Erano seduti ad un tavolo di legno, in silenzio. Avvertivano la tensione che precede lo scontro. Una tensione quasi palpabile. Intuivano che dopo la battaglia che li attendeva le cose per entrambi non sarebbero state più le stesse. Ma lo accettavano. In tanti anni di vita vissuta nell’ombra non potevano fare altro che accettarlo ancora. Come se per tutta la loro esistenza non avessero fatto altro che accettare il cammino che per loro aveva tracciato il fato. Come se non c’entrassero nulla le innumerevoli vite che avevano spezzato sempre seguendo i dettami di questo fato, a loro dire.
«Non c’è rimasto più molto tempo ormai», esordì il primo. La fiamma della candela in mezzo al tavolo tremolò leggermente, come se la tensione fosse stata finalmente spezzata. Aveva una barba incolta, scura, come i capelli, un po’ lunghi e spettinati. Portava un maglione di lana nero. La sua figura poteva ricordare un montanaro o un vecchio lupo di mare.
«Lo so», ammise molto semplicemente il secondo. Un leggero sorriso gli increspava un angolo della bocca. Aveva le labbra sottili, esangui. Un viso lungo, perfettamente pulito e rasato. Come i capelli scuri, corti e ben curati. Sembrava avere un atteggiamento quasi ironico verso la situazione attuale. Ma il primo lo conosceva fin troppo bene, e sapeva che questa suo atteggiamento di indifferenza era soltanto una maschera ben costruita che nascondeva un animo in continuo tumulto.
«Lo so», ripeté il secondo. «E sappiamo bene entrambi come tutto questo si risolverà.» Se il primo poteva ricordare un montanaro o un lupo di mare, costui poteva essere accostato senza problemi alla figura asciutta e indifferente di un impiegato di banca.
«Il fato», disse il primo. «Ogni volta salta fuori il fato.» C’era dell’irritazione ora nella sua voce. «Come puoi ricondurre sempre tutto quanto a questo dannato fato?» Era una domanda vecchia e quasi sterile, ed entrambi lo sapevano bene. Tuttavia, per il primo, ogni occasione era buona per ritornare sull’argomento in contrasto tra loro due.
«Lo sai», cominciò il secondo con una calma e una serenità quasi irritante, «in tutto questo tempo in cui ci conosciamo non faccio che redarguirti sull’uso che fai della parola Fato.»
«Lo so, lo so, “devo portare rispetto a chi conduce i nostri passi in mezzo a quella moltitudine di dannati”.» La voce cavernosa del Montanaro faticava ad imitare quella sottile e melodiosa dell’Impiegato Di Banca in questa canzonatura di una sua vecchia frase. «Ma ti dico una cosa: i dannati saremo noi se non ci sbrighiamo a trovare una soluzione!»
«Calmati adesso e stammi a sentire.» Si alzò in piedi facendo cigolare la sedia sul pavimento di legno. Indossava una camicia leggera di seta bianca e pantaloni neri. Si avvicinò alla finestra. All’esterno un pallido sole nascente illuminava a stento il bosco ricoperto dal manto bianco della neve. Doveva esserci qualche grado sotto zero, e all’interno di quel vecchio rifugio in disuso della guardia forestale la temperatura non doveva essere tanto maggiore. L’Impiegato Di Banca tornò a girarsi verso il Montanaro. Alle spalle di quest’ultimo c’era un camino. Spento.
«Siamo diversi tu ed io», continuò l’Impiegato Di Banca. «E non certo solo per quello che facciamo della nostra vita.» Il Montanaro si era guardato i vestiti che indossava raffrontandoli a quelli dell’altro. L’Impiegato sorrise. «Tu soffri più il freddo di me, ma questo non c’entra nulla. Abbiamo due modi diversi di vedere i problemi, e altrettanto in modo diverso tendiamo a risolverli.»
«Già… tu credi che con la parola si possa risolvere sempre tutto… Io almeno non mi nascondo dietro a grossi paroloni, come fai tu, per poi nei fatti comportarti esattamente come me.»
«Anche quando credi che io mi comporti come te, lo faccio in modo pulito, senza lasciare… tante tracce come fai tu.» Non era proprio questa la parola che voleva dire, ma il suo gusto per la raffinatezza gli impediva di essere più esplicito.
