Quando il conte Wrulok uscì dalla bara faceva piuttosto freddo. Corse a prendere il mantello, quello di lana e poi dopo a chiudere la finestra. Fuori aveva appena nevicato e l’aria era veramente rigida: erano almeno sette gradi sotto lo zero. Il conte cercò di riscaldarsi attaccando il proprio corpo intirizzito e tutto d’un pezzo, al termosifone che bolliva da più di un’ora. Fuori c’era vento e lo si capiva dagli alberi che tormentati, si agitavano selvaggiamente. Si racchiuse nel mantello che teneva caldo e dopo qualche minuto, egli riuscì a controllare i brividi di freddo. Poi stappò una bottiglia di migliorello, vino pregiato di alta qualità della Val Susa e bevve già tutto d’un fiato. Si rinvigorì in men che non si dica e la sua faccia prese un colorito un pochino più vivace. Andò in bagno e si mise di fronte allo specchio ma si spaventò, perché non ricordava più di essere un vampiro. La sua immagine non si rifletteva nello specchio e una voce proveniente dalle forze dell’oscurità glielo ricordò: “La tua immagine è svanita nell’oblio dove tutte le energie terrene perdono vita”.
Quella notte si sentiva stanco e non se la sentiva di uscire e volare nei cieli lividi di Bucarest. Preferiva rimanere nel suo castello in Transilvania a godersi vino pregiato e un po’ di sanguisughe d’allevamento biologico, fermentate nelle erbe all’interno di una bottiglia di vetro.
Si era messo a leggere delle riviste d’arredamento e si dondolava su una sedia di nuova fattura che si piegava come fosse di plastica. Sfogliava la rivista con l’acume di un fabbro. Ne studiava minuziosamente tutte le caratteristiche. Si era preso lo sghiribizzo di comprarsi una nuova bara; del resto il suo nuovo lavoro da detective gli fruttava degli ottimi guadagni ed aveva aperto un’agenzia per conto di una sua damigella di fiducia e del suo aiutante Wolfo, un lupacchiotto che si muove come uno scimmione, apparentemente innocuo. Lavorava di notte ovviamente anche se tramite il figlio di Frankenstein, stava studiando un modo per resistere, almeno a tempo determinato, alla luce.
Quella notte qualcuno venne a bussargli alla porta e il Conte Wrulok sentiva sul suo corpo tutta la fatica del centenario che non vuole scendere né tantomeno salire le scale. Decise di trasformarsi in pipistrello e di volare giù in un battibaleno.
Era il figlio di Frankenstein in persona che gli annunciava una strabiliante notizia:
-Sig. Conte, la prego mi faccia entrare e le mostrerò l’invenzione tanto attesa!
-Sono impaziente e anche piuttosto malconcio.
-Nascosta in questo sacchetto c’è nascosta la pozione magica che le permetterà di vivere anche di giorno. Venga, tocchi pure. Senta il calore proveniente dall’interno.
-Mi fido. Estragga l’ampolla e me la faccia provare subito, fra poco sarà l’alba e dovrò mettermi a lavoro.
La luna piena stava già iniziando a calare. L’ampolla ribolliva di un liquido giallastro e quasi fosforescente. Il Conte bevve senza opporre resistenza alcuna. Secoli di pericoli e di cacce, gli avevano acuito l’innato coraggio. Gli fumarono le orecchie per un pò e come sfiancato da una giornata piena di lavoro, cadde all’indietro sul divano, finendo in mezzo alle innumerevoli ragnatele. Si liberò dalla morsa del ragno e tentò di avvicinarsi al figlio di Frankenstein per chiedergli se ci sarebbero state delle reazioni, una volta finito l’effetto.
-Sentirà un pò di bruciore unito ad una certa sonnolenza, ma i suoi riflessi saranno ancora più acuiti in realtà. Inizialmente dovrà abituarsi alla pozione e quando il suo fisico ci avrà fatto l’abitudine allora si sentirà come Superman e potrà risolvere tutti i casi possibili.
