[ « indietro ]     Si girò sorridendo dolcemente.
-Perché io esisto solo attraverso i sorrisi della gente.- infine attraversò la porta, accettando a se stessa le immense sofferenze che avrebbe presto provato.
-Non puoi metterti contro un dio, non sei così potente!- le gridò il Demonio.
Serena si arrestò e girò il viso di novanta gradi.
-Ancora no, ma quel giorno arriverà presto.- detto questo iniziò a correre giù per le scale, saltò il buco e si gettò tra le braccia di Federico.
Gli si strinse forte al petto per poter provare, anche solo per un minuto, quella sicurezza e quell'innocenza che una sorella può provare verso un fratello maggiore.
Quella bambina nascosta nel suo intimo era nata quando Anghells si era mostrata, era probabilmente l'unico suo residuo di umanità.
-Va tutto bene?- chiese Federico.
Serena si ricompose, si ripulì con una mano il viso dalle lacrime e risollevando il volto sorridente e mostrando splendidi occhi azzurri, ancora un po' lucidi, rispose:
-Certo!-
Federico la osservava perplesso, i dubbi gli si affollavano più insistentemente nella testa, eppure la verità gli sembrava più vicina.
-Forza! Usciamo di qui, andiamo a vedere se ci sono ancora quei due!- disse mostrando nuovamente un sorriso, poi inizio a scendere le scale con calma.
Federico la seguì senza fiatare.
Tutto era tornato calmo, il vento non c'era più e la notte sembrava apparentemente più serena.
Dei bambini non c'era traccia, probabilmente erano svaniti per nascondersi.
Non erano nei pensieri di Serena per il momento; niente sovviene più del futuro a un nuovo carcerato e i suoi pensieri sono tutti negativi.
Non appena uscirono dall' edificio, si accorsero che non era ancora finita.
Nel buio s'intravedevano delle figure umane malridotte e deformate e in fondo, ritto sul muro di cinta, Satana avvolto nelle sue eterne tenebre.
Quest'ultimo levò un braccio verso Serena e, improvvisamente, la ragazza si ritrovo sbattuta con violenza contro il muro del palazzo.
Si rialzò a fatica, la schiena era tutta un dolore.
Era presto per usare i nuovi poteri, ma non ne sarebbe uscita senza. Satana l'aveva provocata per far uscire Anghells e lei non vedeva l'ora di farlo.
-Fede, corri verso l'uscita, non pensare a me, ti coprirò le spalle. -disse con qualche sforzo per il dolore.
-Ma che dici? -
-Fai come ti ho detto! Corri!- la rabbia era tale che Federico vide quegli occhi azzurri mutare, per un secondo, in un rosso acceso.
Impaurito e confuso, seguì l'ordine di Serena e cominciò a correre a più non posso.
Fu come se il tempo si fermasse.
Serena chiuse gli occhi e, in quell'istante, Anghells si sostituì alla bambina scaraventandola nelle tenebre, nel gelo.
Nella sua mano destra fece apparire il lungo bastone alle cui estremità stavano delle punte di diamante.
Le palpebre si risollevarono mostrando un rosso vermiglio scintillante; le labbra si allungarono verso sinistra in una sorriso insano: l'angelo dell'inferno era sceso in terra.
Scattò in aria con una velocità impressionante; quell'essere che, fino a poco prima temeva per la debolezza dei suoi nuovi poteri, ora padroneggiava una forza sovrumana.
Gli zombi erano diventati, improvvisamente, giocatoli troppo facili da rompere.
Era una sensazione esaltante, un misto di ebbrezza e follia. Si sentiva libera da tutto, e... felice. Niente, nessun freno la teneva; una macabra danza travolgeva le fragili figure maligne.
Federico era ancora più scosso, attanagliato dal terrore. Non sapeva più se stava scappando dagli zombi o da quella risatina che l'aria faceva penetrare nel cuore degli uomini come aculei affilati.
Qualcosa dentro di sé gli fece girare il capo.
Come un falco che avvista la preda, Serena volò in picchiata verso l'amico ridendo ancora più forte e più stridentemente.
Un groppo alla gola lo assalì, il sangue si gelò nelle vene, gli arti sembravano immobilizzati.
Le gambe gli cedettero e cadde indietro.
Serena appoggiò appena un piede a terra solo per spingersi di nuovo in aria per ricominciare il secondo atto del suo oscuro balletto.
Federico, tremante e agitato, si rialzò in tutta fretta da terra e ricominciò a correre verso l'uscita.
Quando oltrepasso la cinta muraria, cadde in ginocchio stremato.
S'accorse che non c'era nessun rumore oltre al suo respiro agitato. Si voltò un po' insicuro e vide, in mezzo a mille montagnole scure, il corpo di Serena, comodamente adagiato a terra qualche metro dietro a lui.
Le si accostò pian piano e le spostò i lunghi capelli castano chiaro che le avvolgevano dolcemente il volto.
Un espressione beata le solcava il viso, sembrava una bambina addormentata dopo aver giocato tanto.
Notò una cosa strana: al tatto era fredda, quasi fosse stata a una temperatura di 10° vestita com'era con quei jeans chiari e quella canotta nera.
Lentamente riaprì gli occhi, l'azzurro dell'iride sembrava più scintillante ed trasmetteva una delicatezza e una pace inusuali.
-Stai bene.- sussurrò Serena.
-Si...certo, e tu?-
-Un po' scossa, agitata, ma ora è finito.-
Federico sorrise.
-Forza alzati. Gli altri due scooter non ci sono più. Andiamo.- detto questo le prese saldamente la mano sinistra e la sollevò in piedi.
Serena arrivò a casa pochi minuti più tardi. Sua madre era in sala ad aspettarla davanti alla tv. Non appena la vide, allontanò con un piede la sedia dalla gambe e si sollevò pesantemente dalla poltrona per venirle incontro.
-Ah! Ciao Serena. Sei venuta a casa un po' tardino, eh?- disse con quella voce leggermente ironica
- Dei tuoi amici sono venuti e mi hanno chiesto di dirti, quando fossi rientrata, di raggiungerli sulla terrazza del condominio.- concluse indicando in alto con l'indice tozzo.
-Chi?-
-Non lo so. Non li conosco, però sono dei tuoi amici. Hanno insistito che te lo dicessi e io l' ho fatto.-
-Va bene, vado.-
-Torna presto, cara!
Serena prese dalla ciotola di ferro le chiavi che aveva appena posate e sparì dietro alla di nuovo dietro la porta blindata in legno scuro.
Scese dall'ascensore ancora con gli occhi persi nel vuoto. Non capiva chi l'aveva chiamata a quell'ora sulla terrazza del condominio né il perché.
Salì le ultime due rampe di scale e attraversò il corridoio che dava sugli stenditoi. Con le ultime forze spostò il chiavistello arrugginito della porta che dava sulla terrazza.
Appena varcò la soglia vide un gruppo di ragazzi che sembravano avere la sua età, eppure non li conosceva. I volti, illuminati dalla luce lunare, erano pallidi, soprattutto rispetto a quelle labbra più rosate.
La fissavano cupamente, finché uno di loro si fece avanti con decisione.
-Allora sei tu, Anghells! Non si direbbe da quel faccino! Comunque sono venuto per parlarti, mi chiamo Liut, figlio di Nerio, il capo del maggiore clan di vampiri- disse allungandole una mano.


di Serena Pirazzi