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Nello
stesso momento, da un'altra parte della città, qualcun altro
accorreva ad un altro richiamo…
Correndo lungo il corridoio buio e imprecando piano, scrollando
la pioggia dai capelli voluminosi che ondeggiavano ad ogni passo
come un vessillo.
Si fermò innanzi all'imponente porta a due battenti, si afferrò
i capelli e, dividendoli in tre ciocche, con gesti decisi se
li tirò in dietro e li intrecciò stretti, lasciandoli poi ricadere
sulla schiena, senza legarli perché non aveva nulla per farlo.
Prese un gran respiro, poi abbassò per un attimo lo sguardo
sulla punta delle scarpe di tela inzuppate di pioggia, sui jeans
sdruciti e sporchi di fango all'orlo…
Non avrebbe approvato…oh…per nulla…
Scosse il capo, scrollò le spalle con indifferente fastidio
poi prese un altro respiro fondo e alzò una mano per bussare.
In quel momento la solita voce cupa ma chiara, attutita dalla
pesante porta, le disse di entrare.
Chiuse gli occhi e lasciò andare il respiro, poi allungò una
mano e spinse la porta borchiata, che s'aprì senza un fiato.
Entrò nella stanza dove aleggiava perennemente odor di legno
bruciato e inchiostro stantio, la conosceva bene quella stanza
grande, cupa, le pareti tappezzate di libri e di vecchie stampe,
le poltrone di cuoio, dietro le quali, immobile, era stata tante
volte ad ascoltare i discorsi degli anziani e degli altri.
Lo cercò nella penombra fitta vicino al camino spento. Era sempre
spento il camino, d'estate come d'inverno, nonostante quella
stanza fosse fredda ed umida e l'odore della legna vi aleggiasse
perenne-mente…la luce, poca a malaticcia, veniva da candele
che non le piacevano…annidate negli angoli tra strani oggetti
che evitava sempre di guardare.
Camminò decisa verso l'ombra scura apposta vicino al camino.
Non gli vedeva il volto, ma guardava dove avrebbero dovuto esserci
gli occhi, guardava dove non avrebbe dovuto guardare ovviamente…arrivatagli
innanzi si fermò a pochi passi dalle scarpe nere di buona fattura
e chinando finalmente il capo, posando un ginocchio a terra,
attese un attimo prima di parlare.
- Mi avete fatta chiamare, Maestro? Ero fuori… perdonatemi se
non sono venuta subito…
La sua mano si posò leggera tra i capelli arruffati e ancora
bagnati di pioggia di lei… doveva essere una carezza, e una
benedizione, ma lei sapeva altrettanto bene che sarebbe basta
una piccola stretta, e il suo cranio sarebbe andato in frantumi,
fragile come un uovo di quaglia.
- Lo sai quello che sta succedendo, non è vero? Lei provò a
sollevare appena il capo, cercando di cogliere un'espressione
sul volto ancora del tutto in ombra, ma non le serviva l'espressione,
le bastava il tono per capire.
- Sì Maestro…lo so…- Sapeva, ma non sapeva nulla in realtà.
Quanti anni erano che si aggirava per quei sotterranei?
Quanti anni erano che viveva tra quella…"gente"… lei non sapeva
nulla, sapeva solo quello che doveva non fare, sapeva di chi
fidarsi, sapeva chi temere, ma del resto, immaginava, intuiva,
quello che loro le lasciavano intuire, immaginare…
Era viva, e sapeva di doverlo a loro…
A chi, in particolare, lo ignorava. Era una di loro, lei? No,
affatto!
A lei il sole non faceva proprio nulla, le faceva bruciare gli
occhi, la faceva sudare, lasciando spiacevoli aloni sopra i
suoi vestiti, ma del resto…e il sangue…bhe…chi almeno una volta
non ha assaggiato il sangue?
Lei se ne ricordava vagamente, non il sapore, forse l'odore,
ma la sensazione piuttosto… Era viva, lo doveva a loro…e invecchiava
molto lentamente…questo sapeva…
- C'è un po' di trambusto tra la gente là fuori…- disse il Maestro,
la voce bassa ma ancora salda e chiara, affatto la voce di un
vecchio.
- Degli omicidi Maestro…ma qualcuno non è convinto…
- Di questo non dobbiamo curarci…ma c'è del trambusto anche
qui sotto, mia giovane figlia…è di che questo dobbiamo invece
stare attenti! Tutti l'hanno sentito, tutti sono inquieti…-
Ritrasse la mano e si scostò dal camino, facendo qualche passo
sui tappeti, fino a che, arrivato ad una delle poltrone di cuoio,
ci si appoggiò come se fosse davvero troppo stanco per restare
dritto da solo.
Lei aveva finalmente rialzato il capo e lo guardava.
Si tirò su, senza nemmeno far finta di notare il velo di cenere
che le s'era attaccato al ginocchio dei jeans, regalandogli
una nuova sfumatura…
- Perché sono inquieti, Maestro? Siete inquieto anche Voi?-
la sua era una domanda audace e lo sapeva, ma stranamente a
lei erano concesse quelle domande, lei in fondo era solo una
mortale ancora, non capiva, non poteva sapere.
- Una presenza… Io voglio che tu lo cerchi. Non lo "sentirai"
perché non sei una di noi, e lui non sentirà te…Voglio che tu,
tu e nessun altro, parli con lui…
- Ma…Maestro…
- Vieni qui. Siediti… Lei si avvicinò e sedette.
Ubbidì, come aveva sempre fatto da che ricordava…
Di nuovo fuori, di nuovo all'aperto.
Da quand'era che attraversare i corridoi cupi e poco illuminati
di quella che era anche la sua casa, le dava così fastidio?
Alzò gli occhi a guardare la luce sfumata del tramonto, le insegne,
i gas di scarico che ammorbavano del tutto l'aria dando alle
cose e persino al cielo una consistenza strana… c'erano pochissimi
uccelli…
Scosse il capo e tirò un calcio ad una cartaccia, cacciandosi
le mani in tasca… cominciava pure a fare freddo…dannazione a
loro tutti!
Avrebbe fatto ciò che le chiedevano, come ricordava d'aver sempre
fatto, eppure non aveva nessuna voglia di cercare, contattare,
e parlare con quello strano vampiro che tutti sembravano dover
conoscere… e che nessuno però voleva incontrare!
Imprecò a mezza voce, avviandosi verso il parco… chissà perché
mai, come se tutti i brutti incontri si potessero fare lì soltanto…come
e lei non avesse mai visto un vampiro… zanne snudate, e sangue
gocciare in rivoli…
Ma che le stava prendendo che le sudavano le mani, il cuore
perdeva un batti-to qua e là e le gambe sembravano accelerare
il passo?
La sua mente l'invitava a fuggire da qualcosa o ad affrettarsi
come per un appuntamento?
Nadja
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