«D’accordo, questa è solo aria fritta. Vai avanti.» Non gli andava di tornare sempre sui soliti sterili argomenti, non in quel momento almeno.
L’Impiegato Di Banca incrociò le braccia davanti al petto. «Ci stanno raggiungendo, non è vero?» Lui non poteva sentirli, non aveva l’udito acuito come il Montanaro, e infatti quest’ultimo confermò la cosa con un cenno della testa e aggiunse: «In questo momento hanno superato la collina. Sono a poco più di un chilometro da qui.»
«Per tutto questo tempo», ricominciò l’Impiegato, «abbiamo vissuto la nostra vita, mantenendoci nell’anonimato, “nell’oscurità”, se mi permetti l’ironia.» Ma c’era veramente poco di ironico nel viso del Montanaro.
«Va bene, lasciamo perdere. Diciamo che la mia idea sarebbe quella di rimanere qui. Di affrontarli.» Lo disse in modo tranquillo, quasi stesse facendo ancora dell’ironia.
Ma il Montanaro si alzò con foga, rovesciando la sedia dietro di sé. «Ma che cosa stai dicendo! Fra dieci minuti quelli ci saranno addosso, e tu vuoi rimanere qui!?»
«Sì», rispose l’altro. Si girò di nuovo verso la finestra. Il sole era più alto ora, ma velato da una foschia che calava velocemente sul bosco. Tra poco non si sarebbe visto più in là dei primi alberi fuori dalla finestra. Ma sarebbe stato poi così importante, del resto? «E insieme li sconfiggeremo. Come abbiamo sempre fatto», concluse.
Il Montanaro appoggiò le grossi mani sul tavolo e abbassò la testa. Avvertiva la rassegnazione farsi strada velocemente dentro di sé. Una rassegnazione che non implicava a tutti gli effetti una sconfitta. Quello che non gli andava era la rassegnazione di dover combattere ancora. Si chiedeva se tutto ciò avesse un senso. Ma sapeva altresì che il suo compagno non si sbagliava, che non sarebbe servito a nulla fuggire. Non più ormai. E in ogni caso l’unione di entrambi avrebbe fatto la differenza.
Dal canto suo, l’Impiegato sapeva bene che cosa frullava nella testa dell’amico. Un sorriso soddisfatto apparve agli angoli asciutti della sua bocca. Un sorriso che celava una lunga vita di reciproca comprensione.
In quel momento il Montanaro aveva rialzato la testa con uno scatto, e stava per gridare al suo compagno di scostarsi dalla finestra. Ma fu troppo tardi. Un colpo di fucile disintegrò la finestra e andò a conficcarsi nel petto dell’Impiegato. Il sorriso sul suo volto fu sostituito da una smorfia di sorpresa. Privato delle forze si accasciò sotto la finestra. Il Montanaro, con un fulmineo scatto, impensabile per la sua stazza, fu subito accanto a lui. Gli adagiò la testa in grembo e gli aprì la camicia. Il proiettile lo aveva colpito vicino al cuore. La ferita si stava rimarginando a vista d’occhio.
«Maledizione», ringhiò il Montanaro – la fisionomia del suo viso stava mutando –, «gli uomini ci hanno raggiunto.»
L’Impiegato si guardò il petto. Una singola goccia di sangue era fuoriuscita dal foro del proiettile. La raccolse con un dito e se la portò alla bocca: i suoi canini si erano allungati. «Non sono gli uomini», disse con rabbia.
«Che cosa? Che cosa vuoi dire?»
«La guerra! La guerra con…» ma non riuscì a terminare la frase, perché su di loro si abbatté l’inferno. Il rifugio fu investito dalla pioggia di centinaia di proiettili. La finestra saltò completamente in una cascata di vetro infranto. Schegge di legno si staccavano dalla parete, la quale non avrebbe resistito molto a quell’assalto di piombo, assalto che sembrava concentrato per il momento solo verso la facciata frontale del rifugio. Fumo e polvere riempivano già la stanza rendendo irrespirabile l’aria. Il Montanaro lanciò un lungo ululato di rabbia. I suoi occhi erano diventati gialli, il suo viso si era allungato, aveva fauci al posto dei denti, e i peli gli stavano crescendo in abbondanza su tutto il corpo. Incurante dei proiettili che zigzagavano attorno a lui, prese sottobraccio l’Impiegato e con uno scatto ancora più veloce di prima, si gettò in mezzo alla stanza, rovesciò il tavolo e vi si raggomitolò dietro con il compagno. Il frastuono attorno a loro era insopportabile, ma ancor più insopportabile era
il sospetto, un sospetto che come un verme si stava facendo strada attraverso la sua mente. «Come non sono uomini? Chi sono allora?» La sua voce era profonda ma potente: riusciva a sovrastare la sparatoria.
