“Costei sente a sé la calorosa prurigine del sole di primo mattino,
la vedo e piango, perché come sa, sono un pericolo
Essendo della consistenza tremante dell’inverno io e la mia grotta
di stalagmiti posta nel petto, che fa bella l’oscurità”

Ai tuoi piedi, quei ponti rinverditi
alle estremità murali, ancora credo, anzi ho
la pazienza di passare completamente la mano
per trascinar via le pietre sbriciolate e le
miserie viste di funghi velenosi, abbassando i rami dal fulcro
di ogni tua punta dei piedi, che per conto loro cercano la luce.

Quando potrò anch’io stringere le prosperità, quanto simile ad
un nido di garza e foglie, strette e madide come si ricordano i tuoi seni.
Così queste conformazioni, dove posavo il capo arricchendomi
di quei sussulti in riverbero, viaggianti ma non uscenti dal petto che li
tiene e solleva, combaciando, sonorità che sono arrestate e rilasciate per
far pronunciare le tue prime impressioni al risveglio.

Alla mia padrona, io devo già la visione
del giorno, accorto e senza intrichi e senza desiderio
quasi ne sento su me da poco la sua vista,
cadendo sull’alzata collinare dove partecipa
vento e pioggia a cancellare, gli episodi che ancora
far i torrioni, gli aloni di aria bruciata, sferici
come cappelle monastiche, tento di immaginare,
Dalle merlature incavate croci, come buchi distanziati di visiera,
fanno arrivare sconquassi di ferri.

Affrescate come bozzi leggeri
per una non più prossima stesura,
su un contado si finge ora la vita di
quegli anonimi ricalchi, fatti al vero ormai solo
dalle recite tra corvacci imbrattati su un fondo color del vino
Nella bufera dove ho conosciuto la grazia, sebbene quasi
integralmente in un disperato biancore dai sostegni
che facevano quei tronchi di quercia, una vetrata catturante il Lume delle oscurità.
Ma tu eri rapida nei passi, come fu e cinse nei suoi palmi massicci Prometeo se, curando che ciò che di raro diffondi
fosse sopravvissuto al poi dell’angusta dissipatezza

Come per pentimento

di Michael Judas Biersay