Le undici passate. Nell’aria si sente odore di erba appena tagliata e di qualcos’altro: terra bagnata. Deve aver piovuto di recente. La luna piena brilla nelle tenebre specchiandosi nelle pozzanghere ai lati della strada. Tutto è avvolto nel silenzio della notte. Bobby indossa un paio di pantaloncini ed una T-shirt blu. Cammina velocemente mantenendo lo sguardo fisso a terra, non deve lasciarsi distrarre. Non ancora.
Raggiunge l’incrocio, al centro, un semaforo appeso a quattro cavi metallici dondola al vento. Sulle quattro facce l’arancione lampeggia ad intermittenza.
Il ragazzo gira a sinistra, imboccando un lungo viale alberato. Un foglio di giornale scivola sull’asfalto come a voler scimmiottare il volo di un uccello. In lontananza il fischio di un treno che si allontana. La città è deserta.

Peter, il suo migliore amico, abita in fondo alla strada, riesce a vederlo. E’ in piedi sulla veranda con entrambe le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni. Bobby lo osserva. Il volto pallido e gli occhi cerchiati di viola, sembra affamato.
“Pensavo non saresti più arrivato”, dice con un tono di rimprovero.
La sua espressione assomiglia a quella di una bestia selvaggia, deve nutrirsi subito. Entrambi ne hanno bisogno, è passato troppo tempo dall’ultima volta.
“Ora sono qui”, risponde Bobby. I due ragazzi si sforzano di sorridere.
Peter deglutisce a fatica, si sposta dall’entrata facendo passare l’amico.
“Prima gli ospiti”.
“Grazie”, sussurra l’altro varcando la soglia. La casa è immersa nell’oscurità. Non è un problema, i loro occhi vedono al buio.
“Dov’è?” chiede Bobby sentendo l’odore del sangue che impregna le pareti della stanza.
“Di sotto. In cantina, chiusa nel recinto”.
“E’ ferita?”, Bobby conosce la risposta ma vuole averne la conferma. E’ eccitato.
“Soltanto pochi graffi”.
Scendono le scale che portano nell’interrato, uno dietro l’altro, in fila indiana. I loro passi risuonano nel silenzio della casa, mischiandosi al fruscio dei topi che corrono a rifugiarsi nelle loro tane, tra polvere e vecchie casse di legno. Il serraglio è davanti a loro, assomiglia ad una stia per conigli ma più grande. Al suo interno, una ragazza è inginocchiata con la schiena appoggiata a sbarre di ferro. Si copre il viso con entrambe le mani e piange. Il suo è un singhiozzare rassegnato, l’ hanno catturata e difficilmente la lasceranno andare.
Lei li scruta entrambi e dopo essersi alzata prende qualcosa da un angolo della cella, un oggetto scintillante a forma di cerchio.
“Nessuno verrà fino a qui per salvarti. Questo lo sai non è vero?”, dice Peter avvicinandosi alle sbarre di metallo. Fatica a controllarsi, complice la notte il mostro che è in lui spinge per uscire allo scoperto. La ragazza annuisce. Gli occhi verdi sono arrossati dalle lacrime. Singhiozza. Respiro forte e affrettato nel naso. Anche Bobby si avvicina alla gabbia, “come ti chiami?”, chiede cercando di essere gentile. Nessuna risposta, lei abbassa lo sguardo fissando la punta delle sue scarpe da ginnastica. Sono sporche di terra. Era nel bosco quando è stata catturata.
“Non fatemi del male”, supplica unendo entrambe le mani in un gesto di preghiera.
Non avrebbe dovuto farlo.
Peter scoppia a ridere, stringendo i pugni nel vano tentativo di reprimere la rabbia. Dio non è stato invitato. Gocce di sudore gli imperlano la fronte ed il collo. Una corrente gelida gli arruffa i capelli, provocandogli la pelle d’oca sulle braccia. Barcolla in avanti, mentre cerca di riprendere il controllo della sua testa che gira come una trottola impazzita. Deve nutrirsi. La ragazza vede l’espressione disegnarsi sul volto di lui ed ha la netta sensazione di quello che sta per accadere.
“Aspetta”, dice Bobby annusando l’aria, “c’è qualcosa di strano. Forse stiamo facendo la cosa sbagliata”.
“Sei impazzito. Perché mai dobbiamo perdere tempo. Lo abbiamo fatto altre volte. Questo è un luogo sicuro, nessuno lo scoprirà mai”, non riesce a soffocare il risentimento. L’ amico sta mettendo in dubbio il suo operato.
“Non è come le altre volte”, fa notare Bobby, “non mi sento sicuro. Qualcosa mi dice che possiamo finire nei guai se non ci fermiamo ora. Non dobbiamo mettere in pericolo la nostra sopravvivenza. Questo lo capisci, Peter?”.
Lui sospira forte, mordendosi il labbro per prendere coraggio.
“Ti devi fidare di me. Sono stato prudente, nessuno sa che lei è qui e quando si accorgeranno della sua scomparsa, sarà ormai troppo tardi”.
Peter alza il braccio sinistro e con l’indice segna una cassa di legno che si trova accostata alla parete.
“Prendila”, ordina digrignando i denti, “tu non immagini neppure il potere che tutto questo ci darà. Con il tuo aiuto o senza, lo farò in ogni modo. A te decidere da che parte stare”. “Mi dispiace”, mormora, “davvero…”.
Stringe la mano dell’amico. Hanno progettato quella cosa insieme e la finiranno insieme.
Peter si volta verso la ragazza, “dobbiamo farlo. Niente di personale”.