La ferita si era ormai rimarginata. La fisionomia dell’Impiegato non era cambiata, a parte i lunghi canini. Ma aveva una luce nuova negli occhi. Una luce che il Montanaro non aveva mai visto prima. «Sono vampiri», disse soltanto.
Ma questo bastò all’altro per fare due più due. Eppure, sentimenti contrastanti albergavano ora nell’animo del lupo: da una parte sapeva che quello del vampiro era un tradimento e per questo aveva voglia di strozzarlo, ma allo stesso tempo non capiva affatto questo tradimento, almeno nella situazione attuale tra lupi e vampiri. A meno che… «La guerra… la guerra con gli uomini…»
«Sì, adesso finalmente hai capito», disse il vampiro cercando di farsi sentire al di sopra degli spari. «Si era giunti a questa conclusione ormai da molto tempo, ma tu ed io eravamo troppo esclusi dagli altri. La nostra solitaria amicizia ci ha lasciato fuori dalle questioni più importanti…»
«Non parlare più di amicizia con me, traditore!» gli ringhiò in faccia il lupo e i lunghi e pelosi artigli delle sue mani gli circondarono il collo: si sentiva uno sciocco.
Il vampiro strinse a sua volta con i propri artigli i polsi del lupo. «Sì, sì, avresti tutto il diritto di uccidermi adesso», disse con la voce strozzata. «La guerra contro gli uomini sta per finire, non hanno alcuna possibilità contro di noi. Ma a questo punto che cosa rimarrà? L’alleanza tra lupi e vampiri è stata rotta. Soltanto una delle due specie dovrà rimanere a governare questo mondo.»
«E tu mi hai venduto a loro!» Un pezzo del tavolo saltò via a pochi millimetri dalla sua testa.
«Sì, ho parlato a loro di questo rifugio e quando tu li hai sentiti arrivare ti ho lasciato credere che fossero degli uomini e ti ho trattenuto qui, perché convinto che gli avremmo sopraffatti facilmente in quanto uomini.»
«Perché, perché!» E il lupo strinse ancora più forte gli artigli attorno al suo collo.
«Perché loro credono che non ci sia più posto per entrambe le nostre specie su questo mondo…»
E il lupo, a quel “loro credono” assieme all’immagine del vampiro davanti alla finestra, lasciò la presa dal collo dell’altro.
«Ma tu non lo credi», disse stupito. Si sentiva doppiamente uno sciocco, adesso.
La pioggia di proiettili era cessata proprio in quel momento. «Presto», disse il vampiro. «Devi andartene, tra poco saranno qui dentro. Hanno avuto fretta e l’attacco è stato solo frontale, hai ancora una via di fuga.»
«Tu sei rimasto davanti alla finestra», continuò l’altro come se non lo avesse sentito, «sapendo bene quello che sarebbe accaduto.»
«No, non è così», disse il vampiro guardandolo intensamente negli occhi. «Sono rimasto alla finestra per metterli alla prova: vogliono uccidere anche me. Evidentemente anche a loro non piacciono i traditori», e a questo punto sorrise, facendo ricorso a quella sua ironia che sembrava essersi persa chissà dove. «Avevano mirato al cuore e soltanto un impercettibile movimento del mio corpo mi ha salvato la vita.»
«Andiamocene assieme, allora.»
«No. Ascoltami: tu sei più veloce di me. Io ti sarò più utile qui.»
«Ma sai che ti uccideranno!»
«Sì, ma per te c’è ancora speranza se riesco a trattenerli qui per un po’.»
Come al solito, i ragionamenti del vampiro non facevano una grinza.
E il lupo concluse amaramente che non era rimasto altro da fare se non fuggire. «Non ti dimenticherò mai.»
«Neanche loro, stanne pur certo», disse il vampiro tornando a sorridere.
