere del tempo, accompagnata dai rintocchi di una campana immaginaria. Ogni mio tentativo di ribellione sarebbe vano, per cui resto qui, immobile.
Le mura si avvicinano al mio corpo e sento i fili che mi manipolano sempre più tesi.
Una fitta nebbia ricopre il volto del mio burattinaio; non riesco a guardarlo in volto, solo un’ombra imperfetta è ciò che mi è concesso ammirare.
Non so come sono giunta in questa scatola di cemento, non so neanche il perché.
Troppe sono le domande che ho smesso di pormi; troppe sono le cose che ho soppresso dentro di me. Sarebbe stato comunque inutile. Le risposte non sarebbero arrivate.
Questo freddo muro continua ad inghiottire lo spazio che ci separa, scortato da un rintocco.
“Perché il mio burattinaio mi lascia qui? Perché non mi salva?” Mi rifiuto all’idea di chiederglielo, non mi avrebbe risposto comunque. Nessuno può liberarmi. Ormai.
Un altro rintocco ed il mio regno continua a diminuire. Se potessi allungare il braccio, sfiorerei le mura, ma i fili sono tesi. I fili sono sempre tesi. Sento i suoi occhi su di me. Non vuole perdersi lo spettacolo; ed io glielo permetto.
L’aria inizia a mancare e le domande cominciano a sbattere nel mio cervello contro il mio volere. ”Perché mi torturate così?” Urlo ai miei pensieri.
Ascolto il mio respiro farsi sempre più pesante, provo a stabilizzarlo, ma non riesco; ci riprovo, ma ormai non è più possibile tranquillizzarlo.
Le lacrime scivolano via dagli occhi, una dopo l’altra iniziano a tagliarmi il viso, cadono fino al cuore, graffiandolo. Mi dilaniano l’anima; un’anima della quale avevo rimosso l’esistenza.
La misura del mio mondo continua a diminuire. La campana mi stava avvisando.
Avevo trovato la mia essenza poco prima di perderla.
Alzo gli occhi con rabbia, digrigno i denti, ed aspetto le mie risposte. “GUARDAMI! RISPONDIMI!” ruggisco al mio regista.
Scuoto la testa estirpando le lacrime che m’incendiano gli occhi, ma non ho nessuna intenzione di cedere.
Ricomincio a fissare il mio manovratore dove immagino tenga gli occhi. Il mio sguardo non tende ad abbassarsi.
Ad un certo punto, improvvisamente, la nebbia inizia a dissolversi, i fili perdono forza e le pareti si allontano.
Continuo a contemplare, sorpresa, i contorni, di quell’ombra scura, farsi sempre più netti; finché riesco a vedere il suo viso; ecco le sue labbra, il suo naso, ed ecco, eccoli lì i suoi occhi.
Un brivido freddo mi percorre lungo la schiena, non riesco a crederci, non può essere vero.
Quegli occhi li conosco. Quegli occhi sono i miei.

di MiciaOscura