L'incendio di una chiesa è uno spettacolo sublime. Tanto più l'incendio di una cattedrale. E' il mio sogno ricorrente: mandare al rogo le opere più elevate dell'arte umana come si faceva con gli eretici protervi o coi superbi dell'ingegno.

Ammirando il matroneo da una delle balaustre dove sono solito appollaiarmi per studiare il piano di attacco, non mi è insolito imbattermi in un fanciullo che, interrompendo il gioco della sua flebile preghiera, mi guarda come se sapesse. Bruciare una cattedrale! Che idea mirabile, concepibile soltanto da una mente suprema.
Che poi non sia mai riuscito nel mio intento, e per motivi quasi sempre indegni d'essere raccontati, non ha la minima importanza ai fini di questa confessione. Gli è che l'ossessione di tutta una vita mi ha reso insensibile di contro agli sguardi dei bambini come ai crucci di coscienza. Ah, se solo l'organo tacesse! E' lui il mio maggior nemico, colui che ferma la mia mano e la innalza in un'aura sospesa, senza tempo, dove il dubbio si tinge di perversa mestizia.
Vedete, anche ora la malinconia travisa ciò che di alto e insostituibile ha la mia vita, giacché immaginare la fine è già rimandarla. Forse ho paura di render cenere tesori di tal fatta, in un mercoledì amaro che quel moccioso (mi guarda, mi guarda ancora) trascorrerà in famiglia, nella quiete di un asilo che io non potrò più vagheggiare.
Sono costretto all'odio. Ricordo mio fratello maggiore - buono di cervello cattivo di cuore - rivedo mio fratello correre tra i canneti e deridere le mie braccia smilze, le mie mani scanite. Hai le dita di un morto, mi diceva. E lo odiavo proprio perché era vero, e ripeteva quell'offesa con disinvoltura, come a chi non potrà mai renderla. Ma la superbia e la vendetta, che in me nicchiavano, irruppero poi in armi come due fedeli alleate i cui confini non desiderano definire. Ora riposa in pace, poveretto, ricoperto da due strati di terriccio bruciato, e mai nessuno saprà chi è stato.
Chiamarmi criminale non oserebbe neppure un tribunale d'angeli: io stesso, nei momenti di quiete (vale a dire quando contemplo la cattedrale di turno), non saprei spiegare cosa mi spinge a calpestare i tracciati marmorei di un'antichità stanca e immemore. La tentazione a volte turba i miei disegni e quasi mi convince ad abbandonare la città di turno e a non tornarvi mai più. Ma poi la marea instancabile ricresce, e quale fiotto incandescente ravviva l'idea primitiva.


* * *

Dopo il giro d'ispezione di ieri, mi sento più disteso. La tecnica d'assalto l'ho già tutta in mente, è un gioco da ragazzi. Oggi l'organo dovrebbe tacere, e se è vero quel che m'ha detto il prevosto (tipo simpatico, il cui viso diviene interessante solo allorché increspa le due malcelate rughe della fronte), la messa da requiem sarà una messa muta. Ah, avessi la forza di dedicarne una al mio povero fratello! L'aldilà deve averlo inghiottito come un confetto che non si può rifiutare, il più presto possibile, svogliatamente. Dirò al prevosto di provvedere. Ma no, perché mai? Meglio lasciare i morti ai morti. Forse che loro si preoccupano di noi? Chi può dirlo!? Tutto è già stato scritto, e i miei rimorsi, se verranno, saranno i suoi vendicatori.
Non è possibile, lo dicevo che si sbagliava. Quel diavolo d'un prete si sbagliava. Anzi, l'ha fatto apposta. Forse sa anche lui, e come tutti quelli che sanno finge il contrario per incastrarti meglio. Simpatico un accidenti, la musica è più forte che mai. Dev'essere un morto impegnativo, le navate sono in gran pavese. Ecco la cripta dove ho incontrato quel furfante: ucciderò anche lui.


* * *

L'ispezione per la cattedrale non mi ha soddisfatto. Quell'odore d'incenso mi deprime.
- Scusate ... - mi dice qualcuno dal buio. Mi volto, strizzando gli occhi scorgo un essere claudicante, anche lui puzzolente.
- Beh, che c'è?
- Scusate ... vi ho visto fissare la cripta e ...
- Sì - rispondo - le cripte mi piacciono. Tutto quel che sta sottoterra mi piace.
- Vede che non mi sono sbagliato. La chiesa ha qua sotto una dozzina di celle. Collegate fra loro.
- Davvero?
- Sìi. E nessuno lo sa.
- Tranne voi, suppongo.
Mi chiedo se quell'uomo, che somiglia più a un insetto spiaccicato che a un uomo, adeschi tutti quelli che rimirano il sotterraneo. Pare Quasimodo sbalzato dalle pagine di Hugo.
- Io non conto, signore. Io non conto.
Visto che non do corda, lui insiste. Basta un tenue legame tra due persone per azzardare ogni sorta di allusioni, banali e oziose come tutte le allusioni.
- Potrei accompagnarvi ...
- Accompagnare me? Laggiù?
- Certamente.
- Ma lei chi è, scusi?
- Oh, sono il diacono del capitolo, ma non lo faccio per lucro, credetemi. Soltanto, so distinguere lo sguardo d'un amatore d'arte.
"Amatore d'arte" non l'avevo ancora sentito. Il diacono del capitolo, eh?
Si affretta al pertugio, e con gesto agile e sicuro apre la piccola inferriata rozzamente istoriata.
Il sedicente diacono previene i miei pensieri e spiega che quelle brutte sculture risalgono ad epoca di molto posteriore alla costruzione della cattedrale. Come se la storia, da sè sola, sciogliesse gli arcani estetici! Sorride, il gobbetto, sorride e mi precede. Lo strano abito che indossa ha un taglio che non stonerebbe tra i clangori mistici di un Alto Medioevo né alla ricca tavola di un Borgia. La sua gobba mi repelle. Prima il prevosto, poi lui, indi la chiesa.