Il lupo sorrise a sua volta, poi si alzò in piedi e uscì dalla porta posteriore del rifugio, scomparendo velocemente tra gli alberi e la foschia del bosco. Quel giorno, un tramonto assai diverso era calato sui loro popoli.

E questa era la storia che il vecchio lupo, parecchi anni dopo, e non per la prima volta, aveva appena finito di raccontare al nipote, giovane capo-branco di una vasta armata.
«Immagino che tu non abbia più rivisto quel vampiro», disse il giovane lupo – e non era la prima volta nemmeno per lui che pronunciava questa frase –, senza nascondere, nel tono di voce, il profondo disgusto che provava per i nemici.
Quel vampiro, pensò sconsolato il vecchio lupo. Ma ormai non poteva farci più nulla.
«Sì, vidi ancora quel vampiro, come lo chiami tu. Ma si trattava soltanto della sua testa, appesa di fronte all’ingresso del Colosseo, quando ancora si tenevano i Giochi con gli uomini e si poteva passare quasi inosservati in mezzo alla folla di vampiri. Be’, a dire il vero quella volta rischiai parecchio, ma questa è un’altra storia…» Più invecchiava e più si ritrovava a divagare.
«Già, questa è un’altra storia», disse il giovane lupo, «e qui adesso i miei lupi hanno bisogno della mia presenza.» E fece per voltargli le spalle. Ma la voce del vecchio lupo tuonò potente. «Non ti azzardare mai più a voltarmi le spalle!» E il giovane si girò di nuovo, ma l’espressione dei suoi occhi gialli non nascondeva la rabbia che covava dentro.
Come mi somiglia, pensò il vecchio con orgoglio. Poi, per non fare intendere i suoi pensieri al giovane lupo, inveì contro di lui: «Già tuo padre ha perso la vita perché era troppo avventato! Non si fermava mai a riflettere sulle parole che sentiva, su come molte situazioni spiacevoli possano essere risolte con il solo uso della parola!» Un groppo di nostalgia stava per chiudergli la gola al pensiero di quando aveva sentito per la prima volta quella frase, pronunciata dal suo vecchio amico vampiro.
«Sono tutt’orecchi», disse il giovane con sarcasmo.
Il vecchio questa volta sorvolò sulla risposta del giovane (anche se dentro di sé avvertiva che probabilmente avrebbe fatto la stessa fine del padre), quindi disse: «Se c’è una cosa che tu devi imparare bene dalla storia che ti ho raccontato è l’insegnamento del Fato.»
Ah, se fossi qui, vampiro, pensò il vecchio lupo, ti soffocheresti dalle risate sentendomi pronunciare quella parola.
E qui il giovane lupo cambiò atteggiamento. «Sì, nonno. Questo lo avevo capito.» Era molto raro sentirsi chiamare ancora “nonno”. Aveva di nuovo tutta la sua attenzione e tutto il suo rispetto. «’I lupi devono portare rispetto a chi conduce i nostri passi in mezzo a quella moltitudine di dannati’», recitò il giovane lupo a memoria.
Già, rifletté il vecchio, e poco importa se quei “dannati” siano stati un tempo gli uomini e ora siano i vampiri… una frase che si può proprio adattare a tutti.
«Ma quello che mi riesce difficile da credere», continuò il giovane lupo, «è come questa importante legge possa essere uscita dalla bocca affilata di un vampiro.»
«Il Fato si mostra a noi in modi che a volte possono sembrare molto contorti. Sotto questa legge i nostri lupi si sentono più forti forse proprio perché il Fato uscì dalla bocca di un vampiro che mi aiutò a fuggire all’inizio della guerra, come se questa fosse la dimostrazione che il Fato stesso avesse scelto noi come popolo da guidare, ripudiando i vampiri.» Aveva elaborato questa idea molti anni prima, e ancora adesso sembrava funzionare. «Ma adesso andiamo, il tuo popolo ti aspetta, giovane nipote.» E insieme uscirono dal Sanctorum, residenza esclusiva del Profeta del Fato, accessibile solo a pochi eletti, tra cui c’era il giovane lupo, e certamente solo per consanguineità, sussurravano i più maligni. Si diressero verso il naturale pulpito di roccia. Da lì potevano osservare i lupi, per la maggior parte ancora in sembianze umane, disseminati a migliaia una trentina di metri sotto di loro. Quando videro il Profeta seguito dal nipote capo-branco, cominciarono a gridare di gioia con le braccia alzate. L’eco delle
loro voci si ripeté a lungo e all’infinito, racchiusa com’era tra le pareti rocciose di quella colossale caverna illuminata da fiaccole sparpagliate ovunque.
