Non esisteva più, forse.
     Camminavo per le vie di una città che non conoscevo, anzi, che non riconoscevo; era la città in cui vivevo un tempo. Un mondo colmo di ricordi che si trascinavano nel vento, e mi trascinavano senza pace dove forse non avrei mai voluto giungere. Avevo freddo nel mio cappotto scuro, ma forse non era solo colpa del vento, delle nubi scure che si ammassavano all'orizzonte sulle basse montagne.
     L'inverno qui non mi era mai sembrato tale, ora invece, era anche peggio che altrove.
     Tutto come morto.
     Il cortile della scuola, dove anch'io ero andata, era deserto, nemmeno una cartaccia, le saracinesche verdi di metallo erano serrate su finestre buie e sbarrate, le aule erano completamente vuote, neanche le ombre le abitavano più.
     Dio...!
     E noi consideravamo i nostri prof come gli spettri di se stessi, vecchie cariatidi di un sistema che doveva disgregarsi, morire...No! Erano spariti anche gli spettri, non era rimasta nemmeno polvere d'ossa su cui muovere passi cauti...non erano rimaste altro che mura vuote, imbrattate dai nostri nomi, dalle nostre fugaci esistenze, e forse qualche cartina mal arrotolata di uno spinello fumato in fretta nel bagno delle ragazze.
     Non avrei dovuto essere qui.
     ...Beh, in effetti, era come se non ci fossi...
     Nessuno sapeva, nessuno vedeva, nemmeno io sapevo se ero veramente, fisicamente qui, e non piuttosto proiettata dalla mia mente preda di allucinazioni...
     Tutto come ricordavo.
     La mole imponente del castello che avrebbe potuto quasi riflettersi nelle onde, e invece guardava le verdi fronde dei pini dove neri corvi gracchiavano le loro storie.
     Al sole mi hanno sempre fatto un altro effetto, anche nei campi gialli di granturco, che ora circondavano il mio nuovo mondo. Qui invece...Macabri, forse perché i soli. Spariti anche i gabbiani con le loro ali bianche e grigie. C'era un cane che correva sulla spiaggia, un grosso boxer. Il suo padrone? Possibile che fosse solo...?
     Camminavo. Una mano stretta a pugno in una delle tasche, le unghie laccate di blu scuro, piantate nel palmo fino quasi a farmi male...l'altra a stringere il collo rialzato del cappotto. Era quasi come sentirsi vecchi, presenti dall'inizio del mondo, passeggiare e dire "Ricordi... e ora tutto è scomparso". Nessuno per le strade, poche macchine passavano veloci accanto a me e sembravano scrutarmi come mi conoscessero.
     "No. Non sono di qui, io...ero qui, quando questo posto era ancora vivo...Il mio nuovo mondo è ancora vivo, per poco forse, ma respira ancora...mentre questo...adesso...imputridisce... presto assomiglierà ad una palude...per questo è così famigliare...?"
     Non pensavo, non sapevo, quanto orribile potesse essere riguardare vecchi luoghi, con nuovi occhi, con un nuovo cuore...a dir poco straziante...riconoscere le strade e i nomi, senza più saper riconoscere in se stessi colui che aveva attraversato e vissuto quei luoghi...
     Mi allontanai piano dalla spiaggia, risalendo faticosamente verso il centro, quasi il distacco fosse più che fisico, continuando a sentire lo scricchiolio della sabbia sotto le scarpe, come il sussurro languido di un morente...Dove un tempo c'erano gli schiamazzi dei ragazzi, l'odore sottile e penetrante dell'hashish, sedevano solo vecchi stretti nei loro completi grigi, silenziosi, con un tossire cupo e roco come sola compagnia, sotto gli alberi attorno al castello... E un rumore quasi costante, ma alterno: la cadenza dei miei passi, il fruscio dei miei calzoni di fustagno blu.
     Un tabacchino. Un vecchio tabacchino.
     E il giornalaio.
