Nudo sul letto pensava a lei. Immaginava la sua faccia, i lineamenti beati, al modo in cui gli aveva sorriso la sera precedente.
Si erano incontrati a un pub, lei stava uscendo, lui entrando, un momento, una frazione infinitesimale. E lui l'aveva guardata come rapito e lei gli aveva sorriso, raggiante, le labbra leggermente screpolate, sotto la luce scalpitante dell'insegna.
Adesso, sul polveroso letto di un ostello, non riusciva a levarsela dalla testa.
"Avrei dovuto fermarla, almeno per chiederle il nome, ma era con delle amiche e non potevo disturbarla" pensò "e anche se l'avessi fermata, non avrei saputo cosa dirle" tutti quegl'anni e non aveva imparato niente delle donne.
Vivere in solitudine per molto tempo lo aveva portato a rintanarsi in se stesso, a non dare troppo spazio alle altre persone. Ma forse era stato sempre così, anche quando era umano, e le storie che si raccontava non erano altro che scuse.
La verità è molto più dolorosa di quanto si possa credere, fingere per fuggire può essere un sollievo per l'anima, e lui incolpava la sua condizione, il suo passaggio a nuova vita, vita che non gli permetteva di essere come avrebbe voluto.
Quante volte poteva dire di essersi innamorato? Certo, erano molte le donne di cui si era invaghito, alcune era riuscito a portarsele sotto le coperte, ma con tutte non aveva mostrato altro che il freddo inverno, la maschera di sporco e neve da cui dipendeva.
A nessuna aveva donato se stesso, neanche una briciola. Comunque, si dice che nella vita si tratta solo di trovare le persone giuste e forse lui non ne aveva trovato neanche l'ombra. E adesso giaceva nudo, il suo amore nella testa, il leggero ronzio di una cinepresa, kilometri di pellicola solo per lei.
Quella sera tornò nello stesso locale nella speranza di incontrarla. Abel, come sempre, sedeva al suo fianco come un cane da guardia ringhioso.
Aveva il setto nasale incavato, come se glielo avessero stroncato con un calcio, e la mandibola sporgente, proprio come un mastino da guardia: rabbioso e violento. Lo aveva trovato anni addietro in un vicolo lurido e piscioso di Londra. Impaurito e piagnucolante si stringeva in se stesso, ritraendosi come una lumaca nel guscio. Lui si chinò, con la destra lo afferrò per il mento e lo guardò negli occhi. Lo carezzò e lo baci sulla fronte. Abel sorrise, all'improvviso la paura se ne era andata, non tremava pi e sorrideva. Lo aiutò ad alzarsi e lo accompagnò alla stanza che occupava.
Lo lavò, gettò i suoi abiti cenciosi e gliene dette di nuovi e profumati.
Lo fece cenare, gli fece bere del buon vino, poi lo mise a letto.
La mattina seguente Abel si svegliò nell'oscurità della casa. Si alzò, fece alcuni passi, sbattè contro quello che doveva essere un comodino.
Non capiva, cosa era successo, per quanto aveva dormito. Tentoni avanzava nell'oscurità, sentiva che la paura tornava a fargli visita, vivida, tangibile, una lama affilata contro la base del collo.
Dov'era finito lo strano tizio che lo aveva aiutato, dov'era il suo salvatore. Cercò di chiamarlo, lo chiamò, urlò il suo nome. Nessuna risposta, solo il silenzio a riempirgli le orecchie. Sentì che gli si spezzava il respiro in gola, cominci ad ansimare freneticamente come un malato terminale a cui hanno staccato l'ossigeno.
Trovò un interruttore, lo premette ma la luce non si accese. Iniziò a piangere, una leggera cantilena appena percettibile, pioggia sottile su terreno bagnato. Riuscì a uscire dalla stanza, imboccò un corridoio, si ritrovò in cucina. Nella penombra, su di una poltrona, il suo salvatore aspettava braccia conserte.
- Vuoi diventare mio amico? - chiese.
Abel annnuì.
- Per sempre? -
Annu di nuovo.
Con un balzo animalesco schizzò sul collo di Abel mordendolo con ferocia.
L'abbraccio era appena iniziato, uniti per l'eternità, per sempre insieme.