Il Profeta del Fato alzò le braccia e l’infinita ovazione scemò velocemente. «Ascoltate, popolo dei lupi! Il Fato ha dato sentenza!» Altre ovazioni. Il vecchio lupo alzò di nuovo le braccia per calmarli, poi riprese. «Tanti anni sono ormai passati da quando i lupi singolarmente o in piccoli gruppi davano la caccia agli uomini. Voglio ricordarvelo, perché molti di voi non erano ancora nati a quell’epoca e quindi non sanno che i tempi che stiamo vivendo sono un’aberrazione della nostra naturale condizione. Ci fu un tempo in cui i vampiri erano nostri alleati nella caccia all’uomo…»
Alla parola “vampiri” un coro di imprecazioni si levò dal popolo dei lupi.
«… ma in quei giorni oscuri la sete di dominio di alcuni vampiri convinse tutti gli altri a muoverci guerra per il dominio esclusivo di questo mondo.» No, non tutti, rifletté. «E questo perché erano convinti che il popolo degli uomini sarebbe stato presto sconfitto!»
Attese qualche secondo, poi riprese: «Ma il Fato oggi ha dato sentenza! E quei dannati vampiri si sbagliavano!»
Nessun coro si alzò questa volta dalla folla. Si leggeva perplessità su molti dei loro visi, la stessa perplessità che ora attraversava la mente del giovane nipote. Non sta facendo il solito discorso, pensò, ha qualcosa di nuovo in mente.
«Sì, avete sentito bene, quei dannati vampiri si sbagliavano, perché il popolo degli uomini non è stato affatto sconfitto! Ora ci troviamo in tanti qui riuniti, e tanti altri gruppi stanno facendo la stessa cosa in altri luoghi irraggiungibili di questo mondo, ma non si tratta di lupi come noi! Sono uomini che si stanno preparando alla distruzione nostra e dei vampiri! Hanno approfittato di questa nostra guerra per unire le loro forze e sconfiggerci una volta per tutte! Eravamo talmente presi dal conflitto contro i vampiri che non abbiamo dato credito alle voci secondo cui in altre parti del mondo stavano avvenendo delle vere e proprie carneficine!» Era come vivere un lungo dejà vù per il vecchio lupo. «Carneficine ai danni dei lupi e dei vampiri, senza differenza alcuna!» Quel discorso sembrava aver pietrificato tutti i lupi.
«Vieni avanti!» disse a quel punto il Profeta. E dal Sanctorum uscì un vampiro che si diresse verso il pulpito. Un sorriso famigliare gli increspava le labbra esangui. A quella vista il giovane nipote si trasformò completamente, così come fecero tutti i lupi accalcandosi furiosi e ululando impotenti ai piedi del pulpito. Il capo-branco stava per saltargli addosso con l’unico scopo di sbranarlo all’istante, ma il Profeta lo bloccò imperioso. «Fermati! E tutti quanti, state zitti e ascoltatemi!» Fu difficile trattenere il nipote, ma altrettanto difficile era rimanere indifferenti alla sua voce. Si calmò, quel tanto che bastava al vecchio per continuare, anche se sapeva benissimo che la situazione era in equilibrio sul filo del rasoio.
«Questo è il figlio del vampiro che mi salvò la vita tanti anni fa e avete visto da dove è uscito.» Tutti quanti conoscevano la storia del Profeta e il fatto che uscisse proprio dal Sactorum fu di notevole supporto nel calmare la folla. La soggezione che provano nei confronti del Fato è impressionante, pensò il vecchio lupo, amico mio, se tu fossi qui. Dal canto suo, il vampiro non aveva ancora battuto ciglio. Ma il figlio ne è un degno erede.
«Puoi parlare adesso!» disse il Profeta del Fato.
«Lupi! Il Profeta ha detto la verità! Per mezzo del Fato, che ne fu portavoce un tempo mio padre e ora parla per bocca del suo degno successore, sappiamo che la situazione attuale è diventata critica per entrambi i nostri popoli!»