Disse l’uomo che sembrava avere molta fretta. Gli lasciò la piccola ampolla sul tavolo e la avvolse con un panno. Il Conte aveva preso un nuovo colore e sembrava recuperare forze.
-C’è solo un sintomo che potrebbe coglierla, una volta esaurito l’effetto.
Seguitò nella spiegazione lo scienziato.
-E di cosa si tratta? Mi dica, per favore.
Disse con fatica il Conte che ribolliva di calore e stava avvampando in maniera inaudita.
-Ogni volta che lei si sentirà soddisfatto per il fatto di esser riuscito a risolvere un caso investigativo, inizierà a sentire un certo languorino e ciò lo renderà più vulnerabile per quella che è poi la sua natura, da cui non si può sfuggire e dovrà fare molta attenzione, resistere alla tentazione di azzannare il collo della malcapitata che ha appena aiutato. In quel caso, per via della regressione alla natura di vampiro, rischierà la sua secolare vita di non umano, se ciò accadrà quando il sole sarà ancora alto nel cielo. La cosa assolutamente positiva è che gli effetti della pozione non diminuiscono lungo l’arco delle sue indagini e lei conserverà tutte le sue doti, anche se a fin di bene.
-Vuol dire che lei è un genio? Accidenti, mi sento già meglio.
-Si rimetta in piedi sig. Wrulok. Io ora devo andare. Mi attendono altri esperimenti. Mi porti comunque qualche cavia ogni tanto. Se il mio esperimento su di lei funzionerà, allora potremo diventare ricchi e prosperare di nuovo assieme.
-Sig. Frankenstein, ho già beneficiato troppo delle mie ricchezze. Se questa cosa dovesse funzionare come immagino le troverò una nuova sistemazione o le donerò la mia grande cantina, in via ufficiosa, per tutti i suoi esperimenti.
-Grandioso! A risentirci sig. Conte. Le ho lasciato una scatola intera di pozioni accanto al frigo.
-Ottimo! L’attende una carrozza qui fuori che la scorterà fino al suo appartamento.
La carrozza era già pronta, anche se non c’era un conducente e i cavalli avrebbero galoppato da soli.
Quando il sig. Wrulok rientrò nel castello, invece di trasformarsi in pipistrello e spostarsi da una stanza all’altra, come del resto aveva sempre fatto, prese a correre come un essere umano normale. Si tolse il mantello di lana e lo ripose nell’armadietto di frassino che allisciò con le unghie che erano ora più appuntite. Passò di fronte allo specchio e riuscì a vedersi. Aveva le labbra quasi rosse e il naso aquilino. Era vestito di nero e sotto aveva una deliziosa camicia bianca con un fiocchetto che gli stringeva il collo. Se lo tolse e respirò profondamente. Allargò le braccia in segno di libertà e una delle sue mani passò davanti al primo raggio di sole che era penetrato nella sua dimora ancestrale. Non bruciava. Non aveva preso fuoco. Andò al frigorifero, aprì il freezer e tirò fuori l’unico pezzo di carne morta rimasto. Si trattava di un braccio di un uomo ed era congelato. Andò alla finestra, la aprì e lo gettò nel fosso che si trovava proprio sotto il suo castello. Andò in cucina, aprì il rubinetto, l’acqua ci mise un pò prima di uscire ma poi riuscì a berla, proprio come un uomo. Ci volle un pò prima che l’acqua uscisse bianca e trasparente. Non aveva più sonno. Si sgranchì le gambe ed iniziò a fare un pò di ginnastica. Fece su e giù, ripetutamente. Si stirava le gambe e le braccia, alternativamente. Il sole stava sorgendo. Non si fidava ancora del tutto ed ebbe un pò di timore ad uscire dal castello. Ma prese coraggio.
Era una meravigliosa giornata di sole e quel sole avrebbe sciolto il ghiaccio.
