3 Gennaio 1290

Alcuni mi chiamano ancora Nerissa Angell. Ora per la verità il nome mi si addice troppo, il cognome troppo poco.
Solo ora trovo il coraggio di scrivere ciò che persino la mia mente rifiutava di credere. Forse nemmeno ora lo crede, ma è la sola via che mi resta per accettare ciò che sono.
Per rinunciare a ciò che ero.
Il mio spirito, se ancora mi resta, brama di sapere. Per questo sono in viaggio, in un mondo che non ho mai visto, alla ricerca di quella che spero potrà rivelarsi la verità, sebbene non sappia in quale forma mi si presenterà dinnanzi.

5 Gennaio 1290

Audrey Malory. Questo nome mi attraversa il corpo come un fantasma, ogni volta che i miei occhi si chiudono. Nella mia solitudine, avvolta nell'oscurità, mentre fuori il mondo vive, ricordo anche il suo viso e le sue mani.
Era un maestro. Il mio maestro.
Non so che progetti avesse in serbo per me mio padre, ma ottenne che io avessi un'istruzione. Doveva trattarsi solamente di lettura e scrittura, ma quando cominciai a leggere non riuscii più a farne a meno.
Leggevo ogni cosa: dalle poesie ai trattati filosofici, dalle storie dei santi alle prose satiriche.
Audrey Malory era un monaco dell'abbazia di Canterbury, un giovane talento, a sentire ciò che l'Abate aveva assicurato a mio padre.
Ricordo quando lo vidi per la prima volta...
Arrivò al castello di mio padre una notte d'inverno, mentre c'era tormenta. Faceva freddo, i camini scaldavano quel che potevano delle enormi stanze della mia infanzia, ma ricordo... Ricordo che, sebbene i suoi occhi fossero gelidi come il Mare del Nord, scaldarono qualcosa nell'ambiente. O forse solo dentro di me.
Sorrise, anche, ed era gentile.
Aveva un saio addosso, con il cappuccio alzato da cui spuntavano dei capelli lisci e spettinati sulla fronte. Il suo corpo era attraversato da un tremito continuo. Si sfregava le mani vigorosamente, come se patisse soltanto la presenza di uno spiffero, eppure lì, sulla soglia innevata, il ghiaccio e il vento gli perforavano la pelle.
Non so se il suo sguardo verso di me, quella volta, rivelasse già qualcosa del mio futuro.

6 Gennaio 1290

Ho ancora troppe cose da imparare per pensare di dare la vita. Per poter vedere l'alba che sta bagnando la terra di rosa e d'azzurro in questo momento. Un tempo l'avrei fatto, senza pensarci.
Quel tempo in cui non pensavo che lo splendore del sole potesse uccidermi.
Su queste pagine sto scrivendo molto e troppo poco del mio passato... Potrò anche accennare al rimpianto del presente?
La mia vita cominciò a correre in un solo luogo: la biblioteca. Non sapevo, e non potevo immaginare, che mio padre fosse così avido di sapere.
Audrey Malory, il mio maestro, mi spiegò che Lord Angell era stato preceduto da suo padre nell'impegno di proteggere l'abbazia di Canterbury e le sue figlie, da quasiasi pericolo, fisico o politico, nella quale fosse incorsa. La sua fedeltà all'Arcivescovo era grande, tanto grande che il vescovo stesso donò a mio nonno, per proteggerli, alcuni dei libri più preziosi e antichi del monastero.
Audrey Malory era innamorato della sapienza. Per lui, tutto ciò che era fonte di conoscenza, era importante, oserei dire quasi fondamentale, per la sua esistenza. Era un sentimento talmente forte, il suo, che finì per contagiare anche me.
Passavo intere giornate seduta per terra, circondata da volumi grandi, piccoli, aperti o chiusi, illustrati e scritti. E leggevo, ora sull'uno, ora sull'altro, bevendo le parole tutto d'un fiato, per la sete di sapere.
Il mio maestro si innamorò del mio amore per lo studio. Io, piano, mi innamorai di Audrey Malory.

9 Gennaio 1290

Non intendo raccontare il mio presente, non ancora. Non finché il passato, che avevo bandito dalla mia mente, continuerà a perseguitarmi.
Quella notte mi fermai nella biblioteca, poiché volevo a tutti i costi terminare di leggere un manoscritto: il trattato di teologia di un monaco, successivamente condannato per eresia. Egli sosteneva l'esistenza di esseri demoniaci talmente belli da poter far pensare a Satana con il sorriso sulle labbra e l'adorazione negli occhi.
Non so ancora molto su questo monaco, ma tutti lo ricordano ancora con il nome di "Eretico". Più tardi, tuttavia, fui consapevole che anche costui non poteva sottrarsi al piacere dei morsi di un bevitore di sangue.
Il destino mi accompagnò per mano, quella notte. In risposta al tonfo del libro che chiudevo, sentii dei rumori provenire dall'esterno.
Mi affacciai alla finestra e scorsi distintamente Audrey Malory che usciva lentamente dagli alberi neri della notte. Sembrava un fantasma, il mio maestro, ad ogni passo pareva cadere, eppure rimaneva ritto e composto nella sua andatura. Non so cosa me lo fece credere, ma pensai avesse bisogno d'aiuto.
Lo raggiunsi che stava per salire le scale.
"Maestro!".
Mi guardò, penso, o tentò di farlo. In ogni caso sentì la mia voce e mi si aggrappò ad un braccio.
"Nerissa" sussurrò. E non mi aveva mai chiamata per nome.
Le sue dita si stringevano spasmodicamente sulla mia pelle, erano magre e forti. Fino ad allora le avevo solo viste toccare libri, accarezzare rilegature, sfiorare pagine.
Capii che quello era Audrey Malory, un uomo, e che in quel momento né per me, né per lui era un maestro.
"Maestro" ripetei, "che cosa avete? Cosa vi è accaduto?".
Ricordo che in quel momento rise sommessamente, come se volesse farmi capire che esistevano cose che andavano oltre la mia comprensione.
Accennai ad aiutarlo a sollevarsi da quel torpore momentaneo, ma egli si ritrasse immediatamente, quasi spaventato di sé stesso.
Ricordo che in un lampo mi accorsi delle sue mani sporche di sangue. Fu un attimo e poi prese ad affrontare le scale, strisciando sulla parete.
Non so ancora perché lo seguii, ma a distanza di due gradini da lui, io divenni la sua ombra.
Lo adoravo. La sua sapienza era la mia vita, il suo corpo conteneva tutto ciò che volevo sapere.
Lo vidi accendere una candela nella sua camera e lo sentii ripetere biascicando:
"... levavi oculos meos ad montes, unde veniet auxilium mihi, auxilium meum a Domino quieecit, caelum et terram non dedit in incommodi...".
Continuò a ripetere il suo perdono e si sdraiò sul suo giaciglio. La luce fioca di una candela si rifletteva luminosa e gialla sul sangue che gli sporcava le labbra. Il saio logoro lasciava intravedere la pelle pallida del torace.
Mi avvicinai, prima esitante, ma piano sempre più conscia di ciò che volevo fare.
Mi chinai su di lui e leccai il sangue che gli bagnava le labbra.
Parve destarsi. Aprì gli occhi, prima chiusi da un muto dolore, e guardò nei miei, con compassione.
"Non dovreste farlo, Nerissa".
"Il vostro sangue, maestro, è il letto della vostra conoscenza".
Richiuse gli occhi. "Non potete sapere quanto le vostre parole si avvicinino al vero".     [ avanti » ]

di Edeastrega