Lampeggiando leggermente nel buio, la segreteria telefonica mi avvertiva del messaggio.
Posata la borsa con i documenti, spinsi il tasto con curiosità: capitava raramente che qualcuno mi telefonasse a casa, meno che mai in orario d'ufficio.
"Ciao Paolo, sono Demetra: vediamoci domani. Conosci la gelateria vicino alla Stazione? Ti aspetto alle cinque. A domani."
Era ovvio che, non conoscendo nessuna Demetra e non chiamandomi Paolo, il messaggio non era destinato a me. D'altronde l'annuncio che avevo lasciato sulla segreteria - Risponde il numero 541933, ... lasciate un messaggio... - poteva facilmente generare equivoci, soprattutto se all'altro apparecchio era una persona sbadata o frettolosa, come forse era Demetra. Che nome strano, Demetra. L'insignificante vicenda provocò nel mio animo un effetto altrettanto strano: nell'arco di poche ore crebbe gradualmente sino a divenire quasi devastante, rovinoso come una valanga.
La sera, a una cena di lavoro, per giustificare l'imperdonabile dimenticanza dei documenti lasciati distrattamente sul divano, raccontai il curioso episodio. Scherzammo sui possibili contrattempi che un tal genere di sbadataggine poteva provocare.
Tra una frase e l'altra, Paolo disse: "Non vorrai certo rinunciare a un appuntamento con una bella donna?" e gli altri furono d'accordo, qualcuno propose persino di prendere il mio posto. Così finì tutto in una risata: presto messo da parte, soffocato dalle discussioni sulla Borsa e sull'andamento dei mercati internazionali.
Uscendo, Paolo aggiunse: "Ricordati di portarmi i documenti; mi raccomando, domani sera parto per Londra e devo assolutamente averli con me. A domani."
"Spero di ricordarmene - risposi con tono scherzoso - stasera ho strani vuoti di memoria."
Demetra invece non riuscivo proprio a dimenticarla. Penetrare un'altra vita, appropriarmi di una donna e di un destino altrui, immergermi in un mondo sconosciuto, catturare - senza alcun riguardo - nuovi scorci di esistenza: erano diventate, pian piano, seduzioni ormai molto, troppo, forti. Non cercai neppure di intuire cosa mi stesse aspettando, non mi soffermai a valutare implicazioni e conseguenze: sognai, sognai tutta la notte ed erano sempre storie a forti tinte, che contribuirono ad accrescere il desiderio. I sogni proseguirono anche dopo il risveglio: come una gazzarra di tasselli che ostinatamente rifiutavano di comporsi in un mosaico, affollarono la mia mente per l'intera giornata. Alle quattro del pomeriggio, non avendo ancora trovato un qualche plausibile motivo per sottrarmi alla tentazione, mi preparai all'appuntamento.
Alle cinque, seduto al tavolino del bar, cominciavo a capire come fossi stato sventato e quanto inutile sarebbe stata l'attesa: non la conoscevo, né lei conosceva me - almeno credevo. In effetti, vista la scarsa clientela, forse qualche possibilità di incontro rimaneva: e poi ? Entravano ed uscivano pochi clienti: nessuna donna si sedette ai tavolini o si sporse a cercare, tra coni e affogati, un viso noto.
Dopo circa mezz'ora di attesa, un uomo anziano si avvicinò al mio tavolo; senza dire nulla, spostò una sedia, si accomodò e mi fissò per un attimo negli occhi. "Buon giorno. Disturbo ?" chiese infine con tono affabile. "Prego, prego" non potei fare a meno di rispondere. Le mie ormai poche speranze svanivano del tutto: ci mancava anche il terzo incomodo. Rimase in silenzio diverso tempo: osservava distrattamente la piazza, i piccioni, la mia ennesima coppa gelato, il cielo e il sole che stava preparandosi ad un dolce tramonto. Ma la mia anima, soprattutto la mia anima, fu l'oggetto su cui più a lungo posò lo sguardo.
"Non è venuta ? Peccato. Capita talvolta; anzi, capita spesso."
Sul momento non riuscii ad afferrare il discorso: eppure era schietto e puntuale, almeno quello. Accennai ad un contrattempo, a un malinteso, e ripresi a tuffarmi ritmicamente nel gelato.
"Non è che sia colpa sua, di lei intendo: le donne sono fatte così. E poi non è neppure colpa delle donne. E' la vita la grande ingannatrice."
"Non è che avessi proprio un appuntamento," dissi bruscamente. Poi aggiunsi con tono più disteso "speravo di incontrare qualcuno e invece..."
"Quante volte ci sediamo aspettando un qualsiasi imprecisato evento e, a dispetto di tutto, non riusciamo a vedere niente di nuovo attorno a noi ! "
Come fosse stato una diversa persona ad aprire bocca, sentii la mia voce chiedere precipitosamente: "Conosce forse una certa Demetra ?"
"Che nome strano, Demetra" rispose incuriosito. "No, non conosco nessuna con un nome tanto strano: me ne ricorderei certamente. Chi è ?"
Ormai il discorso tra noi scorreva tranquillo; gettata alle spalle un'assurda speranza, ritrovavo il piacere di un incontro cordiale. In poche parole spiegai l'equivoco e, sorvolando sugli oscuri istinti che mi avevano condotto all'appuntamento, dipinsi un passabile ritratto di fatuo maschio da spiaggia e me ne vergognai subito. Riuscì facilmente a scavare tra le mie parole e, soppesandole attentamente, a leggerne l'essenza.
"Cosa si aspettava in effetti ? "
"Non saprei: forse un altro destino... "
Sembrava strappare a forza brandelli di carne dal mio corpo. Era quella forse la penitenza: un dolore profondo e sottile, forse l'unico viatico per riprendere il cammino. Una confessione ?
"La vita è fatta di appuntamenti mancati. Non lo sapeva ?"
Silenzio. "In questo stesso bar, da giovane, ho atteso cento volte, mille persone diverse: non sono mai venute. Ma io sono qui, oggi come allora."
Silenzio. Comincio a pensare di avere a che fare con un esaltato: in due siamo troppi.
"Auguri. Spero che il desiderio di incontrare Demetra non la porti troppo lontano dal suo destino" disse alzandosi e portando la mano al cuore, in segno di affetto.
"Lo spero anch'io: adesso lo spero davvero. Non so neppure perché..."
Il proiettile partì con un rimbombo terribile: un fuoco d'artificio.
Attonito, seguii tutta la sua traiettoria: dalla rossa corolla di fiamme che l'aveva generato, sino al mio viso.
Sentendo la mia anima esplodere, mi chiesi ancora il perché.

di Alessio Robotti