Esiste un posto buio, caldo, nascosto: un rifugio sicuro.
Dentro in ognuno di noi.
Mi trovavo lì, rannicchiata come un animale ferito.
Incapace di trovare il coraggio di far esplodere l'urlo che mi stava soffocando.
Solo i pensieri si agitavano in quella mia oscura oasi di pace: pensieri senza senso, privi di scopo e assolutamente disgiunti fra loro.
La tazzina del caffè, leggermente sbeccata sul manico, una mattina al bar.
Il gatto che si era infilato a dormire nella lavatrice e solo per un pelo non aveva pagato cara quella prodezza.
Gatto. Occhi gialli. Come quelli di Anna.
Solo il respiro lievemente accelerato, le lacrime che rotolano lungo le guance, sono gli unici movimenti del mio corpo. Anna: la neo assunta del reparto ordini estero.
Capelli corti, con un taglio che le dà l'impressione di essere sempre perfettamente spettinata, fisico minuto. Quello che colpisce sono quegli occhi gialli, tristi, ma vivi e attenti.
Come spazzati da una folata di vento i pensieri si scompaginano, si disperdono, riprendono un andamento casuale come la pallina nella ruota della roulette.
Il cellulare si è scaricato e non l'ho messo sotto carica.
La calca nella metrò del venerdì pomeriggio.
Un basso gemito, forse un sospiro sfugge alle mie labbra.
Ricordo perfetto e preciso: l'arrivo di Anna, la presentazione: la sua mano che stringe la mia in una stretta delicata ma decisa, il suo sorriso cordiale e le prime battute scambiate mentre prende confidenza con il nuovo ambiente lavorativo.
Improvvisamente anche il piumino pare diventato una coltre di piombo, soffocante: una prigione.
Nonostante tutto mi scopro, resto lì accucciata stretta al cuscino ormai zuppo di lacrime.
- Perché mi sto facendo questo?
- Non ha senso
- A cosa serve rivivere tutti gli istanti, a che pro rivedere ogni sua espressione?
Riconosco il trillo del mio telefono di casa, ma non voglio alzarmi a rispondere: non mi interessa Il telefono insiste.
Alla fine la segreteria telefonica si avvia, ma nessuna voce lascia un messaggio.
Come se nonostante tutto non fossi abbastanza ferita richiamo, come su uno schermo nella mia mente, il momento forse più bello della mia vita.
La fiera ha appena chiuso e infilati i cappotti io e Anna ci accodiamo al resto degli espositori che lentamente sfilano verso l'uscita. E' l'ultimo giorno, il domani si rientra finalmente in ufficio, alla vita normale.
Basta con la "vetrina", basta con quei sorrisi stampati sul viso.
Anna è a piedi, la macchina le si è rotta il giorno prima e così decido di accompagnarla a casa.
Naturalmente una volta giunte non mi pare carino scappare via, quindi accetto l'invito di Anna a salire per mangiare una pizza, che prendiamo nella pizzeria a fianco del suo portone.
Giusto il tempo di estrarle dalle scatole di cartone poggiarle sui piatti e dopo averle tagliate a spicchi ed afferrato le birre entrambe ci mettiamo sul divano a mangiare.
La sua casa le rassomiglia.
Anna vive sola: un po' di disordine dappertutto, ma soprattutto libri, libri ovunque.
Sul tavolino lei li scosta per far posto alle lattine di birra. Sono libri di architettura e pittura, quei bei volumi rilegati con splendide immagini.
- Scusami - mi dice - adoro leggere e adoro le cose belle, quindi visto che non posso mettermi in casa né la cattedrale di Reims né la pinacoteca del Louvre, mi devo accontentare di vedere le fotografie.
- Cosa ti piace leggere? - le chiedo.
Non è chiaro visto che sugli scaffali ci sono libri in pratica di tutti i generi.
- Vado a periodi - mi dice lei.
Anna sembra pensierosa, poi sorride e mi confessa che quello è un periodo in cui riesce a leggere pochissimo. La televisione è accesa, ma a volume bassissimo e nessuna di noi la guarda.
Solo oggi mi rendo conto che non ha mai risposto alla mia domanda. Era importante? Non lo so neppure io, non lo so neppure ora.
Chiacchieriamo, ci raccontiamo dell'avventura fieristica appena conclusa che ci è costata fatica, ma che in fondo ci ha dato anche spaccati di vite totalmente ignorati.
Quasi che fossimo due razze differenti: noi espositori e i visitatori: due razze antagoniste.
Anna ha versato per entrambe del whisky, la televisione è stata misericordiosamente spenta.
È improvviso si, il suo bacio, ma non posso dire di non averlo potuto "prevedere".
Mi ha colta di sorpresa, ma non l'ho rifiutato, tutt'altro.
