[ « indietro ]     Sorrideva. Fu un istante durato un'eternità come un film alla moviola. Egidio diede uno strattone secco ai comandi e guidò il muso dell'escavatore verso sinistra. Il mezzo meccanico si trovò per una frazione di secondo in bilico sullo scavo con i cingoli ortogonali al pendio, poi sfuggì dal suo baricentro e si rovesci su di un lato. I montanti della cabina di guida si deformarono come se fossero stati di gomma. Uno di essi si piegò sul collo di Egidio spezzandoglielo. Francesco si scoprì a tenere gli occhi chiusi, ma quando se ne accorse erano trascorsi più di dieci minuti. Attorno a lui si erano radunati alcuni curiosi. Qualcuno gridava di chiamare un'ambulanza. Tutto gli scorreva davanti agli occhi senza che riuscisse a provare un'emozione ben definita. Quando tirarono fuori Egidio dalle lamiere dell'abitacolo, Francesco ebbe il coraggio di avvicinarsi. Non avrebbe mai più dimenticato l'espressione dei suoi occhi: erano gli occhi di un uomo che aveva visto la Luce. Era come se, improvvisamente, dopo una vita trascorsa nel dubbio di vissuti quotidiani senza significato, avesse trovato finalmente una risposta a tutto quanto. Quella sera, il Tg regionale mandò in onda una scena patetica. Su tutti gli schermi comparve il Sindaco con lo sguardo contrito. Con lui c'erano la moglie di Egidio ed i suoi due figli. Il primo cittadino disse le parole che si convenivano per la circostanza. Aveva gli occhi apparentemente umidi. Dopo anni di esperienza e di campagne elettorali trascorse a predicare negli ospedali e negli ospizi era capace di farsi uscire litri di lacrime a comando. Disse che la cittadinanza e le istituzioni erano vicini alla famiglia del povero Egidio, che avrebbe garantito ai superstiti un adeguato risarcimento ed una rendita vitalizia (cosa che per Legge spettava di diritto alla famiglia senza che dovesse muovere un solo dito), che i lavori sarebbero proseguiti ugualmente e che sarebbero state prese misure di sicurezza straordinarie affinchè non si fossero più ripetuti incidenti del genere. Il cantiere restò sotto sequestro per un mese buono. Intanto erano intervenute forti precipitazioni che avrebbero reso disagevole il lavoro delle maestranze al momento della ripresa. Quando, per la seconda volta, lo scavo fu riaperto dovettero pompare via metri cubi di acqua e fanghiglia accumulatisi durante le giornate di maltempo. Francesco aveva chiesto di essere trasferito ad un altro cantiere ma in quel momento l'Impresa non aveva tecnici disponibili in sua vece e fu costretto a rimanere. In una settimana fu gettato un numero impressionante di micropali. Era necessario per far s che venissero elevati in sicurezza i muri in calcestruzzo dell'autosilo, partendo dal fondo dello scavo. Nella settimana successiva fu costruito un cordolo di perimetro sulla testa dei pali e questi ultimi furono ancorati con tiranti di acciaio. Durante una di quelle notti successive alla riapertura del cantiere, il Sindaco fece un brutto sogno. Stava nella sua autovettura, una Mercedes nuova fiammante, che il comune metteva a sua disposizione, nonostante il magro bilancio di quegli anni. La giornata era serena, l'aria più limpida che mai, ed i pettirossi cinguettavano allegri sui rami del viale che portava all'autosilo. La grande opera pubblica, da lui tanto caldeggiata e sponsorizzata stava proprio l, davanti ai suoi occhi. Passò una tessera magnetica e la sbarra si sollevò. Arrivò ad un grande nastro teso, attorno al quale si era accalcata una piccola folla di persone sorridenti. Lui scese dall'autovettura e lo tagli. Tutti esultarono. L'atmosfera era follemente radiosa ed il Sindaco si sentiva al settimo cielo. Quando si voltò per tornare nella sua auto, vide sua moglie che lo salutava da lontano, dietro la sbarra d'ingresso. Lui ricambi il saluto con un ampio gesto e si accorse che la donna stava piangendo. Aveva tutta l'impressione di un addio, ma