     La porta non produsse un suono quando entrai. La signora dietro il banco mosse il capo e non disse una parola. Mi guardò appena, i suoi occhi incrociarono i miei, per un momento, ma la sua espressione non cambiò affatto, come se la porta fosse stata mossa dal vento...e ad entrare fosse stato solo il freddo salmastro della sera...
     Schiusi le labbra, la guardai, e un brivido percorse la mia schiena all'idea di parlare. Un passo avanti.
     - Buon giorno! - scandii decisa. - Il giornale...
     Scosse piano il capo, alzò una mano e fece un cenno. "Non ne ho".
     Sigarette allora, e se volessi delle sigarette?
     Stavo per indicarle, ma mi voltai e uscii.
     Non ero mai stata così agghiacciata... nemmeno in quella notte fatale, quando tutto era finalmente ricominciato, e il tempo aveva ripreso a scorrere, e tutto era ovviamente finito, fermato in quel nuovo immoto fluire...
     "E per sempre vuol dire mai più" diceva una canzone.
     Mi aveva sempre affascinato quella frase, che per altri non aveva senso alcuno. A me aveva fatto uno strano effetto, come un brivido freddo lungo la schiena, come se già immaginassi quale sarebbe stato il futuro...
     E non l'avevo voluto, tutto questo?
     Perché ero tornata?
     Non avrei dovuto farlo...
     Non avrei dovuto lasciarmi trascinare dall'impulso, da quel sentimento improvviso ed impetuoso, così dannatamente umano, e così radicalmente impresso dentro di me. Ma era qui che ero giunta, e non volevo fuggire, non volevo volgere le spalle e riaffondare nella palude del non essere da cui Lei mi aveva salvata, non volevo tornare al mio infinito presente, senza aver prima guardato dritto in volto il passato.
     Passato... ma non vuol dire che è finito, andato, svanito...?
     Eppure io ricordavo tutto perfettamente, i giorni della scuola, gli amici, le uscite alla sera come tutte le altre stupide ragazze in attesa che il mio "amore" di turno si facesse avanti...Lui, certo, perché io non avrei mosso un passo...
     In attesa che qualcosa cambiasse, che qualcosa accadesse, in attesa, sempre, che fosse un altro a fare tutto questo per me...Fino a quando era arrivata Lei... con quello sguardo e quelle semplici parole...Lei che aveva dissolto la melma della palude regalando una nuova dimensione a tutta la mia esistenza...facendomi dimenticare che scioccamente avevo atteso, senza muovermi, per tutti quegli anni...e che ero liberissima di muovermi, "devi solo volerlo Doushka..."
     Quegli stessi ragazzi, che non m'avevano voluta, adesso avrebbero potuto avere una famiglia, dei figli... Perché accidenti ero tornata qui? Li avevo già lasciati, allontanati, prima ancora di trovare Lei... e perché proprio ora tornare? Mi morsi le labbra e alla fine sentii sulla lingua il sapore del mio stesso sangue, e una scossa attraverso tutto il corpo.
     Il sangue... ancora... sangue...
     Forse ero tornata per quello...il sangue di quelli che un tempo erano stati i miei amici, i miei compagni...coloro con i quali avevo riso...coloro che in qualche modo avevo creduto d'amare...quelli che non mi avevano capita affatto, che non mi avevano mai considerata una di loro, ma solo un divertente passatempo, un giullare capriccioso per cui nulla è reale, nulla conta...
     "Sono solo il buffone della corte..."
     Volevo cancellare tutta la mia vita annullando tutti coloro che ne avevano fatto parte?
     Nemesi... sangue...
     L'oblio e la pace, limpida come le acque pure...un foglio bianco su cui ricominciare a scrivere...Tornare libera da Lei, per essere di nuovo insieme, come una cosa sola, anche se potevo sentirla con me in qualsiasi momento...vicina e reale come se potessi toccarla... Ero certa che se avesse anche solo sussurrato il mio nome, l'avrei sentita, e avrei saputo che era a me che pensava, che era ancora me che desiderava...vicina...
     Continuai a camminare lungo il corso.
