Chiedete di me in tutta Monaco e vi risponderanno e scoprirete di me che sono lo scemo del villaggio. Ma se dico che mento, e in ciò dico il vero, mento o dico la verità?
Io sono il matto, il personaggio del paese e quello di cui i giovani parlano e scherzano, quando li incontro salutano per vedere se rispondo ed io rispondo, e loro han qualcosa da raccontare. Sono il termine il paradigma per ognuno voglia farsi matto in questo buco, così mi han disegnato e forse non è solo per quel che faccio, ho una libreria in un quartiere dove niuno pare avere le elementari, ma anche perché leggo, perché vivo con mia madre ed ho tanti anni ed un lavoro in più di quelli che stanno con le madri; e sopra tutto perché non mi vergogno come gli altri a dire che io ci parlo con mia madre, ogni sera e qualche notte e forse anche di giorno per i casi eccezionali, anche se ora non ricordo quante volte mi è successo.
Anni fa per esempio ritornavo a casa che era sera tardi, il sole era tramontato ma era inverno, non so dire che ora era perché non porto l'orologio e a me non interessa poi saperlo. Quella sera avevo finito di leggere il mio libro preferito, il Lovecraft proibito e tornavo a casa tutto contento. Leggo sempre in bottega (l'ho già detto?), e sulla porta ho attaccato un campanello che mi avverte quando entra qualcuno, poiché dal mio posto non si vede. Non ho orari di chiusura ed avevo chiuso tardi quella sera perché davvero interessava leggere la fine, compiere il circolo almeno nella testa e per le strade immaginavo avere a fronte quell'altare, i pilastri eretti e contrassegnati e il coltello già finito, con il sangue sulla lama rappreso.
Uao! Se davvero funzionava avrebbero smesso davvero di chiamarmi tutti matto. Ma allora no, forse non avrebbe funzionato perché gli dei deridono quando ad uno tu metti le etichette, non scoraggiano. Insomma, ero sulla porta della casa e senza bocca salutavo mamma, era morta sì da poco e stavo male senza lei, chiavi in mano nella toppa ed io entravo come per accendere la luce.
Non andava. Poco male, sarebbe occorsa una fiammella ed avevo già le dita sullo zippo che mia madre mi fermò dietro la testa, odorai allora il gas del fornello che andava a pieno ritmo. Lo spensi dopo aver aperto le finestre, e finalmente (avevo preso tante botte negli stinchi!) poi raggiunsi la lampadina che doveva essersi fulminata e la riavvitai, da come si era allentata, (cambiare una lampadina non è difficile sapete? Una volta che hai imparato il verso basta avere uno sgabello sottomano perché non sono poi così alto e salirvici sopra, ed avvitare una lampadina nuova per il verso che hai imparato), poi mi preparai da mangiare.
Capite cosa intendo io per matto? Uno che ringrazia in pubblico la sua madre perché dall'alto, lo ha salvato.
Ci son voluti giorni per trovare il guasto ai fornelli, dopo settimane fu libero l'operaio di venire e mi prese anche una bella somma, dopo aver dato con una chiave due giri in più dei miei. La gran parte dei soldi per la strada. Due settimane al freddo che ero stato, ed anzi, la seconda portai pure un materasso in bottega e lì restai a dormire. Non lessi mai altrettanti libri ed ebbi quasi sempre la voce di mia madre con cui parlare. E la ringraziavo ogni volta mi trovava. Ho una libreria dicevo, e leggo molto anche perché sono l'unico che lo fa qui in paese, devo anche compensare quel che gli altri ignorano e non state lì a pensare: vivo bene ed ho i soldi di mia madre, l'invalidità del babbo e qualche volta faccio affari per telefono, grossi affari con curiosi ed inesperti, qualche volta entrano i turisti e pochi comprano, mai nessuno mi ha minacciato, o indagato sulla morte dei miei genitori. Loro, semplicemente, non sono mai morti, e non sgranate gli occhi che siamo in Italia, tutto accade, il paese è uno piccolo, isolato, pochi amici ed a volte penso siano i boschi la città, mentre noi, un suo quartiere strampalato detto Monaco. Non come il caro principato, piuttosto la Baviera, quella immersa nella birra dei selvaggi.