Il Conte scivolò, cadde rovinosamente e batté la testa su una lastra di ghiaccio che si era formata davanti l’entrata al castello. Non sentì dolore. Per quello era come prima. Chiuse il portone e diede un ultima occhiata alla sua imponente dimora. Diede un colpo alla porta e poi se ne andò, a piedi.
Percorse il sentiero, in mezzo al fitto bosco, con disinvoltura. Non voleva dare troppo nell’occhio e per questo non si era portato dietro il mantello. Solo il consueto cerume al volto e i guanti di velluto nero. Decise che si sarebbe trasformato in pipistrello solo nei casi di estrema urgenza e necessità.
Lungo il tragitto, in mezzo ai cespugli, sentì però un fruscio. Si fermò all’istante per avvicinarsi al punto da dove proveniva il rumore. Spuntò il lupo. Il suo amico e fedele aiutante e servitore. Un lupacchiotto in carne che aveva solo il volto pulito, poiché amava andare dal barbiere una volta ogni tre giorni, tanto gli crescevano in fretta tutti quei peli che sfoggiava con disinvoltura sul corpo.
-Che diavolo ci fai qui Wolfo?
-Volevo venire a bere un po’ di vino da te. Ma piuttosto dove stai andando?
-In città a fare compere. Ehm … Diciamo che ho un appuntamento importante.
-Tira più un pelo … Diamine! Ma come hai fatto ad uscire di giorno?
-Ti racconterò tutto molto presto. Vieni con me in città?
-Dove stai andando. A dirà la verità io stanotte non ho mangiato nulla.
-Non cambi mai. Ti farò mangiare io. Ma, insomma, vuoi venire o no?
Wolfo era indeciso ma poi decise di no.
-Credo proprio che andrò a correre nella foresta. Sento il bisogno di sgranchirmi le gambe. A domani sig. Conte!
-Come preferisci.
Si salutarono e in un battibaleno Wolfo scomparve nel bel mezzo della natura.
Una volta giunto in città, tutti salutarono il Conte, senza pensare al fatto che era giorno.
Dal droghiere al venditore di alcolici, tutti erano usciti sulla soglia dei loro negozi, per salutare il passaggio del Conte Wrulok che si recava in città solo per comprare il suo amato vino.
Dopo aver attraversato il centro di Bucarest, Wrulok giunse fino alla sede della sua agenzia.
La saracinesca era ancora abbassata, controllò l’ora dall’orologio della torre ed era ancora presto.
Stranamente gli altri negozianti avevano già aperto ma non ci pensò su più di tanto. Aveva deciso che avrebbe fatto una sorpresa a Berenice, la sua damigella e segretaria della sua agenzia investigativa Demons, Nosferatu and company.
Pochi minuti dopo arrivò Berenice che non credeva ai suoi occhi. Girò più volte attorno alla figura del Conte e gli toccò persino il viso. Era intatto. Sano e vegeto più che mai. Le chiese persino di portargli un the caldo.
-Ma che ti succede? Quale droga ti ha reso così?
-Ricordi il figlio di Frankenstein?
-Beh?
-Mi doveva un favore.
-E allora?
-Eccomi qui. Sano e salvo alla luce del sole.
-Quell’uomo è un genio!
-Sì, ma anche furbo.
-Perché?
-Come ogni medicina, anche questa avrà i suoi sintomi e dovrò fare attenzione.
-Sarebbero?
-Nulla di preoccupante. Me la caverò.
-Ne sei sicuro?
-Certamente.
Berenice si mise subito a lavoro. Erano giunte già diverse e-mail di richieste d’investigazione. La ragazza, ancora stordita dall’avvenimento, le stampò per darle fra le mani del Conte.
-E ora cosa farai? Lavorerai giorno e notte?
-No. A secondo della gravità dei singoli casi, agirò di conseguentemente, di giorno o di notte.
