[ « indietro ]     Dopo quella conversazione dormii per 2 giorni, delirando e sognando di tutto..cose oggetti e persone mi sfrecciavano davanti agli occhi veloci come fulmini, e io non riuscivo ad afferrare niente e nessuno, tutto troppo veloce e lontano. Il terzo giorno aprii gli occhi, mi sforzai ad alzarmi. Dopo i primi secondi in cui sentii ancora delle forti vertigini riuscii a rimettermi in piedi, notai sulle sedia un vestito piegato con cura, me lo infilai con gran difficoltà perché era un vestito molto particolare, privo di bottoni o lacci (solo in seguito venni a sapere che veniva dall’oriente) tenuto stretto in vita da una fascia ricamata con filo d’oro. Appena uscito dalla stanza mi tornarono le vertigini, ma questa volta per lo stupore dell’ambiente circostante; era un corridoio lunghissimo e tutti i muri, su entrambi i lati, erano coperti da un bassorilievo enorme, le scene rappresentavano banchetti, guerre, amori, demoni, angeli e tutto quello che la mente umana può immaginare, restai a guardare le pareti per molto tempo, toccando ogni tanto con le dita i visi di quelle persone tristi o contente come per assicurarmi che fossero davvero inanimate e non povere anime imprigionate nella fredda pietra. Stavo per ripercorrere per l’ennesima volta il corridoio quando notai una porta in fondo, con una debole luce che filtrava da sotto, mi feci coraggio ed entrai; la stanza sembrava uno studio, di pianta circolare con un diametro di una quindicina di metri ma con un soffitto altissimo, e al centro di questo un apertura da cui filtrava la luce lunare su una piccola conca per raccogliere l’acqua piovana. Le pareti erano completamente coperte da enormi librerie, credo ancora oggi di non aver mai visto tanti libri insieme, tutti divisi in ordine alfabetico da una cura maniacale per l’ordine ma essenziale per riuscire a trovare un volume. Solo dopo molto mi accorsi della scrivania che si trovava vicino alla piccola conca d’acqua, e dell’uomo chino su questa, con la mano sinistra che veloce appuntava su un foglio quello che di interessante trovava nella pagina che teneva aperta con la mano destra, su un enorme libro dalle pagine ingiallite: era lui, il mio salvatore; quasi come se fosse riuscito a leggere i miei pensieri si voltò in quell’istante, incrociò le braccia sul petto e mi guardò abbozzando un sorriso: “Vedo che ti sei ripreso…bene..qual è il tuo nome?”-“Cosa vuoi da me?”-dissi-“ah bel nome!piacere Cosavuoidame io mi chiamo Harminius”-mi rispose sollevando il sopracciglio e ridendo-“Da te non voglio nulla, se hai un posto dove tornare, vai pure, ma non mi sembra che tu ce l’abbia quindi forse posso proporti qualcosa”-aveva già inquadrato tutto, e mi stava per proporre qualcosa, anche se dal tono in cui lo disse sembrava pronto ad accettare una sola risposta-“Resta con me, questa casa è grande ed ho bisogno di qualcuno che la tenga in ordine, in cambio ti darò vitto alloggio e t'insegnerò tutto quel che conosco”-nel dirlo allargò le braccia in un gesto che sembrava abbracciare tutti i volumi di cui era tappezzata la stanza, la prima domanda che mi venne in mente fu: “Perché proprio io?”- lui sollevò un dito e disse: “Perché NON tu? Ti ho trovato e salvato e io non credo alle coincidenze, o almeno ho imparato a non crederci, sei un ragazzo corretto e giusto, sei in grado di difenderti da solo e sei molto intelligente, allora?”