     Deserto... i negozianti che pigri uscivano sui marciapiedi, si guardavano attorno, mi gettavano un'occhiata distratta, senza scrutare sotto l'onda morbida dei miei capelli chiari, senza nemmeno intuire la piega del mio triste sorriso dietro il collo rialzato del cappotto...
     Cos'ero venuta a cercare?
     Davvero ero stata convinta che avrei ritrovato tutto come un tempo... persino l'ombra di me stessa, quella ragazzina incosciente, leggera, capace di ridere per un nonnulla e di perdersi l'istante dopo, in un mondo che non esisteva affatto? Se l'avevo davvero creduto, da qualche parte dentro di me...allora ero davvero più stupida di quanto avrei mai potuto pensare...
     Spinsi piano la porta di un vecchio locale, che avevamo frequentato anni addietro. Il legno s'era fatto più scuro, la vernice s'era scrostata, i muri di mattoni s'erano incupiti, le lampade basse sui tavolini apparivano ancor più fioche di come io le ricordavo... La musica suonava a volume stranamente alto, e il fumo galleggiava nell'aria che sapeva di panini caldi e bruschette... e riuscì perfino a farmi venir fame!
     La strana, inaspettata vitalità del locale mi turbò, e insieme mi riportò alla mente il locale deserto e vuoto in cui Lei m'era apparsa come un miraggio barbagliante... Scivolai tra la gente senza alcuna fatica, sebbene affollassero lo spazio tra la porta ed il banco, e giunta al bancone sedetti su uno degli sgabelli, guardandomi intorno con tranquilla spudoratezza...
     La familiarità di un luogo guardato attraverso occhi nuovi...
     Che sensazione strana...e sapevo bene che non era determinata dalle poche gocce del sangue di Lei che mi circolavano nelle vene, frammiste al mio pallido sangue di mortale...perché mortale lo ero ancora, sebbene mi sentissi molto più vicina a Lei che a qualsiasi essere umano...
     Il ragazzo dall'altra parte si sporse sul bancone e mi chiese cosa volevo da bere. Lo guardai in viso, sfilai il cappotto e poi chiesi un irish coffe...volevo una birra gelata... eppure chiesi un irish, per il solo desiderio di stringere le dita attorno al calice caldo...
     Quanto tempo avevo trascorso in quello stesso posto, in compagnia di quelli che dovevano essere i miei amici, quelli con cui ridevo fino alle lacrime per qualche minuto, per rintanarmi, quello dopo, nei miei vaghi pensieri inutili...guardandoli sempre da una certa distanza, come non fossi affatto uguale a loro.
     Poi li scorsi, e per un momento mi mancò il fiato...cinque ragazzi attorno ad un tavolo, due ragazze e tre ragazzi...e un bimbetto di forse una decina d'anni, seduto tra loro... il giovanotto al banco mi portò l'irish coffe, ero così concentrata sulla scena al tavolo che ne buttai giù un sorso ustionandomi la lingua...
     Possibile?... certo, non era per questo che ero venuta?
     Per osservare i loro volti, scrutare nei loro occhi, spiare i loro sorrisi, cercare di capire, se erano felici, se avevano trovato ciò che io stessa avevo cercato fino a qualche tempo prima...prima di avere Lei...prima che Lei avesse me...
     Parlavano, ridevano, si chinavano in avanti sul tavolo, a giocare con il bambino, che stava tra loro come il cucciolo del branco. Occhi scuri, grandi e curiosi, capelli castani, appena più chiari, che cercavano di sfuggire alla pettinatura composta in cui sua madre li aveva costretti...Otto, nove anni forse...il tempo che io avevo strascorso altrove...annaspando nella mia placida e marcescente palude.
     Io ero morta...e una nuova vita aveva preso forma tra coloro che mi erano stati cari, ed era come se quel bambino fosse un poco il figlio di tutti loro, si capiva benissimo da come tutti lo guardavano, lo vezzeggiavano...lui era parte integrante del gruppo, era il futuro stesso di quel gruppo. Aveva solo una decina d'anni, ed era parte di loro molto più di quanto io fossi mai stata...
