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Londra, 1807.
Dopo la morte dei miei genitori, rimasti intrappolati in un incendio nella
taverna in cui lavoravano, ero andata a vivere con mia nonna. Era una persona veramente speciale, nonna Siva, e mi aveva insegnato tutto ciò che sapevo sulla stregoneria. Si, era una strega e io, da mia madre, avevo ereditato i suoi poteri.
Non erano molto ben visti quelli che esercitavano le pratiche magiche, così mia
nonna si era stabilita in una piccola casetta fuori città, tra la natura e la
campagna inglese, al limite del bosco. Inoltre lo stretto contatto con la natura, favoriva il crescere e l'aumentare dei legami coi quattro elementi, e di conseguenza, il rafforzamento dei poteri. Trascorsi con lei nove anni della mia vita, in cui imparai non solo le arti magiche, ma le arti della vita. Pur essendo mal vista dalla maggior parte della gente, nonna Siva era una donna generosa e altruista, cose che io non sapevo tirare fuori dal mio carattere. Tutta questa benevolenza, le portò più male che bene: una notte di luna piena uscì, attraversando il bosco, per andare ad aiutare una donna che stava avendo un parto difficile. Nacque quella nuova vita ma se ne spense un'altra: quella di mia nonna. Stava tornando a casa quando fu aggredita da un licantropo. L'uomo che era con la stava riaccompagnando a casa, arrivò alla mia porta zoppicando e sanguinando. Lo portai da un dottore, il dottor Tompson, e non appena fui sicura che se la sarebbe cavata, andai a cercare mia nonna nel bosco, anche se sapevo che ormai era troppo tardi. Quando la ritrovai aveva il petto e lo stomaco squarciati da atroci ferite, profonde e sanguinolente. Sembrava proprio che la mia famiglia non era destinata ad avere una lunga vita. Rimasi da sola, in quella piccola casa isolata, coi miei diciotto anni. Ma non sapevo ancora che presto la mia vita sarebbe cambiata per sempre. Passavo le mie giornate in un piccolo laghetto naturale dove vi s'immergeva una piccola cascata, poco lontano da casa, nel cuore del bosco. Speravo che almeno li avrei trovato la forza per continuare, anche se ero rimasta sola. In un certo senso la trovai. Ero seduta sull'erba soffice e stavo scrivendo un incantesimo che mi aveva insegnato mia nonna prima di morire.
"Dal potere più antico dell'universo?"
Sentì le parole che stavo scrivendo, pronunciate da qualcuno alle mie
spalle.
Subito coprii con una mano la frase, non sopportavo che qualcuno, leggesse le
mie formule.
"E' privata."
"Cos'è, una poesia?"
Mi girai e vidi il ragazzo che mi sembrava di aver visto insieme al dottor Tompson.
Non l'avevo guardato così bene e così da vicino, l'altra volta avevo altre cose
per la mente. Aveva due occhi veramente belli, di una azzurro forte e intenso
che gl'illuminavano il viso circondato da una massa di capelli biondi e
ondulati, che gli sfioravano appena le spalle.
Indossava solo i pantaloni arrotolati fino al ginocchio ed era bagnato dalla
testa ai piedi. Era ancora giovane, ma aveva già un fisico tonico e atletico, i
muscoli del petto e delle braccia erano ben delineati.
Forse mi ero soffermata troppo ad ammirarlo che non avevo ancora risposto alla domanda.
"No."
"Allora cos'è?"
"Niente che possa interessarti."
Mi stupii da sola della rigidità e dalla scortesia di quelle parole, ma cosa
gli potevo dire, che ero una strega e che quella era una formula?
Originale per attaccare discorso, ma mi avrebbe preso per pazza. A quel tempo non tutti credevano veramente nelle streghe. Eravamo più come l'uomo nero o le fate, soggetti per inventare storie per bambini.
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di Rica G. Blake
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