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Non mi permettono di vedere la mia bambina.
George osserva la donna di fronte a lui: due grandi occhi arrossati,
secche labbra sottili screpolate dalle lacrime. E occhiaie, enormi, a
deturparle il volto.
Non vogliono che la veda la mia bambina.
I singhiozzi sembrano dilaniarle l'anima, il petto lieve sussulta,
piccole gocce di sudore le rigano la fronte. Difficile ammettere che
abbia ancora diciannove anni. Debora, la piccola Debora dagli occhi
azzurri.
Devi avere pazienza, le ripete lui, Sto facendo il possibile. Presto la
porteranno da te. Devi avere pazienza
Un pigiama slabbrato tre taglie pi grande, capelli corti e biondi, una
bellezza mascherata da rughe premature. La piccola Debora dai polsi
sottili che batte i deboli pugni sul tavolo. Il resto dell'ospedale
immerso nel silenzio.
George prende la valigetta dal pavimento, l'adagia sul tavolo, fa
scorrere la sicura e lascia che si apra di fronte a lui. Debora lo
osserva spenta, le braccia incrociate sul seno ancora ansante, due
ciocche bionde come carezze sulle ciglia.
Ora devi pensare a stare bene, i documenti per la richiesta sono qui,
sono gia pronti. Ma se non ti lasci curare sarà tutto inutile.
Rimette in ordine, si alza, tende una mano verso la ragazza. Lei non la
nota neppure. In silenzio George lascia la stanza.
Debora rimane immobile, con il vuoto dentro, o una serie di sensazioni
cos forti da annullarsi a vicenda. Le labbra tremanti che in un sussurro
chiedono la sua bambina, almeno per un attimo, la sua bambina tra le
braccia.
Tutto attorno il silenzio ed il tramonto.
Sono mesi che nessuno fa più visita a Debora. Lei rimane nella sua camera,
per farla mangiare bisogna imboccarla. Ogni tanto chiede di lei, della
sua bambina, ma le infermiere le dicono che non ci sono bambine che lei
possa vedere. Allora Debora piange, in silenzio. Poi s'addormenta.
E' l'alba e Debora apre gli occhi. Per quanto abbia dormito, per quanto
sia stata stesa a riposare nel letto, ancora stanca. Non si muove quasi
più.
Ad un tratto la porta si apre. Un rumore sordo e George entra in camera.
Finalmente, Debora, ci sono riuscito. E' qui, se vuoi puoi vederla subito.
Un sorriso dopo anni, una lacrima veloce sulla guancia destra. Si
solleva e si siede con fatica sul bordo del letto. Apre le braccia: La
mia bambina, finalmente.
Dopo alcune ore ancora lì. Suoni senza senso fuoriescono dalla sua bocca
sorridente sottoforma di canto. Culla la sua piccola, tra le braccia
pallide e avvizzite. E nell'istituto di psichiatria non si sente altro.
La giovane Debora che culla fra le braccia una bambola di pezza
di Francesco Morga
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