Fin dall’infanzia Marilyn era sempre stata gelosa della sorella minore, Gardenia. Eppure lei era sempre stata decisamente più bella, più appariscente, più spiritosa. Marilyn si sentiva oppressa da quella sorella di due anni più giovane, nemmeno molto carina, che però con la sua dolcezza, con la sua grazia, la sua intelligenza, sembrava oscurare tutte le sue qualità.
Ora, entrambe adulte, le cose non erano cambiate.
La presenza di Gardenia per Marilyn era diventata un incubo. La sua ossessione raggiunse il culmine la sera della festa del paese. Le due sorelle arrivarono insieme. Marylin alta, elegante, flessuosa, i lucenti capelli biondi che sembravano catturare i raggi della luna piena. Più dimessa la timida Gardenia, messa in ombra da tanto fascino.
Ma durante la serata, l’acutezza e lo spirito della piccola Gardenia presero il sopravvento, mettendola pian piano al centro dell’attenzione generale. Aveva carpito anche l’interesse di Giacomo, uno dei ragazzi più belli del paese, che non aveva esitato a piantare in asso Marilyn per avvicinarsi al gruppo attorno a lei.
Era veramente troppo per Marilyn. Corse via in preda ad una furia selvaggia e arrivò in riva al lago, dove con il cuore e il cervello in tumulto rimase a fissare, come incantata, la luna piena che si specchiava nell’acqua scura. Come in un silenzioso colloquio con l’astro della notte cercava un modo per placare quella sofferenza che la lacerava.
Dopo qualche tempo sentì dei passi sulla strada. Silenziosamente si avvicinò al ciglio e si accorse che era Gardenia. Come spinta da una forza sovrumana, le saltò addosso, la tramortì e la trascinò
sulla riva del lago, gettandola dentro e tendendole il capo sott’acqua finché non fu certa che fosse morta.
Quindi sedette sulla nuda terra e restò lì fino all’alba, quando improvvisamente le sembrò di risvegliarsi da un lungo sogno. Si sentiva serena come mai nella sua vita. Lentamente ricordò quello che aveva fatto, ma nessun rimorso scosse la sua coscienza.
Marylin tornò alla sua vita come nulla fosse successo. In pubblico fingeva un dolore che non provava per la morte della sorella, intimamente ne gioiva immensamente.

Era passato quasi un mese dalla morte di Gardenia e quella notte Marilyn si sentiva strana, irrequieta. Non riusciva a prendere sonno, si girava e rigirava nel letto. Decise di uscire in giardino per prendere una boccata d’aria. Appena fuori, come spinte da forza propria, le sue gambe si avviarono verso il lago. La luna si specchiava nella scura acqua e immergendo i piedi nel lago anche Marilyn fece altrettanto. Le sfuggì un urlo quando vide ciò che si rifletteva. Quelli non erano il suo viso, i suoi capelli, le sue mani; non potevano esserlo.
Quella “cosa” che vedeva era una “bestia” pelosa, con gli occhi iniettati di sangue, una dentatura affilata ed enorme. Era diventata un lupo. Con il cuore che le si spezzava, girò la faccia verso la luna e lanciò un potente ululato.
Sembrò che la luna le rispondesse: - Nemmeno un animale avrebbe fatto quello che tu hai fatto a tua sorella e senza provare il minimo pentimento. Questa è la tua punizione. Ogni plenilunio, diventerai lupo, agirai da lupo e da lupo ululerai alla luna per onorarla.
Marilyn cadde svenuta e al risveglio si ritrovò nel suo letto, felice di essersi destata da quello che considerò solo un orribile incubo.
Passavano i giorni. La luna calò, si oscurò del tutto, iniziò a crescere. E con la luna nuova iniziò la trasformazione di Marilyn. A mano a mano che l’astro cresceva la faccia si ombreggiava di una scura barba, una irritante peluria ispida iniziava a crescerle sulle mani, sulle braccia, sulle gambe, sulla schiena. I denti si allungavano. Quando sorrideva la bocca si trasformava in un ghigno.
Dallo sguardo iniziava a trasparire la brama di cacciare, di braccare qualche preda.
Il culmine della trasformazione avvenne la notte della luna piena.
Era diventata un lupo, un lupo mannaro. Perdendo completamente il controllo di sè stessa, gli occhi, rossi come braci, che sembravano lanciare lampi rossi ed incandescenti, l’odorato fine del predatore, si lanciò alla caccia di creature da scannare.
I grossi canini che brillavano alla luce della luna si richiusero sulla tenera gola di un agnello, spegnendo il suo tenero belato.
Lasciando la sua preda, ormai morta, sul prato, il lupo Marilyn corse verso il lago, dove sulla riva, rivolse il muso al cielo e, con il sangue dell’innocente vittima che gli colava dalla bocca sul petto, sfogò tutta la sua rabbia e la sua frustrazione in un ululato che fece rabbrividire l’intero paese.