- non avevo molta scelta, fuori mi aspettava una vita di stenti per riuscire a prendere un tozzo di pane, qui mi si prospettava una vita diversa ma comunque preferibile e poi non ero costretto a rimanere: “Accetto”- a quella risposta Harminius non si scompose più di tanto, anche se l’ombra di un sorriso gli sfiorava le labbra: “Perfetto allora, vatti a dare una lavata e poi torna qui quando sarà giorno, ti aspetto”- e si girò tornando sui libri, stavo per uscire dalla stanza quando mi disse: “Il bagno è la terza porta sulla destra, e dopo porta con te Pherenico, a più tardi Mikael”-mi girai di scatto, non gli avevo detto il nome della spada e in più mi aveva chiamato Mikael, non era il mio nome ma nel sentirmi chiamare in quel modo provai una strana sensazione, decisi comunque di rimandare a dopo le domande anche per darmi un po’ di tempo per schiarirmi le idee. Raggiunsi il bagno e cercai di rilassarmi, mi aspettava una vita nuova, nuove esperienze e nuove conoscenze, ma lo stesso non riuscivo a dimenticare la mia famiglia e tutto quello che avevo fatto, però dovevo comunque provare a continuare a vivere sennò i fantasmi del passato avrebbero divorato il mio cuore, così provai a chiudere tutto in angolo della mia mente. Appena tornai nella stanza gli chiesi subito il motivo del nome che mi aveva dato, lui sorridendo rispose: “Mikael è il nome in ebraico dell’Arcangelo Michele, il guerriero celeste che è a capo delle legioni angeliche, viene sempre descritto con una spada fiammeggiante e quella tua spada sembra ardere davvero” – “ E come conosci il nome della mia spada?”- chiesi, a quelle parole si zittì e fece finta di nulla, e a me non importava più di tanto. Harminius mi portò subito a fare un giro della casa, era davvero grande, a due piani e con un giardino sul retro, tutti i locali erano ampi e spaziosi con mobili che sembravano provenire da tutti gli angoli più remoti del mondo, sarebbe bastato un semplice giro di quella casa per uscirne più ricchi interiormente di nozioni o semplici immagini fantasiose di luoghi selvaggi e impervi in cui uomini bizzarri intagliavano la sedia su cui ti trovavi seduto o la maschera che osservi appesa al muro. Non fu difficile badare alla casa, entrambi non mangiavamo molto e ci accontentavamo di una cucina semplice.
Le lezioni duravano quasi tutto il giorno, Harminius riteneva che il detto “mens sana in corpore sano” dovesse essere scolpito nella mente di ogni vero uomo, quindi alternava allenamenti fisici (soprattutto nell’uso della spada) a vere e proprie lezioni incentrate su varie branche del sapere, ma dopo poco cominciai a capire quali fossero i suoi veri interessi e la sua storia: Harminius non aveva nessuno a cui tramandare le sue conoscenze, per questo si era affidato ad uno sconosciuto come me, sembrava un 50enne ma forse aveva molti più anni, aveva girato il mondo e visto terre ancora sconosciute, ma soprattutto era un vero esperto di magia nera e occultismo; più le lezioni progredivano più mi faceva addentrare in questo mondo, riti, magie, demoni, spiriti e quant’altro. Aveva imparato da maghi indiani, orientali ed europei, e ricordava tutto come se fosse accaduto ieri. Devo dire che le lezioni non mi sembrarono mai noiose e le nozioni mi rimanevano impresse, mi sentivo come una spugna che assorbiva tutto, ma forse solamente per cercare di dimenticare e sommergere i ricordi. Ogni giorno però quando giungeva la notte, niente poteva fermare i miei pensieri, nessuna barriera o muro, arrivavano come una tempesta a sconvolgere la mia mente e il mio cuore distruggendo tutto. Harminius sembrava non accorgersi del dolore che provavo, o almeno sembrava non volersi immischiare. La gente di Parigi lo conosceva come un mago e grazie alle loro commissioni riusciva a vivere agiatamente, i cittadini gli chiedevano notizie sui cari defunti, su gente scomparsa, e alcune persone chiedevano la morte di nemici; in questo caso Harminius valutava bene tutto, riusciva a capire dagli sguardi e dai movimenti se una persona stava mentendo (insegnò anche a me come fare), e accettava solo se la persona da uccidere era davvero malvagia. La morte non avveniva quasi mai per mano del mago, ma tramite illusioni ed evocazioni che provocano nella vittima un infarto o un ictus che le uccidevano; mi disse che preferiva evocare gli spiriti delle persone che erano state uccise dal malvagio. Tutti lo rispettavano e in certo modo si sentivano protetti da lui, sapevano che non avrebbe mai fatto del male ad un innocente.