- Non si farà più vedere caro Abel. Probabilmente si trovava qui per caso - sospirò - Cos'è l'amore se non l'attimo fulmineo in cui ti incendi per un'altra persona, quel preciso istante in cui la meraviglia è così tanta che pensi che Dio sia misericordioso e puro - un sorriso, uno sbuffo - Eppure l'amore è paralizzante, ma è solo l'attimo, ciò che viene dopo muore nel ricordo di quell'istante -
Abel annuì, del resto era stato creato per questo.
- Andiamocene, non ci facciamo niente tra questi... - mise il soprabito e imboccò l'uscita.
Abel lo seguì in silenzio, avvolto nel nero cappotto.
L'aria notturna pungeva fresca sulla loro pelle bianca, candida come rose.
Era freddo e nonostante la cosa per loro fosse marginale si stringevano nei lunghi cappotti, rabbrividendo per ogni alito di vento.
Presero una via laterale poco illuminata, nella speranza che qualche vittima si prestasse ai loro intenti. Ma la strada era deserta e continuavano a camminare, il freddo e il buio loro unici compagni. Annusò l'aria, un cacciatore che cerca di localizzare probabili prede. Sputò in terra, riprese a camminare.
La strada si strinse maggiormente, fino a diventare appena sufficiente per un auto, per poi sbucare in un parco, uno di quei parchi con i giochi per bambini. Su di un'altalena, dalla parte opposta a dove si trovavano loro, un ragazzo e una ragazza amoreggiavano riparati dalla luce di un lampione. Abel glielo fece notare.
- Ho visto: prede -
Si avvicinavano osservandoli, calibrando ogni passo per non fare rumore.
I due innamorati continuavano nel loro bacio, così belli nella loro luce, così innocenti.
Lui non avrebbe colpito, non ancora e Abel, di conseguenza, avrebbe fatto altrettanto.
Il ragazzo si allontanò dalle labbra della ragazza, una carezza sulla guancia.
Dolore, al petto, un senso di spossamento come se ubriaco cercasse di mantenere il controllo.
La ragazza sorrideva al ragazzo, lo stesso sorriso che aveva donato a lui, la stessa faccia. Ferito: ma non aveva sorriso a lui?
Quel sorriso non poteva significare niente e chi era quel tipo?
Dove lo aveva trovato?
Prede, soltanto vittime.
"E così sono queste le donne? Prima con uno, poi con un altro. Non sono niente, mi ha ingannato con la sua bellezza" si sentiva tradito, illuso.
Quanto era stato sciocco, lui, dall'alto dei suoi anni, come aveva potuto farsi trattare così. In collera.
Sentiva le vene dilatarsi, riempirsi di odio e violenza. Gli occhi divennero rosso sangue, ruggì. L'atmosfera idilliaca dei ragazzi svanì al suono di quel lamento. Si guardarono attorno spaventati.
Il ragazzo la prese per mano, come per darle coraggio. Abel li stava fissando, la testa inclinata verso sinistra, sguardo maniacale.
I ragazzi si alzarono in piedi, pronti ad andarsene all'istante.
Un urlo, dall'alto lui cadde sopra di loro con tutto il peso che la morte porta con se. Afferrò il ragazzo per lo stomaco e lo gettò contro un albero.
Rumore di ossa rotte: difficile rialzarsi. Lo rialzò lui, prendendolo per la testa.Lo portò in posizione eretta, gli mise le mani sulle tempie e inizi a premere.
Uno scricchiolio, il cric della scatola cranica che si comprime, sprofondando dentro la massa grigiastra del cervello. Mollò la presa: il corpo del ragazzo cadde a terra senza vita, un alito di polvere nel vento.
Nel frattempo la ragazza si era data alla fuga, correndo senza una precisa direzione nella speranza di essere risparmiata. Ma Abel l'aveva seguita e non ci volle molto prima che la raggiungesse e la bloccasse.
Lui venne con un sorriso, camminando leggero sorrideva.
Abel la teneva per le spalle, sghignazzando felice per il pasto che avrebbe consumato. Le si avvicinò, lei piangeva impotente.
Le disse di non preoccuparsi, le disse che alla fine paghiamo sempre per le nostre colpe. La baciò, poi si cibò di lei fino all'ultima goccia.

di Trev