" Vita MIA,quante cose vorrei dirti, quante cose vorrei farti, tutte quelle cose che non ti ho mai detto e fatto, ahimè!
Quante cose mi sono perso di te.
Da parecchio tempo ti penso oramai, più ti penso e più ti sento nel segreto del mio cuore.
Affiora la gelosia, la paura di perderti, non lo nascondo, è finita l'era dell'uomo che non deve chiedere mai, non c'è più l'uomo sciocco, il tempo trasforma, e migliora, avvicina ecco ... non mi vergogno di cercarti, a chiederti un abbraccio, a volere il tuo calore delle tue intimità accoglienti, la tua intelligenza, la tua grazia.
Quante volte non mi sono comportato a dovere, quante volte ho mancato?
SANNGU MIU,quando mi scrivi, quando sento la tua voce, sapessi come ti sento, si sveglia tutto il desiderio di darmi tutto, di stringerti, di ....

Duci NICA MIA, ti adoro da morire ...
tuo Già "

La lettera era datata cinque giorni prima, l'aveva imbucata a Roma durante il soggiorno per partecipare a una conferenza sulla gestione delle emergenze e proprio durante quei giorni lontano di casa, dalle responsabilità, dai figli, da tutto, aveva sentito fortemente la sua mancanza.
L'estate passata a fare l'amore nella penombra del suo appartamento a Milano era appena trascorsa.
Tutti quei pomeriggi e quelle notti a soffocare gli orgasmi in baci voraci, lascivi, rabbiosi, avevano cambiato per sempre la sua vita.
Non aveva mai tradito prima la moglie ma a lei, alla sua bocca, non aveva saputo dire di no.
Ora nel mentre di quella breve pausa in una città che non era la sua, alcuni ambienti, perfino alcune ore del giorno lo rimandavano a quei momenti di puro piacere ed autentica intimità, tutto ciò che desiderava, era quel contatto caldo e rassicurante, quelle labbra premute contro le sue in un bacio tenero e lunghissimo che poi finiva sempre per avvolgere tutto il suo essere maschio in un budello di sensazioni armoniche e vischiose che gli regalavano brividi violenti e deliziosi.
Quella bocca, la custode di tutto il suo piacere e dei loro segreti era separata dal corpo, viveva di vita propria.
I denti che ogni tanto si facevano sentire per alimentare un leggero e piacevole dolore che scardinava di netto la colonna vertebrale subito prima che la lingua, quella lingua velenosa, lo schiantasse immobilizzando ogni pensiero, ogni muscolo, annullando completamente la sua volontà ed assecondando solo quella di lei.
Partiva sempre spogliandolo lentamente e facendolo distendere al centro del letto, comodamente, la testa affondata in un mare di cuscini e quegli occhi verdi fissi nei suoi a cercare di carpire ogni emozione per amplificarla, sfilacciarla, dilatarla e poi annullarla.
Due smeraldi colombiani in un viso di porcellana.
Una creatura divina.
Dolce, perversa e guastata.
Un'anima strappata alla costante ricerca di colmare un vuoto.
Un legno cavo, cicatrizzato, la parte sinistra del suo essere cosciente.
Impossibile arrivare fino a lei.
Chiusa dietro una porta senza serratura, senza maniglia, eppure a tratti a portata di mano.
Tre anime in un corpo.
Una bambina.
Una femmina lasciva.
Un essere informe senza coscienza, braccato.
Tre identità riconoscibili, per chi sa vedere i segni del loro avvicendarsi.
Dietro la maschera, un mondo in tempesta.
Per chiunque altro una donna comune.
Per Giacomo la sua femmina, la sua Nica ( piccola ).
Partiva dal ginocchio, carezzandolo, strusciandosi contro come una gatta, poi baci a salire nell'interno coscia, prima la destra, poi la sinistra, per affondare il viso, in fine, fra i testicoli.
Alzare le gambe di lui, esporlo come sarebbe esposta una donna nell'atto di donarsi completamente, per affondare nell'intimità dell'uomo con la lingua, prendere in bocca un testicolo e lavorarlo, leccarlo, succhiarlo, massaggiarlo, farlo fuoriuscire leggermente poi riprenderlo, in una danza lenta, umida poi liquida.
