Ille mi par esse deo videtur,
ille, si fas est, superare divos
qui sedens adversus identidem te
spectat et audit
dulce ridentem, misero quod omnes
eripit sensus mihi: nam simul te,
Lesbia, aspexi, nihil est super mi
vocis in ore;
lingua sed torpet, tenuis sub artus
flamma demanat, sonitu suopte
tintinnant aures, gemina teguntur
lumina nocte
( Catullo,carme 51)*

“Professore, venga a vedere! Abbiamo trovato qualcosa”
Il tono di urgenza nella voce del ragazzo indusse il professor Carli a lasciare immediatamente il bollettino che stava compilando per affacciarsi sull’area degli scavi.
All’interno della trincea aperta nel terreno, il ragazzo che lo aveva chiamato, uno dei suoi sette assistenti, indicava qualcosa che emergeva appena dalla polvere. Qualcosa di bianco e levigato… sicuramente un manufatto marmoreo, con un po’ di fortuna una statua, magari.
Il professor Carli sentì il cuore accelelerare i battiti. Durante gli otto mesi della campagna archeologica in corso erano emersi solo numerosi frammenti di terraglia, due vasi campaniformi di poco valore e qualche piccolo oggetto in bronzo.
Con mano ferma, nonostante il tremito di eccitazione che lo agitava, liberò con tocchi delicati di pennello una piccola porzione di marmo dal terriccio che lo ricopriva.
Emerse un naso. Un aristocratico, diritto, naso di donna, dalle narici finemente cesellate.
Tutti gli assistenti, assiepatisi intorno al professore, trattennero il fiato mentre lui, con la fronte imperlata di sudore sotto il sole cocente, continuava a spennellare via la polvere con movimenti precisi e misurati e dallo scavo rivedeva la luce prima un viso, poi un intero busto.
Integro. Perfettamente conservato. Splendido.
Si levò un applauso scrosciante accompagnato da espressioni di giubilo.Quell’unico, pregevole ritrovamento valeva l’intera campagna di scavi.
Il pomeriggio del giorno successivo il busto era già stato completamente ripulito e lavato e faceva bella mostra di se sul tavolo del gabinetto di restauro del Museo Archeologico di Napoli, in attesa di essere catalogato e studiato.
Il professor Carli, le punte delle dita congiunte, scrutava quel tesoro prezioso emerso dal passato, ammirandone la perfezione. Il viso era ovale, un po’ paffuto, indice probabilmente di giovane età, il naso piccolo e sottile, gli occhi grandi, con le palpebre pesanti, che conferivano un’espressione vagamente malinconica al volto, le labbra carnose arricciate nell’ombra di un sorriso. Il tutto poggiava su un collo lungo ed esile, con una leggera torsione verso destra, mentre le spalle erano strette e rotonde, i seni minuscoli e conici.
“Chi sei?” mormorò il professore, sfiorando la superficie fredda e serica del marmo.
Provò ad immaginare come doveva essere la modella da viva. Una giovane nobildonna oppure una plebea arricchita?
Scosse la testa. No, quei lineamenti così fini dovevano appartenere sicuramente ad un‘aristocratica di nascita. Quel sorriso appena accennato, quasi altero, ostentava una calma sicurezza di se che poteva appartenere solo ad una persona adusa a vedere il mondo ai propri piedi. Probabilmente la moglie di un senatore che aveva voluto che il volto di lei fosse fermato per l’eternità nel marmo pregiato di Paro.
La voce del professor Biagini alle sue spalle lo fece sobbalzare violentemente come se fosse stato schiaffeggiato.
“Di che epoca credi che sia, Vincenzo?”
Carli si schiarì la voce.
“Cesariana, al massimo augustea, direi, a giudicare dall’acconciatura.
Sembrerebbe opera di un neoattico, per quanto sia evidente un intento ritrattistico al di là della idealizzazione dei tratti”
Il professor Biagini inarcò un sopracciglio, pensoso.
“E’ un oggetto molto raffinato. Pensi a maestranze locali?”
“No, probabilmente viene da Roma. Un ritratto su commissione portato qui per abbellire una villa patrizia”
“Eppure l’avete ritrovato in un’area lontanissima dalla zona delle ville. Ci hai pensato? Un bel mistero!”
“Chissà… Magari un ladro…”
