«Mi ha morso. Io la uccido questa bestia!»
«Smettila di strepitare. Cosa vuoi che ti abbia fatto? Non ha le zanne, è un uomo; sei cieco?»
«Non importa, vale il principio. Nessuno può mordermi.»
Ma si era già calmato, dopo aver proferito qualche altra oscenità si allontanò addentrandosi nella grotta, là dove i bagliori delle fiamme incendiavano i racconti di caccia dipinti sulle pareti con i colori sacri.
Il lupo grigio si rivolse al più ragionevole compagno, un lupo di color cenere, rimastogli accanto in silenzio.
«Questi giovani. Sempre combattere. Non pensano ad altro.»
«Neanche io vado pazzo per gli esseri umani. Cosa facciamo di questa scimmia glabra?»
«Grandi cose, amico mio. Grandi cose. La fine della guerra millenaria con i vampiri.»
«Ancora con questa idea della tregua. Ma perché? Abbiamo combattuto tanto e ora, che stiamo per vincere, tu parli di tregua…»
«Anche tu. Guerra. Ma io non sto parlando di tregua, ma di vera pace.»
«Sarebbe la prima volta.» Ribatté l’altro scetticamente. «Per me, faremo meglio a mangiarcelo, quest’uomo. I vampiri non costituiranno più una minaccia, da domani. I “carne-morta”.»
«C’è sempre una prima volta, abbi fede.»

§§§
Catturarlo non era stato difficile. Sono così stupidi. E avidi. Era bastata un’esca qualsiasi. Vi si era gettati a decine. Poi i cacciatori avevano tenuto quello che sembrava il più intelligente.
Il difficile adesso, davvero arduo, era convincerlo a fidarsi di loro.
Il grande fuoco ebbe un gemito, a causa del vento che sibilava incessantemente sugli altipiani. Il lupo osservò con timore il vacillare dell’alta pira.
Presto sarebbe passata la notte, queste interminabili notti dell’alba del mondo.
E non ci sarebbe più stato bisogno dello sbarramento di fiamme. I vampiri non attaccano di giorno, a meno di non esserci costretti.
I lupi si. Col giorno sarebbe partita la controffensiva. Tutti i lupi erano pronti. Erano risoluti a chiudere una volta per sempre la storia con i vampiri.
Dal Gran Re della sua gente non aveva ottenuto altre dilazioni.
O riusciva nel poco tempo che gli restava, oppure…
Lui aveva sempre ammirato i suoi nemici. I nobili vampiri che combattevano con lealtà e coraggio.
Erano una razza ancora più antica di quella dei lupi.
Nessuno poteva dire quanto, nemmeno i vampiri stessi. Erano infatti talmente antichi da aver già conosciuto la decadenza.
Ma erano pochi, come tutte le antiche razze avevano esaurito la loro spinta iniziale.
I lupi, invece, avevano avuto modo di organizzarsi.
Avevano copiato le poderose macchine da guerra della razza nemica catturate negli assedi e nelle interminabili scaramucce.
Troppi conti erano aperti e da troppo tempo. Vendetta. I lupi ne erano come drogati.
Ma il Gran Re dei Lupi, dietro le sue insistenze, aveva finito per promettere una pace onorevole se i vampiri avessero acconsentito a deporre le armi.
In fondo la Terra era abbastanza grande per entrambe le razze.
Soprattutto, se a seguito della nuova cooperazione, insieme fossero riusciti a riattivare i macchinari inventati secoli prima per sciogliere i ghiacci perenni.
La Terra sarebbe diventata un giardino fiorito, e si sarebbero divisi rispettivamente la notte e il giorno.
Il lupo grigio ci credeva, credeva in questa possibilità. Disperatamente.
Ma per realizzarla gli occorreva l’aiuto di quell’essere inferiore, uno di quegli animali uomini che vivevano in branchi sparsi per le praterie.
Attaccavano l’altra selvaggina, e questo infastidiva i cacciatori lupi, ma non costituivano una seria minaccia. Era più una questione di orgoglio. I lupi si attribuivano l’esclusività di cacciare ogni animale. Le bestie umane vivevano fuori da ogni controllo, non si erano curati di controllarne il numero.
Ogni tanto partivano delle grandi cacce per abbattere i capi umani in eccesso. Li si fosse lasciati riprodurre indisturbati, presto o tardi quegli uomini avrebbero messo in crisi l’intera catena alimentare e non ci sarebbe stato cibo per alcuna specie.
Cavallette. Con la stessa ottusa energia distruttiva, ma nessuna intelligenza.
Il piccolo uomo non cessava di tremare, con gli occhi sbarrati dal terrore fissava ogni suo movimento.
Lupo non poté trattenersi dal ghignare, evidentemente quell’essere inferiore lo considerava un dio, uno di quegli idoli che si costruivano con sassi e fango. Ne aveva qualche esemplare nella sua tana, li aveva raccolti per curiosità.
Ma, nell’aprire la bocca, mise allo scoperto la sua poderosa chiostra di zanne.
L’uomo gridò, non potendo sopportare quella vista. Un ricordo di assoluta paura che avrebbe trasmesso ai suoi discendenti per infinite generazioni.
Lupo grigio, spazientito, lo afferrò scotendolo: «Devi portare un messaggio. Capisci? Impara. Impara.»
Quell’uomo doveva già essere entrato in contatto con i vampiri. Sulla sua gola si scorgevano due inequivocabili fori.
Era stato tanto fortunato a cavarsela.
Ora aveva intenzione di mandare questo uomo ad un alto membro del Consiglio dei Vampiri spacciandolo come dono personale.
Quel vampiro era il suo unico contatto con il partito della pace.
Era di vitale importanza che i vampiri guerrafondai, che detenevano per il momento il potere, non intercettassero quel messaggio.
Solo confortati dal buon esito delle trattative, i “pacifisti” avrebbero tentato il colpo di mano.
Un messaggio scritto l’avrebbero sicuramente trovato, perquisendo l’umano.
Ma gli umani nascondevano inaspettate risorse, molte le si scopriva per caso, di volta in volta.
Erano dei perfetti ripetitori. Veloci ad imparare anche frasi molto lunghe, a memoria. Lupo si augurava anche che non ne comprendessero il significato. Impossibile –rassicurò se stesso rammentando i vecchi pregiudizi - , non ne hanno l’intelligenza.
Si asciugò il sudore, che gli infradiciava le folte e sporgenti sopracciglia.
Ma quanto mancava all’alba? Ci sarebbe stato ancora tempo?
Non importa, non pensare al tempo – si disse -, poi, rivolto al prigioniero: «Ripeti.» «Ancora.» «Ancora.»
§§§

