Cammino lentamente, ogni passo come un macigno che fatico a sollevare. Lento e pesante tipico incedere che separa ogni condannato dal patibolo.
L'erba fresca si piega gentilmente al mio passaggio, la brina della notte mi infonde gli stivali di una genuina lucentezza.
Lo sguardo fiero rivolto alla vallata.
Le pianure ai miei piedi, immerse nelle tinte profonde e monocromatiche della notte, tutt'intorno attenta tensione.
L'attesa che precede un evento meraviglioso, il fremere delle fronde scosse dal vento, il silenzio improvviso dei grilli e il volteggiare più fioco delle lucciole, monito e preavviso di qualcosa di eccezionale.
Sereno, come al termine d'una grande impresa, come all'inizio della fine.
Laddove non si hanno rimpianti nè debiti.
Laddove tutto sembra giacere in costante trepidazione, tutto rivolto e teso, ad un unica grande azione.
Sento questa sensazione, scivolare sulla pelle fredda, soffermarsi sulle labbra appena dischiuse.
Sembra di sentire ancora un istante la vita scorrere in questo corpo.
Permeare la sua immortale fibra.
Ed ecco..in lontananza appare.
Timido, quasi inconsapevole, attore appena nato d'un enorme palcoscenico, e tutta la platea, rivolta verso lui.
L'intero universo che si desta al suo sguardo, meraviglioso l'uno, meravigliato l'altro.
Come l'inizio di un grande concerto, appena un suono gli archi, dolce nenia sussurrata, bagliore distante, lentamente appare.
Bellissimo e mortale. Lo guardo. Immobile, incosciente, come si potrebbe fissare un bellissimo felino.
Flessuoso e armonioso, la scia di misticità e forza selvaggia che scorre come un velo sulle curve sinuose. Ecco.
La piana s'imbianca, non più effimera spirale di singoli cromi, il corpo della Madre, lentamente si desta, percorso d'un fremito vitale.
Immobile, ascolto il crescendo della danza di Morte.
L'occhio si sofferma, ignora il dolore. Perso nel cosmo, pervaso dal caldo bagliore.
Non sento nulla. Il cerchio mi guarda, quell'anello di luce, come fulgido cavaliere, alza su di me l'impietosa spada.
Non v'è sofferenza, solo il calore, il piacevole ricordo di quella sensazione sulla pelle, di quando quella luce m'accarezzava il volto.
Ora lo sferza, eppure non sento. Avverto solo l'aria il fresco del vento che mi fa leggero.
Mi prende la mano e mi porta via. Consumato dalla passione, dell'amore e follia.
Il mio corpo svanisce e l'anima è salva, persa nel fulgore d'un raggio di Sole.
...
Ogni volta lo stesso sognare.
Quante volte l'avrò immaginato..forse desiderato, e ogni volta mi trovo a scrutare le tenebre, mentre il legno nero della mia "casa" mi preclude la morte in quella visione.
Ho tutto il tempo per poter ricordare.
Il fresco dell'erba entra dalla finestra appena socchiusa, l'odore dei muschi e dei raggi del sole, dell'erba appena bagnata, quella sensazione che non potrò sentire più.
E' l'odore della mia dannazione.

di Il canto della Morte