* * *

Ma come si fa ad uccidere tutti? Questa è la tentazione suprema ma, certo, inattuabile. Mio fratello però non è più: giustizia è fatta. Voi direte che sono un pazzo, un maniaco, un piromane, da legare e sorvegliare. E vi sbagliate, poiché io incarno ciò che voi avete sempre desiderato. E' follia esaudire i desideri? D'accordo, allora sono folle. Ma voi con me. Comunque sia, ho seguito il diacono per oscuri corridoi e grotte malate di un herpes che un critico estroso chiamerebbe stalattiti gotiche. Non era roccia, ma la imitava. La mia guida taceva, e neppure si accertava, cammin facendo, che io fossi ancora lì; osservava la finta roccia come se fosse anche per lui la prima volta, ma senza stupore, anzi con quella fissità che solo un impiegato del catasto sa inventare.
- Non è un gran che - azzardai, ma senza quell'aria di sufficienza che sono solito ostentare con gli estranei. - Aspetti - rispose il gobbo senza intonazione. Lo splendore delle gemme e dei dipinti che mi si parò innanzi di lì a poco valevano certo la fiducia sospettosa che avevo riposto nel mio Virgilio. Quel girone infernale conteneva dunque simili ricchezze, che funzionari distratti o corrotti avevano da sempre trascurato. La luce che si sprigionava da quelle forme e da quelle colorate, coloratissime pietre mi fece perdere i sensi, ma in quell'istante capii che l'Agarrtha aveva mille effigi, una delle quali era questa, ben visibile e insopportabilmente bella. Chiusi gli occhi, presi la mano del diacono e lo ringraziai come un cane fedele il padrone, mimando un impossibile inchino. Lui rispose al sorriso, ma con piglio da capomastro mi ingiunse di risalire al più presto dalla miniera. Disse proprio così: "dalla miniera".


* * *

Ho cambiato idea: farò partecipe il diacono del mio progetto iniziale, e mi confesserò a lui. Ma confessano i diaconi? O cosa fanno mai?
- Signore ... volendo si può continuare.
- A percorrere la "miniera"?
- Dite bene, signore: un tempo, dove voi ora camminate, c'era una grande cava di argilla. L'argilla era bianca in origine, era la fonte della vita.
Ci risiamo. I soliti discorsi mitico-simbolico-naturalistici che i preti inventano per disorientare i poveri di spirito o per far colpo sui turisti.
- Ah sì? - risposi.
- Sì - riprese estatico, oltremodo fiducioso nella propria capacità di far proseliti - dall'argilla è nata la vita, e dalla vita l'uomo. Il Re del Mondo sa queste cose.
- Il Re del Mondo saprà anche queste cose - dissi tra il cortese e l'ironico - ma che c'entrano con i sotterranei che mi avete fatto vedere?
- Scusate ... il superiore mi chiama.
Non era vero, naturalmente, ma accondiscendere mi faceva comodo per prendere tempo; avevo di nuovo cambiato idea: altro che fare partecipe eccetera eccetera, lo spingerò giù dal campanile. Sto perdendo tempo: sfracellarsi sul sagrato sarà per lui più nobile che scoprire rapinosi tesori nelle viscere di una cattedrale eretta sull'argilla. L'argilla! Lo spingerò giù con uno stratagemma. Dixi.

* * *

V'era uno scrittore a cui piaceva la parola stratagemma, poiché vi vedeva un tesoro sotterraneo: ebbene, c'ho pensato tutta la notte, e se il diacono crede nell'Agarrtha, io credo nell'Inferno, nelle sue fiamme e nell'eternità che sempre le nostre azioni e ancor più i nostri pensieri si sforzano di concepire.
Io ne diverrò degno tramite l'assassinio, che applicato su codesti traffichini dell'eterno ha più il sapore dell'esperimento morale che dell'atto vero e proprio. Costoro - i preti, intendo - sono come le tortore: monotone, querule, quaresimali. Vale a dire insopportabili. Da evitare. Da eliminare. Smetterò di incendiare. D'ora in poi ucciderò. Ho detto.


* * *

Ho fatto: ho messo in pratica, cosa rara per quel che mi riguarda, ciò che avevo in testa. L'ho ucciso, e il ricordarlo - più che rimordermi la coscienza (che come tutte le parole composte tradisce la sua natura derivata e quindi inconsistente) - ferisce il mio senso estetico. Quel corpo sul selciato, pardon, sul sagrato, mi repelle intimamente e mi fa stornare lo sguardo dalla pozza color malva del suo sangue rappreso. Querule creature.


* * *

Anche nelle persone più abiette sappiamo trovare una scintilla di complicità, così come in quelle più simpatiche un lieve ribrezzo estetico. In mio fratello non potevo avvertire né l'una né l'altro: egli era un egotista indisponente, critico oltre ogni lecito, da eliminare insomma. Non mi direte che, una volta capito un teorema, per quanto astruso esso sia, non ve ne liberiate ipso facto dalla mente! Come possano alcuni sopravvivere con tali dimostrazioni in testa rimane per me un mistero. Egli aveva una mente siffatta: capendo tutto a volo, mi faceva fare pessime figure, esacerbava il mio orgoglio e alimentava la mia vendetta. Guai a chi ci proverà di nuovo.     [ avanti » ]

di Paul