Nero
Nero
Nero
    Rosso
Nero
Nero
Nero
Grigio
Rosa
Aura
Giallo
Azzurro
Nuda, stesa lungo la spiaggia, coperta solo della sabbia che l’umidità della notte le ha appiccicato sulla pelle eburnea, si sveglia.
Non ha freddo, non ha fame.
Solo innocue fiere intorno a lei, poco più in là, sopra uno scoglio, le sue vesti.
La luna è ancora all’orizzonte, anche se il sole è ormai alto ed illumina il mare delle scogliere di un bagliore dorato, ed ella si tuffa nel tremolio di riflessi cangianti.
Torna sulla riva, ancora bagnata indossa i suoi abiti di pelle nera, uno strano ghigno sul volto emaciato, un ultimo sguardo verso quell’acqua, sollevando il cappuccio del mantello si volta.
Raggiunge le porte settentrionali della capitale, scivola tra le guardie e la folla, si avvicina ai banchi di vendita ed osserva i mercanti: molti di loro sono elfi, nei loro volti rivede lui, il suo uomo, il suo sposo, la sua anima, rivede la sua vita, la sua morte.
Sale lungo le scale, affida alcuni oggetti alla sorveglianza del custode della banca, nel cambiare i guanti nota la fede al dito: sorride, la sfila dall’anulare e la consegna insieme alle ultime cose.
Una ciocca degli argentei capelli le scivola lungo il collo, spostandola percepisce i segni della metamorfosi sulla pelle, indifferente prosegue verso la locanda.
Siede ad un piccolo tavolino, un po’ in disparte dal marasma della bettola, e li guarda.
Vede esili elfi ubriacarsi, procaci donne seminude attrarre i clienti, grassi mercanti paonazzi in viso sbavare come bestie sulle cosce di pollo che sbranano, orridi nani giocare a carte.
Ha sete.
Segue con gli occhi lo sguardo ebete di un elfo, fino a quando questi non la nota…
Sorride gelidamente, fa cenno all’esile mago di seguirla lungo le scale che portano alle camere.
Spinge lo squallido figuro sul letto, si sfila i guanti cremisi, accarezza con le lunghe unghie il suo collo, lo graffia fino a far uscire delle piccole gocce di sangue, il mago freme come un adolescente voglioso, le dà la nausea ma continua…
Succhia il purpureo liquido dai polpastrelli, si avvicina al collo, lecca la ferita, gli prende una mano e la porta alla bocca, morde piano le dita, le falangi, il palmo, fino ad affondare gli aguzzi denti nel diafano polso, succhiando con avida forza il nettare della sua nuova esistenza, ora che ha smesso di vivere.
In pochi secondi l’elfo giace esanime sul letto, la vampira passa la punta della lingua sulle labbra ancora umide di sangue, va via.

di Maya