Il giorno dopo tutti gli abitanti non parlavano d’altro. Vennero rispolverate le vecchie leggende che parlavano dei licantropi della zona, le antiche superstizioni mai del tutto accantonate, i ricordi sbiaditi degli anziani.
Marilyn intanto era tornata all’apparenza normale. Ma l’angoscia per quello che le era successo non la lasciava per un solo attimo.
Non fece nulla sperando in cuor suo di aver sognato ogni cosa. Ogni mattina di esaminava accuratamente in cerca di qualche segno di mutazione, segno che però non trovò sino alla luna nuova. Quel mattino si accorse della peluria ispida che le ricopriva le ginocchia. Iniziò a tremare. Non sapeva cosa fare, come agire. Si chiuse in casa. A mano a mano che passavano i giorni il suo corpo riprese a trasformarsi, assomigliando sempre di più a quello di un lupo.
La notte del plenilunio, ormai completamente animale, una forza che non riusciva a controllare la spinse fuori. Le narici allargate a captare l’odore della preda, i rossi occhi, tondi, infuocati che perforavano il buio della notte, si avviò per compiere ciò che le era naturale, cacciare. Anche stavolta si avvicinò ad un gregge, ma più conscia della sua forza, non si limitò agli agnelli e attaccò un ariete, azzannandolo alla gola e trascinandolo lontano. Al termine del pasto, quasi ad assolvere un rito, si avviò al lago, sulla riva si accovacciò ed iniziò ad ululare il suo dolore, il suo spavento, la sua rabbia alla luna.
Mese dopo mese, luna dopo luna, la trasformazione di Marilyn non cessava di avvenire, ogni volta più dolorosa.
Intanto in paese si aveva sempre più paura di questo essere che ad ogni plenilunio di avvicinava sempre di più alle abitazioni in cerca delle sue vittime.
Una decina di abitanti decisero che avrebbero istituito dei turni di guardia per le notti di luna piena, armati e pronti ad uccidere il terribile predatore.
Intanto il terrore, l’impotenza attanagliava Marilyn. Nei periodi in cui aveva forma umana si arrovellava in cerca di una soluzione, di un modo per mettere fine a quell’incubo che le stava minando l’esistenza.
Intanto i giorni passavano e si avvicinava di nuovo il plenilunio. L’orribile bestia che albergava dentro di lei tornava a riemergere per prendere il sopravvento e partire di nuovo all’attacco, per placare la sua sete di sangue, uccidendo e massacrando innocenti prede.
Immerso nella furia della caccia il lupo Marilyn si avvide in lontananza di una figura umana e non esitò ad andarle incontro. Era Gardenia, o meglio il suo fantasma. E il cuore di Marilyn sepolto dentro il corpo del tremendo predatore finalmente comprese appieno il perché della sua punizione e capì anche qual era l’unica soluzione.
Di colpo il grosso animale, con il lungo pelo bruno, la coda ritta, si avviò di corsa verso i cacciatori cercando in tutti i modi di attirare la loro attenzione. Quando fu certo che l’avessero scorto, si avvicinò a loro, spalancando le fauci e scoprendo le lunghe zanne lucenti, e lanciando il più penetrante ululato che avessero mai sentito.
Spararono tutti insieme e solo dopo qualche minuto trovano il coraggio di avvicinarsi, cautamente, alla carcassa dell’animale. Perplessi non trovano nulla, nemmeno la più piccola traccia.
Ma da allora il lupo non si fece più sentire.
Solo se ci si avvicinava al lago, con la luna piena, si poteva scorgere , riflessa nell’acqua, una figura che assomigliava a Marilyn e si poteva sentire in lontananza una musica che in qualche modo ricordava l’ululato del lupo.

autrice                                    
Adriana Furlan