La cassa è appoggiata al pavimento, sul coperchio le impronte di una mano. Piccoli cerchi disegnati sulla polvere in corrispondenza degli angoli. Bobby la apre.
C’è della paglia sintetica all’interno, di quella che si usa per riempire i cesti di Natale. La pistola emerge dal fondo come attirata alla superficie da una forza misteriosa. Il ragazzo la impugna con entrambe le mani puntandola verso l’amico. Un attimo d’esitazione, poi la fa scendere all’altezza dei fianchi tornando verso la gabbia.
“Bravo Bobby, sapevo che potevo contare su di te”, lo incalza l’amico.
“Perché?”, chiede con voce secca la ragazza. Ora le sue guance sono completamente asciutte. Se così dovrà essere affronterà la morte con dignità, questo è quello che le hanno insegnato da quando è venuta al mondo. Non tradirà le sue nobili origini. Non ha fiducia nelle sue facoltà, per troppo tempo è dipesa dal branco. Ora tutta sola si sente vulnerabile.

“Perché questa è la nostra natura”, risponde Bobby togliendo la sicura dall’arma.
“Ottima risposta”, dice Peter applaudendo e girando intorno all’amico.
“Mi verranno a cercare”
“Qui non ti troveranno mai”, risponde Peter scrollando le spalle.
Hanno già perso troppo tempo, devono farlo ora.
“Bobby dammi la pistola. Questa volta voglio pensarci io”.
Il ragazzo fissa l’amico con espressione divertita e poi sorride, “sento che questo è il mio momento”.

Bobby rimane incerto per un attimo, poi passa l’arma.
“Le altre volte non è stata la stessa cosa”, dice con voce autoritaria, “li portavamo qui già cadaveri”.
Non è mai stato omicidio, almeno non fino a questa notte, pensa il ragazzo trascinandosi verso le sbarre di metallo della gabbia.

Si erano sempre procurati il nutrimento di cui avevano bisogno trafugando cadaveri dall’obitorio, oppure sottraendoli dalla scena degli incidenti stradali. Non erano mai stati all’altezza dei loro avi, i tempi erano cambiati, questo ripetevano sempre i loro genitori prima di essere impalati da quel bastardo di John Mc. Allan, l’ammazzavampiri. Un omuncolo insignificante diventato famoso girando per i talk-show del paese e raccontando le sue epiche battaglie contro il maligno.

Peter spiega.
“Loro uccidono noi. Perché mai non dovremmo fare la stessa cosa?”.
Bobby guarda la ragazza facendosi pensieroso.
“Non lo so”.
“Ecco, appunto. La risposta è questa”, dice portando l’indice sul grilletto.
Il ragazzo alza l’arma con metodica lentezza e prende la mira già pregustando il suo pasto.
Bobby sente che qualcosa di speciale lo lega alla ragazza prigioniera.
Non succederà niente di brutto…