Ci siamo strette in un abbraccio, quasi non desiderassi altro, quasi non stessi aspettando che quello.
Un brivido mi attraversa, mentre ricordo come siamo state abbracciate in quel letto, mentre penso a come sarebbe stato tutto diverso se non fossi salita a casa sua.
No, non vorrei mai non averlo fatto neppure ora, dopo un anno in cui io e Anna siamo state amanti. Ogni bacio, ogni carezza era un'emozione.
Il telefono ha ripreso a suonare, di nuovo la segreteria si inserisce, di nuovo è il silenzio.
Ho imparato ad apprezzare le cose belle, ma non solo i palazzi, le chiese, i quadri dei grandi artisti; anche le piccole cose, a cercare dentro di esse la bellezza ed il loro segreto.
Ho iniziato un viaggio alla scoperta di qualcosa che non conoscevo, che davo per scontato senza mai osservarlo attentamente.
Questo viaggio è stato anche dentro di me, quasi a voler scoprire le mie vere capacità, le mie possibilità e le mie speranze.
In un lampo rivedo la campagna senese con le sue dolci colline, la macchina di Anna ancora in panne e noi due lì ad osservare il tramonto, descrivendoci le reciproche sensazioni, vivendo l'una attraverso l'altra quei momenti, tanto scontati, tanto normali, tanto quotidiani da essere diventati invisibili.
Eppure se "guardati" divengono istanti unici ed irripetibili.
Apro gli occhi gonfi per il pianto e sono costretta a socchiuderli subito.
Perfino i fiochi raggi di sole che filtrano dalle persiane chiuse oltre le tende della mia camera mi danno noia.
Ora suona il cellulare sul comodino, so chi è.
- Ciao Alessandra.
E' l'unica a chiamarmi con il mio nome senza abbreviarlo.
- Come stai?
- Non lo so.
- Stai piangendo?
- Anche.
- Sono davanti alla tua porta. Ho suonato ma o non mi hai sentita o non mi volevi aprire. Ti ho chiamata per chiederti di aprire la porta.
Il mio rifugio sicuro è stato spazzato via, ora sono costretta ad uscire dalla mia tana.
- Vengo.
Su questa parola la batteria del telefonino si esaurisce totalmente e la linea cade.
Quasi fossi una vecchia paralitica mi dirigo verso la porta di ingresso e faccio scattare la serratura. Anna è lì.
I suoi occhi gialli sono forse più tristi del solito, ma quando mi guarda sembrano rivivere.
Non riesco ad impedirmelo e le volo fra le braccia.
Ora sdraiate, abbracciate nel mio letto, cerchiamo di dare un senso al passato.
O meglio cerco di accettare i fatti e venirci a patti.
Durante questo anno di amore fra noi due abbiamo vissuto anche periodi orrendi. Ci hanno unite? Hanno rafforzato il nostro sentimento? Ci hanno fatto crescere?
- Credo che dovremo parlarne, visto che ti fa tanto male - mi suggerisce Anna dolcemente.
Nonostante mi sia sforzata di reprimere l'ondata di quel ricordo, nonostante io abbia cercato di fingere che la notte scorsa non sia accaduto nulla, nonostante, c'è.
C'è e non riesco a venirci a patti. C'è e non posso a credere di averlo fatto. Sono "anormale"? Sono un mostro?
- Non sei un mostro! - Anna pare leggermi nel pensiero.
La fisso, forse sto dando la colpa a lei?
No, lei potrebbe avermi solo dato uno specchio, ma ciò che sono lo ero anche prima di conoscerla.
- Ho vomitato. - Ma cosa sto dicendo? Che senso ha? Sto cercando di liberarmi la coscienza? Quasi l'aver vomitato mi abbia liberata del gesto precedente?
Anna mi osserva, non parla. Credo non serva neppure lo faccia.
Mi libero del suo abbraccio, scatto in piedi.
- Perché?
La osservo io, ora, mentre piega le gambe e si alza dal letto mettendosi seduta.
- Non so se c'è un "perché. Io lo accetto, mi adeguo. Forse sono i suoi occhi a convincermi, non lo so.
Qualcosa scatta.
Mi avvicino mi siedo al suo fianco e ci prendiamo le mani, per un po' resto a fissare le mie dita che accarezzano il dorso della sua mano.
La mia è ghiacciata.
- Quello che è accaduto era già dentro di me vero?
La voce esce sottile ed anche un poco stridula dalla mia gola.
- Si.
- Ma cosa sono? Intendo, Ho bevuto il tuo sangue, ti ho dato il mio, ho desiderato quello di quel ragazzo e lui si è offerto. Anche ora "sento" quel desiderio. Anche ora mi piace il gusto del sangue.
- Non so cosa siamo, provo le stesse cose. Ci chiamano scioccamente, "real vampires"

di Gabrielle de Lioncourt