Alzare leggermente la testa e farlo fuoriuscire dalla bocca, inchiodando lui con uno sguardo che non abbandonerà mai più la sua memoria, poi passare all'altro testicolo e riservargli lo stesso trattamento.
Il cazzo esige una mente senza pensieri per poter godere.
Così la sua bocca.
Usata per conoscere il maschio, per appagare l'uomo.
Dopo il lento peregrinare, finalmente, sul cazzo.
Le labbra carnose premute con decisione sulla cappella nel bacio più intimo e carnale mai conosciuto dall'uomo, la lingua avvinta alla carne pulsante.
Un attimo di distacco, un sussurro di lei: " magnifico! "
Come i bambini di pochi mesi usano la bocca per conoscere il mondo che li circonda portando qualunque cosa gli arrivi fra le mani al suo interno, così lei conosce gli uomini attraverso il rapporto orale.
E molte cose si capiscono di un uomo in questo modo.
L'umore, il carattere, la libido e il sapore, sempre diverso, sempre vischioso, comunemente salato.
Il suo succhiotto personale.
Il suo giocattolo preferito.
E come tale lo tratta, lo guarda, ci gioca, lo tocca, lo stuzzica, un maschio una volta ha tentato di interrompere questo momento per cambiare posizione o prendere iniziativa ma lei non lo ha permesso.
Quando comincia vuole portarlo fino alla fine nella spirale delle sue fantasie.
Non ha tutti è concesso il rapporto orale.
Lei è molto selettiva sul maschio e sul cazzo.
Ma chi gode di questo privilegio, non ne vorrebbe mai più fare a meno.
E' meglio di qualunque cosa.
Meglio di una scopata.
Meglio del culo.
Chi non lo prova non può capire.
Mai potrà.
La maestria necessaria non è solo tecnica, è prima di tutto un vero, sincero atto d'amore.
Non per l'uomo, per il cazzo, ovviamente.
L'uomo in quel momento non esiste.
Potrebbe essere chiunque.
Non ha importanza.
Lei lo succhia, lo prende in bocca fino a quando lo stomaco di lui fermano la sua discesa.
La lingua lo massaggia incessantemente.
Lei sente ogni nervo, ogni vena, ogni pulsazione e la asseconda in un modo talmente dolce e arrendevole da togliere il fiato.
Una sensazione che blocca il respiro, la voce sale in gola strozzata. La sua bocca non lascia scampo.
La sua bocca ti suona come uno stradivari.
E mugola di piacere, ansima, geme, come lo stessero facendo a lei.
L'uomo tenta di tenere gli occhi aperti ma è veramente impossibile.
Si viene richiamati a forza trascinati nell'oscurità complice di mille pensieri o nessuno.
Lei ti prende e ti plasma come creta.
Scintille partono per tutto il corpo.
Un tremore sconosciuto s'impossessa delle tue cosce, poi sale allo stomaco, alle spalle, al cervello.
Lei: " voglio berti "
Due semplici parole.
Un effetto devastante.
La carica riparte più decisa, cadenzata.
Ti prende le mani, le appoggia sulla sua testa, vuole sentire che le dai il ritmo, vuole sentire che la scopi in bocca, vuole sentire il suo maschio che la fotte, ti vuole sentire.
Ti vuole sentire.
Lo pretende.
E tu lo fai.
Prima piano, poi cominci a non ritrovare più il filo di te stesso e parti a carica come un toro.
La scopi.
Tremi.
Gemi.
La fotti.
Sei ancora nella sua bocca.
Vorresti restare nella sua bocca per sempre.
Arriva il primo getto di sborra e ti squassa l'anima con la stessa forza di una cinghiata sulla schiena.
Poi un altro getto, un altro, un altro, un altro.
La riempi.
La bagni.
Ti svuoti i coglioni, la mente, l'anima.
Ti svuoti dentro di lei che ti accoglie, ti tiene, non si muove.
Senti qualcuno gridare, ringhiare.
Sei tu ma non te ne accorgi, sei altrove.
Il pene rimpicciolisce, raggrinzisce.
Lei appoggia la testa sulla tua coscia.
Ti tiene ancora in bocca.
Ti tiene fino a quando non capisce che hai davvero finito.
Ti tiene al caldo.
Ti conforta.
Ti coccola.
Le sue labbra sono tutto ciò di cui hai bisogno, tutto ciò che desideri.
Finalmente ti lascia e torna a guardarti in viso.
Sorride.
Si sposta.
Ti lascia rilassare.
Si asciuga il mento.
Nello sguardo la consapevolezza di averti regalato un attimo di appagamento totale, assoluto, indimenticabile.

di Eleonora