     Sua madre, lì accanto, era sempre la stessa ragazza, quella che per gli anni del liceo era stata la mia confidente, la mia migliore amica, quella che sembrava capace di vedere al di là del giullare...fino a che anche lei aveva smesso di guardare oltre e s'era fermata ai silenzi, agli sguardi vacui che spegnevano le parole sulle mie labbra e mi trascinavano via, sempre più lontana da loro.
     Gli altri due, lì di fronte, la coppia eterna, gl'innamorati che potrebbero andare avanti nel loro limbo per sempre, quasi più impantanati di me...però in due, perennemente, costantemente...fino a quando calava la notte, e il telefono portava a me la voce di lui, in chiacchierate vacue che si trascinavano per ore senza dire nulla mai...
     E l'altro, l'ultimo, a capo tavola...? Solo, il single...mica per scelta...spavaldo nella sua solitudine fino a che era tra gli altri, ma dopo...Ed io invece? Io se fossi rimasta, se ci fossi stata...sarei stata forse lì, mano nella mano magari proprio con lui...solo perché marcire in due nelle paludi era meglio che soli?
     Buttai giù un altro sorso dell'irish...e adesso era freddo...
     Feci una smorfia, senza poter smettere di guardare il loro tavolo...attraverso gli anni e la distanza avevo forse rimpianto la loro compagnia, avevo immaginato cosa sarebbe stato restare...e quando le nebbie s'erano alzate fitte sulle acque immote delle mie proverbiali paludi, il desiderio di loro era stato più forte, una nostalgia acuta e pungente, la malia del ritorno...
     Ma ora non ero qui per questo, no...
     Adesso che li vedevo chiaramente, lì di fronte, tutti proiettati al futuro, attraverso gli occhi di quel bambino, che sarebbe cresciuto come un mattone conforme al resto della struttura, protetto e sostenuto da essa, integrato e imbrigliato ad essa...adesso sapevo perfettamente che non ero venuta per rimpiangere qualcosa, per cercare la parte di me che credevo morta e perduta per sempre...ero venuta a saldare il conto...
     A mettere una lapide sul mio passato dopo averlo definitivamente ucciso...
     Sentii un braccio scivolarmi attorno alla vita, e una mano leggera risalire piano la mia maglietta scura e fermarsi sul cuore. Il tocco quasi impalpabile di dita sottili, che sapevano trasformarsi in una morsa letale qualora l'avessero voluto...
     - Uccidi il tuo passato e ucciderai anche il tuo futuro...- disse pianissimo la voce di Lei al mio orecchio.
     - Non ho un futuro, io...solo un eterno presente...- voltai appena la testa. per scrutare i suoi occhi cangianti. - Perché sei venuta fin qui?
     Lei sorrise, si scostò e si piazzò davanti a me, coprendomi la visuale del tavolo, riempiendo tutto il mio campo visivo. - Perché "sentirti" soltanto non mi bastava più...avevo voglia di guardarti...- sorrise di nuovo, scoprendo appena i denti candidi, e poi si passò la punta della lingua sulle labbra. - Lasciali stare...oppure credi, desideri essere di nuovo parte di loro...?
     Scossi piano il capo e guardando il bicchiere buttai giù l'ultimo sorso freddo dell'irish coffe che sapeva di fondi. - Non sono mai stata parte di loro...volevo crederlo, ma non era così affatto...- allungai una mano, e prendendo quella di Lei che cincischiava la sciarpa che le pendeva dal collo, intrecciai le dita alle sue.
     - Il Passato...non lo voglio, non ne ho bisogno, non sono più quella...
     - E ora lo sai chi sei?
     La stessa dannata domanda...continuava a farmela, sogghignando della mia apparente incapacità di darle una risposta...
     - La tua vittima presto o tardi...non è così?- cercai di ridacchiare, ma gli occhi di Lei m'intrappolarono, e il sorriso mi si raggelò sulle labbra.
