[ « indietro ]     Con la mia mano sporca di sangue afferrai dolcemente quell’anima intimorita dall’avvenimento crudele, traumatizzata da tutto ciò che la circondava, cadde in deliquio, la caricai sulle mie spalle possenti e con passo pesante, mi dissolsi solitario nelle grandi foreste. Lasciai i miei uomini senza pensare più a loro, ce l’avrebbero fatta comunque senza di me, abbandonai la mia patria, le mie terre, le mie conquiste, le mie ambizioni, il tutto svanì nel nulla, quelle speranze di cui avevo sempre creduto, di quei sogni che avrei dovuto realizzare si disciolsero nel vento. Fui stregato da quello spirito.
Continuava il mio cammino, la mia fuga, per giorni e notti, senza sosta verso un luogo lontano, sconosciuto, dove nessuno mai poteva cercarci, dove nessuno mai avrebbe messo in pericolo la vita di quel mio angelo fatato. La nostra corsa affannosa terminò sulla cima più alta di quelle terre mai visitate, mai conquistate, in un bosco innevato, quale regnava permanentemente il gelo, avremmo vissuto per sempre lì, in piena solitudine. Trovammo rifugio al di sotto di un enorme albero, tana abbandonata da qualche orso. Lei mi seguiva mano nella mano senza aver mai detto una sola parola, non conoscevo il suo nome, forse non capiva la mia lingua, forse era ancora traumatizzata dall’accaduto o forse Odino non li aveva concesso la parola, comunque le diedi un nome, la chiamai Enya, dea della vittoria, della bellezza, della magia, della speranza. Passavano i giorni e passavano le notti, andavo a caccia, lei mi aiutava nei lavori. Riuscimmo a trasformare quel piccolo rifugio in una baita molto confortevole, con un bel camino che riscaldava l’ambiente. Mi domandavo come mai non pensasse mai di fuggire, rimaneva sempre al mio fianco, ovunque io andavo. La mia vita cambiò totalmente, cominciai a provare una strana sensazione verso di lei, che veniva chiamata forse amore, come avevo sentito definire dalla mia gente, una sensazione inspiegabile, una sensazione che cresceva giorno per giorno, forse la provava anche lei! Chissà! Molte notti, mi tormentavano quei ricordi passati, mio padre, il mio popolo. Vivevano ancora! Quale destino guidava la loro vita. E la mia, chi la guidava. Vi svegliavo sempre con questi pensieri. Sondavamo le profondità dei nostri occhi e nel suo sorriso, ritrovai la serenità interiore, come se avessi cominciato un’altra vita, dimenticando quella passata, lontana dall’abitudine dell’esteriorità. All’imbrunir del sole, e al levarsi della luna, rientravamo nel nostro rifugio, lontani dagli ululati dei lupi che riecheggiavano ogni notte tra le cime dei monti, il vento che ti pungeva e soffiava tra gli alti pioppi ed abeti. Quella sera faceva molto freddo, fuori nevicava, nonostante coperti dalle pellicce che scaldavano i nostri corpi, accesi il camino, appesi il pentolone sul focolare per riscaldare del cibo e mi sedetti dinanzi a focolare. Si affiancò lei, fata angelica, si mise al mio fianco, fissando le fiamme che ardevano, mi sentii un brivido che mi trapassava il corpo, un’emozione strana come se le fiamme bruciavano in me. Girai lo sguardo verso di lei, girò anch'essa il suo sguardo verso di me, i nostri occhi volevano esprimere qualcosa, in quelle espressioni profondi si riflettevano quelle fiamme, fiamme di passione, d’amore, la abbracciai, la strinsi possentemente a me, le accarezzai quei suoi capelli soffici e delicati, quel suo viso vellutato, e inconsapevolmente mi avvicinai alle sue labbra baciandola. Tutto si svolse spontaneamente, il mio cuore palpitava come non mai, ero felicissimo. Lei con occhi lucidi mi strinse forte, si avvicinò al mio orecchio, sentivo il suo respiro caldo che faceva rabbrividire la mia pelle, la sentii sussurrare, - “Ti amo con tutta me stessa”-. Mi slegai da quell’abbraccio, mi sembrava quasi un sogno, non poteva essere vero. Rimasi sorpreso: forse qualche spirito maligno si voleva prendere gioco di me! La guardavo immobile, non riuscivo a dire nulla, i miei pensieri erano avvolti da mille supposizioni, quelle parole entrarono nella mia anima travolgendola in un turbine di paure. E lei mi chiese a cosa stessi pensando, cosa mi fosse successo. Rinvenni con la mente e gli chiesi - perché non mi avevi mai detto niente finora? E lei mi disse che non sapeva dare una risposta a ciò che le era successo, ricordava solamente che viveva in un’altra vita, in un altro mondo, fino a quando io non l’avevo salvata. Non ricordava mai di aver parlato fino ad allora, ricordava solamente tutto quel sangue che cadeva per terra, i suoi genitori che venivano uccisi, e lei si era rifugiata sotto una macchia, aveva chiuso gli occhi e quando gli aveva riaperti, era in un'altra vita, in un mondo che aveva sempre desiderato, sognato, vagheggiato con i pensieri. Le dissi che aveva fatto solo un brutto sogno e la consolai dicendole di non pensarci più, di vivere serenamente quest’altra vita che le era stata offerta.
Ci stringemmo di nuovo, fino a sentirci un unico essere, un’unica anima, un unico spirito, ci sdraiammo accanto al focolare che ardeva per noi, vivendo attimi unici, attimi che sarebbero continuati per sempre, in quella nuova realtà, nella quale il fato ci avrebbe protetto sino alla fine dei nostri giorni. E così che finisco di raccontare questa mia vita stupenda, una vita colma di vere emozioni, di felicità e di tristezza; in questo momento che non sei più con me. Serenamente rammento quei bellissimi ricordi passati insieme, aspettando che si spenga quella fiamma che ha bruciato per tanto tempo riaccendendola per sempre in quell’altra vita con te. A presto amore mio!


di Cagliostro