Francesco Biagini scoppiò a ridere.
“Arsenio Lupin del primo secolo avanti Cristo?”
“O un amante che voleva per se il ritratto dell’amata…”
Biagini rise più forte.
“Come sei romantico, Vincenzo! Non ti ci facevo…”
Vincenzo Carli arrossì. Era un quarantottenne in buono stato di conservazione, come amava autodefinirsi, che aveva dedicato al lavoro l’intera esistenza, sacrificando la vita affettiva sull’altare della carriera accademica, e non aveva mai avuto tempo per le romanticherie dei comuni mortali.
In ascetica solitudine coltivava i suoi studi, l’unica cosa che fino a quel momento avessero riscosso il suo interesse.
Eppure da qualche tempo avvertiva un vago senso di vuoto, come se gli mancasse qualcosa. Forse era un’incipiente crisi di mezza età o la nostalgia di un bene che non aveva mai conosciuto. O forse era semplicemente stanco per il superlavoro cui si sottoponeva.
“Quando avete intenzione di presentare al pubblico il nuovo reperto, voi del Museo?” tagliò corto, con tono risentito.
“ Non appena sarà catalogato e studiato. Indiremo una conferenza per addetti ai lavori cui sarà invitata a partecipare la stampa”
“Bene. Tra due mesi, due mesi e mezzo al più tardi, sarà tutto pronto”
E così per sessantasette giorni si dedicò anima e corpo allo studio del busto marmoreo ed alla stesura della relazione sul ritrovamento. Avrebbe potuto tranquillamente farlo all’Università o tra le comodità del suo appartamento in via Petrarca, tuttavia preferiva scrivere sul suo portatile nel silenzio polveroso del gabinetto di restauro, avendo sempre dinanzi a se quel volto femminile perfetto. Aveva ribattezzato confidenzialmente Lesbia la donna del ritratto ed era solito rivolgersi a lei in tono complice, come ad una persona reale.
Di tanto in tanto gli sfuggivano espressioni tipo “Ciao, tesoro. Come stai oggi?” o “Diventi ogni giorno più bella”, di cui si stupiva per primo, a volte vergognandosene un po’.
Un giorno si spinse ad accarezzarle un seno, sfiorando con le dita il capezzolo appuntito ed immaginando la sensazione della carne viva e calda sulla sua mano. Un principio di erezione lo colse alla sprovvista, lasciandolo a disagio e confuso. Ritrasse di scatto la mano, come se si fosse scottato, con il cuore che gli rimbombava dentro le orecchie.
Il ritratto sembrava fissarlo con sguardo ambiguo da sotto le palpebre abbassate.
“Ma chi sei? - mormorò ancora - Quanti uomini hai condotto alla dannazione con la tua bellezza?"
Sentendosi immensamente stupido ricoprì il busto con un telo e continuò alacremente a scrivere,nel tentativo di scordare l’imbarazzante episodio che, tuttavia, continuava a ripresentarsi alle soglie della memoria. Cosa avrebbero pensato di lui gli stimati colleghi se l’avessero colto a gingillarsi in pensieri erotici con una statua di marmo?
Il giorno della conferenza stampa il professor Vincenzo Carli fu come sempre competente, preciso ed esaustivo nell’esporre a colleghi e giornalisti i risultati della campagna di scavo e nel presentare il busto marmoreo raggiunse addirittura vette di inaspettato lirismo.
Nessuno notò che evitava di guardare il ritratto e che i suoi occhi avevano una sfumatura di malinconia Più tardi, durante il rinfresco di rito, si avvicinò a Marianna Del re, trentanovenne codocente di archeologia romana all’Università e single incallita, e raccogliendo il coraggio a quattro mani la invitò per un drink l’indomani pomeriggio.
Non tornò più nella saletta del Museo dove era esposto il ritratto Non avrebbe potuto sopportare il suo sguardo di muto rimprovero.

* traduzione: mi sembra simile agli dei, ed anzi superiore, colui che, standoti seduto di fronte, ti guarda ed ascolta la tua dolce risata, cosa che a me infelice sconvolge tutti i sensi ; infatti, o Lesbia, non appena ti vedo la voce mi muore in gola, la lingua si paralizza, una penetrante sensazione di calore mi corre per le membra, le orecchie rimbombano per il ronzio interno, entrambi gli occhi sono ottenebrati dalla notte

di Vareno