-Uhm. Interessante. Allora arrivederci sig. Conte e buon lavoro. La chiamerò per qualsiasi variazione o novità rilevante. La giornata è ancora lunga.
-Del resto, questo è l’unico modo che mi resta per espiare gli omicidi di secoli di dannazione. Vuole che le vada a prendere un pò del nostro caffè?
-No, la ringrazio. Per questa mattina sono a posto così.
Il Conte corse via gioiosamente. Passò comunque nella bottega all’angolo dal suo servitore preferito di caffè.
-Una zolletta di cervella umane all’interno del ginseng rumeno. Ecco qui, pronto bollente.
Il Conte mandò giù in una frazione di secondo.
In città già sapevano tutti dell’esperimento ed erano certi che avrebbe funzionato.
Per la prima volta nelle loro vite si sentivano al sicuro in presenza di un vampiro. Avevano imparato ad amarlo il Conte Wrulok. A loro non aveva mai fatto del male ed ora sembrava persino ringiovanito.
Decise di comprarsi una bicicletta e così iniziò a girare in città con il nuovo acquisto. Dimenticò le ali ma ebbe nostalgia del mantello che prontamente riprese subito, anche se sostituì quello di lana con quello di seta. Tornò nel suo castello ed esaminò con calma le mail pervenutegli al suo indirizzo di posta wruloklandia@nosfera.net
Doveva per forza recarsi in agenzia per vedere le mail, il suo castello era rimasto arcaico, in tutto e per tutto. Iniziava a sentire un pò di stanchezza, non era ancora abituato alla pozione e per precauzione tornò nella sua bara. Lasciò i fogli accanto e quando si risvegliò non li ritrovò più lì. Li cercò nel castello, mentre il sole era ormai al tramonto. A forza di cercare si spazientì ed uscì a fare un giro. Faceva già meno freddo e il ghiaccio si era sciolto quasi tutto. L’inverno stava finendo, il periodo più duro doveva ancora arrivare. Quello in cui il sole avrebbe scottato. Al solo pensiero, gli doleva la testa. Iniziava a sentire emozioni e sensazioni umane, cosa che non gli era mai capitata e doveva farci l’abitudine.
Si sarebbe preso qualche giorno di ferie, prima di tornare a lavoro e perciò l’indomani avvertì Berenice che però gli disse che l’indirizzo di posta era tempestato di mail riguardanti richieste d’aiuto, persino dall’Italia. Sarebbe stata una vera e propria svolta. Wrulok già pregustava l’idea di trasferirsi per un pò, proprio come fece un certo Dracula, in uno Paese straniero. Avrebbe noleggiato un appartamento o una villa, tanto se la sarebbe potuta permettere, e avrebbe aperto una nuova sede della sua agenzia, con o senza Berenice che difficilmente si sarebbe staccata dalla sua amata Romania.
Improvvisamente, in mezzo a tutti questi pensieri, comparve davanti ai suoi occhi la mummia Arkhaikh.
Aveva smarrito qualche benda e gli si vedeva una parte del suo viso in putrefazione. Teneva fra le mani i fogli che il Conte stava cercando.
-Ogni volta che ti svegli dal tuo lungo letargo, fai sempre di questi scherzi?
-Io essere curioso.
-Ridammi quei fogli. Il lavoro mi chiama.
-Tu cosa fare in piedi. Non essere tua ora.
-Sono diventato un demone sportivo.
-Tu?
-Sì, io. Devo ammettere che ultimamente mi sento più un uomo che un demone della notte.
-Tu come ti senti?
-Io fare schifo.
-E sì lo so. Puzzi come un morto! Ma già lo sei, quindi che te lo ripeto a fare?
-Io essere …
-Essere?
-Non ricordo parola giusta.
-Indolenzito forse?
-Sì. Affermativo.
-Affermativo. Arkhaikh, parli come un robot. L’ultimo film che hai visto prima di entrare nel tuo sonno profondo qual è stato Terminator?
-Io riposare.