E i lupi si erano zittiti, alcuni di loro avevano addirittura ripreso le sembianze umane. Se stia farneticando o meno, sicuramente soggiace al Fato, che è nostro di diritto e non potrebbe comunque tornare dal suo popolo come un traditore, riflettevano in molti, quindi tanto vale starlo a sentire.
Hai imparato bene la lezione, pensò semplicemente il vecchio lupo.
«Sia il popolo dei lupi che quello dei vampiri stanno subendo innumerevoli perdite in ogni parte del mondo! E presto gli uomini arriveranno anche qui! Io sono il comandante di una vasta armata come la vostra e se torniamo ad unire le nostre forze riusciremo a sconfiggere il nostro vecchio nemico comune! A quale scopo io mi troverei qui, se no?! Non certo per rischiare la mia vita!»
Un mormorio si levò dalla folla dei lupi.
A questo punto parlò il giovane capo-branco. «Potresti essere qui per tenderci una trappola! Per portarci tutti quanti in pasto ai tuoi vampiri!»
Sciocco, sciocco ragazzo, pensò amaramente il Profeta. E indirizzò un gesto d’intesa rassegnato al vampiro. «Non dovrei essere io a pronunciarmi in tal modo», disse questi senza sorridere, «ma così tu metti in dubbio la potenza del Fato e del suo verbo!»
E il giovane lupo, sorpreso, si rese conto di aver commesso un terribile errore, perché andare contro il Fato era come firmare il proprio suicidio, anche se eri il nipote del Profeta. Tuttavia, inaspettatamente, gli venne in soccorso la voce disperata di un lupo in mezzo alla folla. «Ascoltatemi! Dovete ascoltarmi!» Ansimava violentemente, altri lupi lo stavano raggiungendo di corsa, e la folla si aprì per farli passare. In breve quel lupo si ritrovò ai piedi del pulpito.
«Che cosa succede?!» chiese imperioso il Profeta.
«Giù alla pianura un gruppo dei nostri è stato attaccato dagli uomini!»
Un mormorio di stupore si levò dalla folla. Il Profeta e il vampiro si guardarono negli occhi.
«Ma quello che più ci ha sbalordito», continuò il lupo trafelato, «è che un gruppo di vampiri è andato in loro soccorso… e così i lupi e i vampiri… assieme… vi prego, dovete credermi… i lupi e i vampiri assieme, si sono messi a combattere gli uomini! Non sono pazzo, ma vi giuro che non capisco quello che sta succedendo!»
«È già cominciata», sussurrò il vampiro al Profeta. E il vecchio lupo alzò le braccia e a voce alta, sovrastando il vociferare della folla come tanto tempo prima in un rifugio in mezzo ad un bosco aveva sovrastato il frastuono di un’antica sparatoria, proclamò: «No, amico mio, non sei pazzo! Sei la dimostrazione che il Fato ancora una volta sta seguendo attentamente i nostri passi e altrettanto attentamente ci sta suggerendo il modo per uscire da questa situazione! È venuto il tempo di abbandonare i vecchi rancori! Tutti voi avete udito le parole di questo lupo! Quello che poco fa io e il vampiro vi abbiamo detto per mezzo del Fato, già adesso sta accadendo nella pianura, a pochi chilometri da qui! Ebbene?! Che cosa stiamo aspettando?! Un nuovo e allo stesso tempo vecchio nemico è venuto a darci battaglia, e nuovi e allo stesso tempo vecchi alleati ci sono venuti in soccorso! Ora o mai più dobbiamo essere uniti per sconfiggere il nostro comune nemico: GLI UOMINI!!!»
Ululati e grida si levarono assordanti, le pareti stesse della caverna sembrarono tremare investite da quella cacofonia di rabbia.
Il Profeta del Fato guardò il vampiro. Amico mio, pensò, negli occhi di questo vampiro vedo i tuoi. Eppure credo di essere contento che tu non sia qui con noi, obbligato ad assistere a questa nuova svolta degli eventi. Continuo a chiedermi se tutto questo abbia un senso e mi rimangono un sacco di dubbi. Ma di un cosa sono assolutamente certo, ed è che un nuovo, strano tramonto sta calando su tutti i nostri popoli.


autore                                    
Diego Matteucci