     - Sarai una vittima quando deciderai di esserlo...adesso sai bene cosa sei per me, Doushka...
     - Voglio capire cosa sono "per me stessa"...
     Le dita pallide di Lei si strinsero di più alle mie. - Sai bene che non posso essere io a dirtelo...Come non potrebbero dirtelo loro o chiunque altro a questo mondo...
     Annuii appena, cercando di sbirciare oltre di Lei, mi sporsi in avanti, appoggiando il viso nell'incavo della sua spalla mentre guardavo i ragazzi al tavolo, gli occhi scuri del bambino, le sue piccole mani che giocavano con le arachidi nella ciotola, e non potevo sentire le loro voci nella musica imperante, però era come se il tono quieto, rilassato e sereno della conversazione, che si svolgeva laggiù, potesse giungermi ugualmente.
     Mi dava una piacevole sensazione di serenità...e allo stesso tempo era come una scena che si svolgesse su un altro piano, in un altro mondo del tutto diverso dal mio...sapevo bene che se solo mi fossi avvicinata a quel tavolo, i sorrisi si sarebbero raggelati, e qualora fossero tornati su quelle labbra, non sarebbero stati più gli stessi...
     Per un attimo pensai al loro sangue...caldo e rosso...il sangue di quelli che avevo creduto d'amare...ma cosa mi rimaneva di loro? Il mio cuore non batteva più forte mentre li guadavo, non provavo nostalgia per loro...non c'era più nulla che potessero darmi, nulla che potessero insegnarmi...
     Mossi il viso e chiusi gli occhi contro il collo di Lei, sentii subito la sua mano scivolarmi sulla nuca, sotto i capelli sciolti, fredda e delicata in un tocco che ormai conoscevo fin troppo bene...il locale caldo e affollato...tutta quella gente...il ragazzo dietro al banco...eppure incoscientemente, per un momento, desiderai lo stesso la pressione dei suoi denti aguzzi contro la mia pelle calda, il bacio dannato di quelle labbra appena tiepide, ma morbide come mai altre...
     Sangue...quello di Lei, quello volevo e nessun altro...e da Lei soltanto volevo imparare... con i suoi occhi vedere, e attraverso il suo cuore immortale imparare di nuovo a sentire...
     Attraverso le ciglia, da sotto l'orecchio di lei, vidi ancora il tavolo, illuminato fiocamente dalla lampada a piatto che pendeva al centro, le mani del bambino che intrecciavano giochi con gli adulti, e le loro premure per lui, le paure nascoste dietro i sorrisi e gli sguardi felici...che un giorno potesse allontanarsi, discostarsi, guardarli con occhi diversi anche quando avevano fatto di tutto perché fosse come loro...perché niente di estraneo potesse toccarlo...
     Sua madre gli disse qualcosa, il piccolo scosse il capo, voltò lo sguardo altrove come infastidito, e nel farlo i suoi occhi scuri s'impigliarono nei miei...ed io allora sollevai il viso dal collo tiepido di Lei e gli sorrisi...per un attimo gli occhi scuri si riempirono di fanciullesco stupore, poi anche lui sorrise, mentre nel fondo di quei giovani occhi si agitava una sincera curiosità, ed un vivo interesse...
     Lo vidi allungare una mano alla cieca per strattonare sua madre affinché anche lei si voltasse a guardare, ma la mia vecchia amica stava discorrendo d'altro e non gli badò troppo, gettò appena un'occhiata nella mia direzione, e passandogli una mano tra i capelli gli disse probabilmente di smetterla di fissare la gente, perché stava male...
     Il bimbo chinò il capo, per un attimo soltanto, perché subito dopo alzò di nuovo gli occhi su di me, e io non potei negargli un sorriso, né tanto meno il mio più affettuoso e sincero augurio di trovare la propria strada, il proprio essere, nonostante gl'insegnamenti del branco in cui sarebbe cresciuto.
     - Andiamo, okay?- dissi alzandomi e infilando il cappotto.