Un grido.
Gocce di sangue che colano sul pavimento. Per una breve frazione di secondo tutto resta immutato come se nulla fosse realmente accaduto. Bobby si guarda intorno smarrito. Una luce giallastra proviene da una minuscola grata, sistemata nella parte alta della parete. I muri sono scrostati ed umidi. Sudiciume ovunque. Dettagli inspiegabili. Grossi scarafaggi neri corrono come impazziti sul pavimento andandosi a rintanare sotto vecchie casse di legno. La ragazza distoglie lo sguardo, appoggia la testa tra le sbarre e aspetta. Peter non si può voltare, con le mani stringe il paletto che gli ha appena trafitto il cuore.
“Cosa mi hai fatto?”, si sforza di dire con le lacrime che gli bagnano le guance.
E’ soltanto un ragazzo ed ora ha paura.
“Non potevo permetterti di ucciderla. Io…”, Bobby non finisce la frase. Prova rimorso per quello che ha appena fatto. Lo coglie una visione: il medaglione della ragazza dondola davanti ai suoi occhi. In quell’oggetto è racchiusa una magia potente. Ora la luna è piena, arde di una luce bianca ed intensa.
Peter alza lo sguardo verso la ragazza, la osserva. Non è più la creatura spaventata che aveva catturato nel bosco. C’è una fierezza tutta nuova nei suoi occhi. Si lascia cadere in avanti, le ultime energie stanno abbandonando il suo corpo, questa è la fine, pensa.
Bobby si inginocchia al suo fianco, vorrebbe fare qualcosa ma sa che ormai è troppo tardi.
“Perdonami”, il ragazzo si alza in piedi e facendo forza sulle braccia estrae il paletto di legno dal corpo dell’amico.
Lei li guarda a lungo. E’ stanca di fuggire, vorrebbe fermarsi a riposare, non desidera tornare nel bosco.
“Ora liberami”, sussurra la ragazza.
Bobby annuisce, si passa una mano sul viso asciugandosi le lacrime. Le chiavi della gabbia sono attaccate alla spalliera di una vecchia sedia. La serratura scatta. Bobby indietreggia, lasciando la ragazza libera di uscire. Lei gli si avvicina prendendogli la mano.
“Accompagnami fuori”.
Più che di una richiesta si tratta di un ordine.
Bobby rimane immobile, “vattene maledetta” dice con poca convinzione. Il potere del medaglione della ragazza è troppo enorme per trovare posto nella sua testa. Continua ad espandersi, schiaccia gli altri pensieri e gli impedisce di opporre resistenza. Ora è suo prigioniero. Sente orrendi latrati provenire dall’esterno. Si copre il volto con entrambe le mani, “Oh, Dio”, dice con un filo di voce, “lasciami in pace. Ti ho salvato la vita. Cosa vuoi ancora da me ?”.
La mano di lei stringe con gentilezza la sua, salgono lentamente le scale. Attraversano la sala, è tutto così buio, pensa lui. La notte, quella notte ha in se qualcosa di terribilmente sbagliato. Un ululare continuo proviene dall’esterno, alle sue orecchie si trasforma in un fracasso infernale. Vorrebbe stringere entrambe le mani contro la sua testa per farlo cessare, non può. Si fermano a meno di un metro dall’ingresso. La porta si spalanca, spinta in avanti da una corrente invisibile, è fredda.
“Avreste dovuto cercare uomini nel mondo degli uomini. Ora esci da qui”, la ragazza parla con durezza. Lui si volta per andarsene. Nel giardino decine di lupi affamati lo aspettano. I loro occhi gialli brillano nella notte. Sente il loro respiro, le zanne affilate strisciano le une sulle altre, inumidite dalla saliva densa e verdastra. Vorrebbe sottrarsi a tutto questo ma non ne ha la forza, è prigioniero della loro magia.
“C’è poco riposo per i non-morti”, sospira lei. Si lascia cadere a terra, appoggiando le mani sull’erba. Le sue dita si spingono in profondità, artigliando il suolo umido. Il corpo esile sussulta, la pelle si dilata aumentando di spessore. La sua testa si allunga cambiando forma. La metamorfosi è dolorosa ma necessaria. In cielo, la luna piena brilla in tutto il suo inquietante splendore. Peli irti si spandono a macchia d’olio ricoprendo il suo corpo. L’animale ringhia mentre si prepara ad attaccare. Il ragazzo terrorizzato si butta in ginocchio e congiungendo le mani invoca il loro perdono. Quel gesto cristiano non appartiene al suo credo, ma in esso trova conforto e coraggio.
I denti dell’animale si serrano sulla sua gola. Tutto dura la frazione di un momento.

“Questa è la mia natura”, sussurra il giovane vampiro poco prima di morire.
L’inferno dei dannati lo attende. Doloroso ed eterno, senza nessuna speranza di redenzione. Non è stato chiamato a scegliere il suo destino, ma costretto ad accettarlo.
Questa è la mia natura, pensa la lupa correndo a rifugiarsi nei boschi. Saziata la fame, il branco la segue. Presto sarà giorno e lei tornerà ad essere la ragazza di sempre. Con il sorgere del sole, quando arriverà il mattino, il mondo della notte apparirà distante.


autore                                    
Simone Bergamini