-Va bene Arkhaikh. Ci rivediamo fra qualche giorno. Bada al castello, resterò fuori per alcuni giorni. Ho un nuovo caso da risolvere, finalmente. E lo farò di giorno stavolta.
-Uhm.
Quando non sapeva cosa dire, la mummia rispondeva sempre con l’affermazione “uhm”. Il sarcofago di Arkhaikh scricchiolò più del solito stavolta. Si rimise dentro ma lo fece dopo aver sorseggiato, si fa per dire, un pò di migliorello.
-Accidenti, dovrò rifornirmi di nuovo. È quasi finito.
Quel vino era una sorta di portafortuna oltre che un vitaminico fondamentale per la resistenza del Conte che ormai aveva una certa età.
Volò in fretta, per sbrigarsi, fino al centro di Bucarest, per chiedere un consulto veloce a Berenice, lavoratrice instancabile. Era intenta a sistemare tutta una serie di scartoffie e quando lo vide sorrise perché la sorprendeva una volta di più. Il Conte Wrulok le mostrò la scatola con tutte le mini-ampolle che contenevano le pozioni magiche. Berenice rimase sbalordita. All’interno, il liquido che le ampolle contenevano, riluceva di un’energia e di una luce, inusuali.
Il figlio del dottor Frankenstein era partito per un viaggio di lavoro a Ginevra, in Svizzera. C’era un affare importante in ballo. Una grossa opportunità di lavoro a quanto pare. Ma l’incarico che ora spettava al Conte aveva qualcosa d’insolito e avrebbe dovuto fare affidamento su tutte le sue capacità per risolverlo.
-Non mi faccia stare in pensiero signor Conte.
-Non ti preoccupare, cara Berenice. La tua energia sarà la mia e viceversa.
-In bocca al lupo!
-Non mi dire certe cose. Dire una cosa del genere ad uno come è un paradosso, non credi?
-Ha ragione signor Conte. Si ricordi di me. Il viaggio sarà lungo.
Il Conte era un po’ nervoso. Era la prima volta che gli capitava un caso da risolvere in Italia, nel nord Italia, precisamente a Torino. Una città che aveva visto solo nei film di Dario Argento, che seguiva sempre di notte, in quelle notti quando aveva iniziato a stancarsi delle sue scorribande per succhiare il sangue di verginelle rumene, e che appariva sempre come fredda, nebbiosa e un tantino cupa.
Attraversare la Romania per arrivare in Italia, volando, era davvero un bello spettacolo. Si era dimenticato di chiedere a Wolfo se avrebbe voluto accompagnarlo, ma sapeva come difendersi.
Per troppi decenni, aveva difeso Bucarest e le altre cittadine della Romania, dell’Ungheria, della Serbia e della Croazia. L’Italia rappresentava una sfida più eccitante del solito.
Non dimostrava i suoi anni il Conte Wrulok. Aveva i capelli tutti bianchi, corti e radi alle tempie, ma non presentava rughe sul volto. Aveva un fisico imponente ed incuteva timore anche solo con lo sguardo.
Atterrò sull’asfalto della città italiana e si fece male alla schiena. Aveva appena piovuto e l’asfalto era scivoloso. Gli girava la testa e allora riusciva a vedere tanti minuscoli pipistrelli che gli danzavano attorno alla vista. Torino era affascinante. Il Conte estrasse dalla tasca il bigliettino con l’indirizzo della sua cliente. Si recò nel palazzo, alla periferia della città e suono al campanello. Rispose la voce di una signora dalla voce bassissima. Il Conte, non ancora famoso in Italia, venne sbeffeggiato da due giovani passanti: “Bello, il carnevale è passato da un pezzo!”. Il Conte rise e salì le scale. Gli venne incontro sulle scale una signora anziana che camminava a malapena. In casa, era pieno di croci. Il Conte esitò per un attimo, poi si fece coraggio ed entrò in casa, senza conseguenze.

di Federico Mattioni