     Lei annuì, si sporse sul bancone per pagare e io, le mani affondate nelle tasche, rimasi a guardare la luce gialla tingere di arancione i suoi capelli color malva, e gettare pozze luminosamente malsane sulla sua pelle pallida, mentre le ciglia arcuate frenavano la luce che le sarebbe ricaduta negli occhi, ferendoli.
     Sorrise al ragazzo, come faceva ai mortali ignari, celando loro il proprio mistero, poi si voltò, dopo averlo trattenuto, per un attimo di troppo, con il suo incredibile e riverberante sguardo verde, e si diresse alla porta senza voltarsi e senza aspettarmi. Camminò spedita nella sera fredda e straniera.
     La luna s'era appena alzata...
     - Perché sei venuta...potevo far da sola...non c'era bisogno...
     Lei ridacchiò nel buio appena illuminato dai lampioni, scendendo piano lungo la strada che arrivava al mare. Le macchine e il traffico erano solo un ronzio sommesso e distante.
     - Lo so che la mia eroina ce l'avrebbe fatta da sola. Non volevo star senza di te...non ci hai pensato? Tu sei venuta ad affrontare i tuoi fantasmi...ho voluto vedere come te la cavavi...nel mio interesse...Volevo vedere come e se, li avresti sconfitti...- si fermò aspettando finalmente che le arrivassi accanto.
     Voltò il capo a guardarmi. - Adesso sei libera...- mormorò a voce così bassa che non l'udii, l'intuii soltanto. -...e sei mia...
     Nel buio, baluginio di denti candidi, riverbero di gemme verdi...e brividi sulla mia pelle.
     Chiusi gli occhi al suono di quelle ultime parole, che invece udii chiaramente. - Non sono semplicemente le poche gocce del tuo sangue immortale che scorrono impazzite nelle mie vene a legarmi a te, e lo sai bene...Ma io appartengo ancora a me stessa, non dimenticarlo!
     Lei rise, si guardò attorno nella brezza fredda e salmastra che spirava dal mare, alzò gli occhi a spiare la luna, e nonostante fossi infastidita dalla sua risata quasi canzonatoria, rimasi come sempre incantata dal colore dei suoi occhi, e dalla luce del suo sorriso.
     - Potrei dimostrarti che ti sbagli, in questo stesso momento...
     - Oh, non dubito che potresti fare una quantità di cose...uccidermi, farmi impazzire, e chissà cos'altro...invece ti limiti a guardarmi...e a bere qualche goccia del mio sangue, di tanto in tanto...
     Fece qualche passo verso di me, e mi toccò il viso con le sue dita ghiacciate.
     - Il tuo sangue...hai un ottimo sapore Doushka...- rise ancora lei, scoprendo i denti in quel suo famelico segreto sorriso.
     Come sempre rabbrividii alla vista delle sue piccole candide zanne.
     E come sempre mi sembrò di avvertirne il tocco sulla pelle semplicemente mentre Lei mi guardava...sentii quella specie di fitta dentro, come se qualcuno strizzasse i miei organi interni, come se l'aria mi fosse aspirata dai polmoni, e il mio sorriso tremò, ma non si ruppe...
     - Il tuo sangue...i tuoi occhi...i tuoi sogni...tutto ciò che sei...voglio di te ogni cosa, tu stessa non immagini quello che sei capace di offrirmi. Il semplice fatto di seguirti, mentre cammini per strada, e il tuo volto si anima di mille espressioni diverse, colorandoti le guance e gettandoti negli occhi incredibili sensazioni...
     -...ma tu insegnami a vedere come tu vedi...e a sentire come tu senti...- mormorai, la voce stranamente incerta in fondo alla gola.
     - Tutto quello che tu vuoi Doushka...Tutto...in cambio di poche gocce del tuo sangue...- scoprì i denti e rise ancora, mentre tornava vicina e mi passava un braccio sulle spalle, e spiandomi di soppiatto con i suoi stellati occhi verdi piegava il volto verso il mio collo.
     Continuando a sorridere...



di Nadja