Siete sorpresi? Non volevo ingannarvi ma pensavo di attrarre la vostra attenzione facendo credere di essere di mondo, altrimenti molti sarebbero fuggiti e non avrebbero sentito quel che devo dire, la cosa più importante, e per farmi perdonare ora vi racconto quello per cui sono qui, per filo e per segno e speriamo che nessuno interrompa, anche se non credo. Non è stagione di turisti e di consegne gira fiacca, gli unici che vengono sono i bimbi con i loro amici, che mi vogliono infastidire. Entrano, li sento ma non li vedo come ho detto e poco dopo loro escono rubandomi un libro, e vociando il mio nome. Per la strada sono allegri ma io aspetto e non mi alzo, continuo sempre a leggere anche se fra me perché quel che hanno rubato non costa nulla in denaro, i libri più preziosi li tengo sotto il banco, e porta loro solo una scarica di ceffoni dai genitori quando scoprono quel che hanno preso.
Leggo e vendo cose brutte, cose di demoni dicono loro, ma non capiscono quel che sono questi libri, ed io quasi apposta scelsi questo tema anni or sono. Seguii quel che disse un giorno il padre, e nel lavoro, mi specializzai nell'occulto, e restai dove Occulto tiene ognuno nell'ignoranza.
È un paesino piccolo il mio, sapete, attorniato dai rami e dai tronchi quanto basta per renderlo un'enclave. Poche persone vivono ancora fra questi monti, ed è quel genere di gente che la sera resta al fuoco a far la maglia, si stringe lo scialle nero sulle spalle prima di dormire e la mattina li alza il gallo, il loro gallo, prima che le pecore tornino a belare. Roba da macchina del tempo insomma, e come una volta i vecchi raccontano ai bambini (un gruppo di zotici furfanti anche simpatici, tutto il giorno a fare nulla e la mattina in sogno dentro a scuola, agili come gatti ad andare fra le querce e già robusti pure ancora in bocca il latte, che sorridono, quasi quasi gli vuoi bene , e poi te la combinano) i vecchi credono a quel che raccontano ai bambini, e raccontano leggende ambientate nei dintorni, fra i sentieri percorsi durante il giorno e quelle storie della notte li atterriscono ogni sera, spaventano i bambini.
Una notte ero a casa ed in mezzo al vetro ho visto il volto di chi evocavo. Come il taglialegna che ha subito un torto, non so quale, ed ha preso accetta e sega anni anni fa, (e si parla di tanto tempo, numeri a tre cifre e non poi bassi), e si è perso nel bosco, ed allora nessuno l'ha più cercato.
Lo si sente ogni tanto , ululare, coi lupi; cose strane, è vero, e se qualcuno ci può credere penso io a stroncare la fantasia dicendo che nulla è possibile di quello che si dice. Non esistono questi spiriti fra i boschi e questo perché ci sono io molte sere fra i boschi a camminare, e nessuno mai ha sentito un suo lamento. Non ci sono neanche i fuochi di sant'Elmo da queste parti! Ma ci crede a questo la gente, alle sue storielle è superstiziosa perché in fondo sono tutti pazzi in questo posto. È come quello scherzo della stanza degli specchi che fa impazzire chi ci vive, è proprio questo il caso perché, come enclave qui, ognuno è un po' lo specchio dell'altro e la reclusione ci fa vivere simbionti, a poco a poco sempre più la stessa cosa.