lui non vi fece molto caso. Rientrò nella Mercedes fiammante e si fece inghiottire dall'autosilo. Mentre scendeva lungo la rampa elicoidale cercò un posteggio, il suo posteggio, a lui riservato per novant'anni, fino a prelazione del Comune. Novant'anni erano tanti. Lo avrebbero potuto usare anche i suoi figli se mai ne avesse avuti. Sua moglie era morta molti anni prima e non avevano fatto in tempo. Lo trovò. Accostò lentamente al muro e spense il motore. Tutto era perfetto. Estrasse le chiavi dal cruscotto e sollevò la leva di apertura della portiera. Nulla. Provò nuovamente ma la porta della Mercedes restò saldamente chiusa. Insistette per due o tre volte. Diede una serie di spallate cercando di forzarla ma si accorse che il suo sforzo risultava inefficace anche se veniva accompagnato da una strana oscillazione laterale della vettura, simile ad un terremoto. Si bloccò e vide attraverso il cristallo anteriore che la struttura portante del parcheggio stava ondeggiando paurosamente. I solai si flettevano deformandosi ed i pilastri si piegavano seguendo l'inerzia ondulatoria di tutta la costruzione. Fu preso da un profondo terrore e cominci a gridare battendo i pugni contro i vetri. Afferrò la ventiquattrore con gli spigoli rinforzati in lamierino dorato e cominci a sbatterla contro il parabrezza. Nulla. Tutto sembrava muoversi con la velocità di in una danza del ventre eseguita dentro l'acqua. Ebbe l'impressione che il solaio in cemento armato si stesse abbassando pericolosamente sopra la sua testa. I pilastri sembravano piegarsi sotto il peso di una massa ponderosa e incontenibile. Quando se ne avvide cominci ad urlare ma le sue grida erano ovattate dal materiale imbottito dei sedili e delle finiture lussuose della sua macchina. L'enorme piastra in cemento armato che costituiva la copertura superiore del silo era sempre più vicina. Gridò e gridò ancora fino a quando puntellando le mani sul tetto della Mercedes ebbe l'illusione che sarebbe riuscito ad evitare di venire schiacciato come una sardina in scatola. Ormai non vedeva più la luce, ed il senso di claustrofobia lo annientò. Sentì un rumore sordo e per un attimo gli parve di vedere i montanti dei finestrini che si piegavano come quelli della pala meccanica guidata da Egidio. Si svegli di soprassalto. Il cuscino era impregnato di sudore. Il cuore gli batteva a mille. Era da solo, nel suo letto matrimoniale; solo ma ancora vivo. Quella dopo, fu una mattinata grigia. Le nubi erano sospinte dallo scirocco, che a qui Genova si contende con la tramontana il possesso del cielo per buona parte dell'anno. Francesco era immerso nei suoi calcoli ed aspettava l'arrivo dell'autobotte per il getto dell'ultimo solaio, quello appoggiato sul cordolo in testa ai pali. Il mezzo ritardava e decise di uscire a dare un'occhiata. Il suo oroscopo quella mattina dava una serie di ammonimenti e scriveva: "Attenzione a ci che avete tenuto davanti agli occhi per lungo tempo: non corrisponde a verità." Francesco non credeva agli oroscopi, ma ci che accadde quella mattina lo indusse in futuro ad un ripensamento. Mentre sostava sul cancello, in attesa dell'autobetoniera, gli parve di sentire un rumore simile allo schiocco di una frusta. Ne seguì un altro a distanza di pochi secondi e poi un altro ancora. Poi un crepitio cupo e prolungato. Infine una serie di tonfi riverberanti che sembravano provenire dal centro della terra. Camminò velocemente verso la fonte di quei rumori e si rese conto che provenivano dalla struttura dell'autosilo. Davanti ai suoi occhi si present uno spettacolo apocalittico: il cordolo in cemento armato si stava sgretolando. I tiranti in acciaio si stavano sfilando ad uno ad uno dal terreno e le piastre imbullonate volavano via come schegge. I pali crollavano come birilli colpiti in pieno da una palla da bowling, ed alcuni di essi stavano sprofondando attraverso profondi crepe apertesi nel solaio