Le sentinelle intimarono l’alt. Dopo un breve conciliambolo con i lupi accettarono di prendere in consegna il dono.
Per il guinzaglio trascinarono l’umano per le strade di pietra fino ai grandi palazzi del quartiere nobiliare della loro città fortificata.
Il vampiro che lo ricevette in custodia lo stava aspettando con trepidazione, secondo i precedenti accordi presi, anche se, naturalmente non poteva darlo a vedere per non destare sospetti. Sapeva di essere spiato, le sue posizioni politiche lo rendevano oltremodo sospetto ai reggenti.
Sgherri potevano venire in qualsiasi modo ad arrestarlo ed il suo titolo nobiliare non l’avrebbe protetto per sempre.
Dovette attendere finché non rimasero soli.
Poi, con impazienza, lo sollecitò: «Allora, hai un messaggio per me?»
L’uomo indugiò. Come se non fosse ben sicuro. La testa gli doleva per lo sforzo di pensare, un esercizio cui non era abituato.
Ma le scintille fecero presa sulla stoppa.
La paura si era talmente moltiplicata da annullarsi. Ora poteva ragionare con più lucidità.
«Non c’è tempo. Hai qualcosa da dirmi?» Lo incalzava il vampiro, sibilando.
«Si.» Si, ripeté mentalmente.
«Parla, dunque.»
L’uomo con fatica trasse dalla memoria le parole straniere che aveva udito in diverse occasioni con il testo dell’ultimo messaggio, per unirle e dargli un nuovo senso, che servisse al suo inganno. La laringe scoprì di poter vibrare, oltre che spingere il cibo verso lo stomaco, e far risuonare le sue corde vocali come un armonico strumento musicale.
La scoperta del linguaggio, la sua invenzione. Il pensiero si formò chiaro nel cervello e fluì alle labbra con un’inedita scioltezza:
«Dice il lupo. Morirete all’alba.»
Il vampiro si rialzò in tutta la sua statura, ritrovando l’orgoglio della sua razza, dopo un primo attimo di smarrimento. Una razza che predava la Terra fin dalla notte dei tempi. Era persino, in un certo modo, più sollevato adesso, che sapeva di non doversi rimproverare niente, di aver tentato tutte le strade.
Avrebbero parlato le armi, in ultimo.
«Allora, moriremo se è scritto così. Ma prima, combatteremo.»

§§§
Spuntò un’alba di sangue, salì urlando da dietro le colline, arrampicandosi freneticamente sui per gli erti pendi, poi, dalla sommità delle vette esplose nella pianura.
Ventimila ululati risposero all’unisono al saluto del sole.
I reggimenti dei vampiri, invece, rimasero in silenzio, serrati, immobili.
Le orde dei lupi si diedero ad una furiosa corsa, nel movimento rapido ad ics, allungando e distendendo contemporaneamente le quattro zampe, prendendo sempre più velocità. Tra i denti stringevano le rudimentali armi.
Il clangore dello scontrarsi dei due schieramenti fu assordante.
La lotta divampò per ore.
Fino a quando le linee dei vampiri non cominciarono a cedere. E mentre i condottieri dei lupi osservavano compiaciuti la scena, da ogni dove si alzò un grido sconosciuto alla Terra intera.
Un grido conservato per anni, nel tessere il loro riscatto.
Serbato per questo momento.
Subito dopo apparvero gli uomini. Con le loro donne, i vecchi, i bambini. Armati, con sassi, lance di legno. A mani nude.
Avrebbero combattuto tutti. La distanza li rendeva ancora più minuscoli di quanto apparivano ai giganteschi lupi e agli altissimi vampiri.
Ma non ci volle molto a rendersi conto che erano stati accerchiati. Magistralmente.
Vampiri e lupi smisero immediatamente di combattere, ancor prima di ricevere l’ordine.
Gli ufficiali si prodigarono a ricomporre gli schieramenti, mischiando nell’allineamento i vecchi nemici, ma era troppo tardi. Gli umani, quelle bestie immonde, gli erano già addosso. Ed erano in grande superiorità numerica.
Ma come avevano fatto a moltiplicare il loro numero in segreto?
Quel giorno cominciò l’era dell’uomo e non si tornò più indietro.


autore                                    
Roberto Colantonio