Ho sempre pensato che un giorno questa diverrà una comunità fantasma. Par che il mondo, come il mare, resti fermo metri sotto e neanche più la vita si muove oramai, è un lento incedere al tempo in cui chi se ne deve andare finalmente partirà, chi resta resterà a morire ed un giorno un turista (magari straniero) verrà a chiedere cosa fanno quelle case sul costone, ma nessuno avrà risposta: - Il sindaco ha fatto chiudere le strade e nessuno va più lassù. Se qualcuno avrà il coraggio di arrivare, troverà gli asfalti vuoti e tutte le porte aperte, le case senza soldi che qui nessuno ne ha bisogno e magari la cucina apparecchiata, scarafaggi sugli avanzi, nessun segno di una vita od uno scheletro a sua conferma. Perché tutti, un giorno, saremo stati visitati da quel vecchio taglialegna, e l'avremo inseguito fra i boschi intonando coi lupi e gli spiriti senza Ade. Anche io, perché da qui non mi muovo.
Forse, quel turista, quel giorno rinverrà i miei libri e ne farà sorriso, oppure sceglierà di usarli. In questo caso spero segua la mia stessa sorte.
Vanno raccontando degli spiriti che si aggirano di notte, temono e ci credono ma non capiscono quel che vendo, non vogliono sapere cosa leggo ed anzi mi additano, al bar non posso più neppure prendere un caffè e se fossero più giovani, di certo rischierei la vita ma sono loro a non capire, loro ad essere ancor più savi di me, che sono folle, perché a parafrasare un illustre stereotipo "chi è pazzo sta solo al medio infra l'uomo ed il genio".
Una volta, ad una coppia che stava entrando nel negozio una vecchia seduta al sole urlò di andarsene, e pregare Dio perché qui da me albergava un patto col suo angelo, il suo angelo peggiore. Dissi a quei due foresti di non temere, che il mio era solo un interesse professionale e diedi loro un saggio sull'amore e le sue pozioni, ne furono contenti ed io pagato. Avevo mentito.
Non è l'interesse che mi spinge a leggere e pregare, ma si può solo nominare "fame di paura": quella voglia di sentire le spalle in ansia ed un formicolo per la schiena, quando è buio e c'è silenzio, che ti cade fino ai glutei e fa partire la tua corsa. Poi correvo, una volta letti i sacrifici, io correvo via e magari per calmarmi pensavo a quel tagliaboschi fatto spirito, fosse servo lui del male o del bene, ma tornavo a quei testi come una droga e li leggevo, li spulciavo, cercavo ancora. Ecco perché la notte, dopo la morte di mia madre, solevo andarmene pei boschi in cerca dei miei demoni. Con preghiere a Lui Laggiù.
Non so per cosa sia stato fatto il giorno, ma vi giuro, la notte esiste perché venga il Male. E quelle notti a Monaco per i suoi boschi, erano di una bellezza che solo un principe di quelle tenebre poteva immaginare. Non c'era mai pesto nero perché le luci della città diffondevano anche qui qualche loro raggio, con gli occhi abituati si poteva camminare e prestare un po' d'attenzione, anche se mancava la luna, ed era come a teatro buio in palco e luci sulla sala. Perché quando lei regina usciva dalle nuvole, tonda di latte, anche solo per una breccia, e colorava i cirri delle nubi e cadeva a terra che quasi erano una pioggia di comete, sparivano le dimensioni e quello che toccava era bianco e nero, il più semplice possibile, io calavo ancora più nel buio e la sfidavo a starmi dietro, lei ed i suoi strali mi inseguivano per vedermi ed io non toccavo arbusti nella corsa, non volevo destare alcun rumore mentre attorno compariva tutto quello che all'uomo, o al suo medio pazzo, è recluso e lumi degli spiriti si accendevano e degli occhi mi osservavano, erano calati i lupi e nei loro branchi ritornati dai rifugi uscivano ad intonare il ballo su cui muovevo, non più inseguito ma inseguendo quasi il suono di due zoccoli nel fango e le pupille come fessure, un lungo silenzio come fra due amanti, ed il passo di chi danza, danzare col Demonio.

di Stefano Zanarella