Addio Costeggiavo il binario per uscire dalla stazione affollata da agitati pendolari mattutini in perenne ritardo, ed incrociai un uomo. Camminava veloce verso il suo treno, in direzione opposta alla mia: aveva la pelle abbronzata e gli occhi piccoli, i capelli scuri con qualche filo argentato come fosse spruzzato.
Mi passò accanto mentre da qualche parte nella stazione una donna piangeva per lui. Una donna che non avrebbe voluto prendesse quel treno, mentre rimaneva sola a fissare da lontano i vagoni allungarsi sul binario e sospirava, consapevole che lui non sarebbe tornato.
Lo guardai camminare, quasi correre verso la partenza, mentre si lasciava alle spalle tutto per andare dove non ci sarebbero state donne che piangessero per lui, né affetti da colmare o fantasmi da cui fuggire.
Forse quella notte, quella donna non più sua avrebbe pianto troppo e non avrebbe voluto aspettare che sorgesse il sole. Forse non sarebbe tornata a casa, per andare a perdersi lontana e parlare a lungo con il buio, sopra il volto dei suoi demoni e nel ventre della notte fino all’alba.
Mentre lui sarebbe stato in viaggio.
E si sarebbe lasciato dietro tutta la morte che lei aveva nel cuore.
Un fischio del capotreno.
E goccioline di sporco e pioggia da chissà dove caddero a bagnare la banchina, come lacrime di angeli che volano troppo basso per vedere dio, e sono troppo umani per arrivare in cielo con le loro lacrime di fuliggine e di fango.
Si chiusero le porte
per portarlo via

di Yorick