Erano ormai cinque anni che vivevo con lui, avevo imparato quasi tutto e come continuava a ripetermi lui, ormai mi mancava solo di fare “esperienza sul campo” ma non avevo intenzione di proseguire il suo lavoro, non m’ importava e non l’avrei fatto, ormai ero in grado di badare a me stesso e alla prima occasione mi sarei allontanato da lui e dalle sue arti nere. Era un giorno di pioggia quando durante un allenamento con la spada sentimmo suonare alla porta, fuori c’era un uomo sui trent'anni con un lungo mantello rosso foderato di una folta pelliccia, tutti a Parigi lo chiamavano Plaisir, questo soprannome gli fu affibbiato perché tra le sue varie attività gestiva una decina di bordelli in tutta la città; Harminius mi parlò di lui, era un mago ma dai metodi diversi da quelli del mio maestro, non aveva scrupoli e non chiedeva motivazioni se le sacche dei suoi clienti erano piene di denaro. Andammo giù ad aprire e Plaisir, senza dir nulla, entrò nell’abitazione, si levò il mantello e si sedette sul divano invitandoci con un sorriso a fare altrettanto come se quella fosse stata casa sua e noi gli ospiti. Harminius si sedette, mentre io rimasi in piedi alle sue spalle: “Avevo sentito parlare del tuo discepolo, non sembra un granché comunque, sicuro di aver fatto una buona scelta?” – a quelle parole il mio spirito s'infiammò ma Harminius mi placò con un gesto della mano: “Che cosa vuoi da me Plaisir? Vieni qua nella mia casa e ti comporti come un padrone, che cerchi?”- Il parigino fece un gesto di sdegno alle parole del mio maestro come se si fosse offeso, contemporaneamente portò la mano guantata sotto il mento, accarezzandosi il pizzetto; dopo qualche secondo di silenzio disse: “C’è una delle mie…ragazze diciamo…che è posseduta da qualcosa, sento chiaramente in lei un’altra essenza, ma non riesco a distruggerla o cacciarla dal suo corpo, è una delle mie pupille e tengo molto a lei..-“Sei venuto qui a chiedere il mio aiuto?”-lo interruppe Harminius -“Sai bene quanto disprezzo te e i tuoi affari e pretendi che ti dia una mano?” – “Non te lo chiedo per me ma per la ragazza, seppellisci l’ascia di guerra mio caro Harminius, ho già pronta la ricompensa, non ho tempo da perdere qui con te e con il tuo fedele cagnolino, se vuoi aiutare la ragazza vediamoci domani al 5 di Rue Duperie alle 21, se ci sarai bene, sennò sarò costretto ad uccidere la ragazza”. A queste parole si alzò, prese il mantello e se n' andò. Harminius era rimasto seduto, aveva entrambe le mani sotto al mento e uno sguardo concentrato, dopo poco disse: “Sento che qualcosa non quadra,forse mi sbaglio ma se fosse vero? Non posso rischiare di far morire quella povera ragazza, domani andrò all’appuntamento.” – “Vuoi che venga anche io? Posso esserti utile in molti modi”- dissi posizionandomi di fronte a lui e cercando di sembrare il più calmo possibile, l’idea di entrare in azione infatti mi aveva emozionato, e non poco – “Va bene, verrai con me, stanotte rimarremo a digiuno per poter meglio affrontare il rito di domani, vai nella tua camera, ti chiamerò più tardi”.     [ avanti » ]

di Conte Drakul