di fondazione. Francesco corse in ufficio, dove aveva lasciato il telefono cellulare. Nel giro di pochi minuti arrivarono le forze dell'ordine seguite a ruota da alcuni mezzi dei vigili del fuoco. Lo spettacolo che si present davanti ai loro occhi era raggelante. Le paratie laterali erano crollate come un castello di carte portandosi dietro i due solai intermedi. Il terreno perimetrale, ormai libero da vincoli, stava a poco a poco franando sulla struttura divelta riempiendo lo scavo di materiale fangoso. Francesco si chiese come quella costruzione solidalmente ancorata alla roccia fosse potuta crollare come un cucchiaino infilato in una coppa gelato messa a squagliarsi sotto il sole. Dopo alcuni giorni ebbe la risposta. Furono chiamati i progettisti e l'ingegnere che aveva redatto il progetto esecutivo. Scoprirono che le copie dei disegni che Francesco teneva sul tecnigrafo di cantiere erano di gran lunga differenti dal progetto originario, di cui una copia stava nell'ufficio dell'ingegnere e l'altra negli uffici tecnici del Comune. Tutte le copie del progetto erano firmate e timbrate dal progettista, compresa quella conservata in cantiere. C'era un particolare non trascurabile per: nel progetto originale l'autosilo era situato su solida roccia di scoglio ed i pali sarebbero stati saldamente ancorati ad altrettanto materiale compatto. Invece, nella copia che Francesco teneva in cantiere, l'intera struttura avrebbe appoggiato sul nulla, ossia sopra una falda acquifera ed uno strato di limo inconsistente, a soli venti metri dalla solida pietra destinata a sostenere l'autosilo. Non poteva trattarsi di un errore e nessuno sarebbe stato in grado di falsificare quel progetto, senza effettuare una sofisticata clonazione del timbro e della firma originale del progettista; senza contare che i progetti erano tenuti sotto chiave e Francesco non aveva notato segni di scasso all'interno della sua baracca-ufficio, durante tutto il periodo dei lavori. Lo scavo era ormai ridotto ad una lieve depressione nel terreno, ormai pieno di detriti e di materiale fangoso. Sembrava una grande tomba dove fosse stata sepolta una salma scheletrita dal tempo. I lavori erano stati nuovamente sospesi ed ulteriori indagini avrebbero rallentato nuovamente l'esecuzione, ma ci nonostante l'Impresa ed il Comune erano fermamente intenzionati a riprenderli, rimettendo mano alle ruspe. Ma il Sindaco questa volta non fu visto comparire davanti ai teleschermi e nessuno ascoltò mai la sua parola sull'argomento. E l'autosilo non vide mai la luce. Dopo una settimana dall'evento qualcuno si accorse che dal saldo delle casse comunali mancavano circa settecentomilioni di euro. Qualcosa come la metà del bilancio di un anno. Il Tesoriere ebbe un attacco di angina, ma fu raggiunto all'ospedale da un avviso di garanzia. Aprirono un'inchiesta e molte persone, compreso il Sindaco, finirono davanti al giudice, ma il denaro non fu più ritrovato e la città dovette dire addio al progetto dell'autosilo. Il grande solco nel Parco dell'Acquasola fu spianato e concimato a verde. Dopo circa un anno il grande spazio pubblico rivide le querce ad alto fusto che gli uomini del reparto giardini e foreste avevano una volta tagliato e che ora invece stavano rimettendo a dimora. E ancora oggi, in certe serate tempestose, al passante ignaro che transiti per Viale IV Novembre può capitare che, tra le foglie colorate di un singolare rosso intenso, il vento riveli i sospiri dei morti di peste che trovarono indegna sepoltura nel 1657. Ma a qualcuno accaduto di intravedere tra gli alti fusti degli alberi sferzati dalle raffiche di scirocco, un uomo vestito con una lacera tuta da lavoro, alla guida di una grande pala meccanica contornata da uno strano alone di luce azzurra; e c' chi giura di avere ascoltato anche il suono delle sue risate, confondersi come un'illusione nel vento impetuoso della notte.

di Alberto Carbone