So di essere nel mio letto, so di avere gli occhi chiusi; vedo un cielo violaceo sopra di me sbuffi di vapore che salgono dal terreno.
Una luce livida che so essere antecedente alla luce, antecedente all'oscurità.
Sono a cavallo di un destriero, e non sono sola... solo.
Volto il mio sguardo ed osservo i sei cavalieri in fila ai miei lati, li conosco... da sempre.
Un'eternità condivisa, una guerra che non finisce.
Il gelo attraversa l'armatura, mi penetra nella carne, ma restiamo ancora immobili.
Il nostro signore non ha ancora dato ordini e noi non cavalchiamo.
Sento il potere affluire attraverso il gelo, con esso e da esso.
Nulla si muove in questa landa che mi pare al di là dei tempi.
Sono nel mio letto ed apro gli occhi, tutto normale, tranne un gelo che mi fa quasi battere i denti.
La mia attività continua come sempre, ed incontro persone, amici e conoscenti.
Improvvisamente, durante una discussione, una lama di panico mi affonda nello stomaco, riguarda la persona con cui sto chattando! Qualcosa dentro di me di sbatte in faccia quella strana landa che devo aver sognato nel dormiveglia.
Ho paura, per lui, non ho ragioni per averne... le parole escono dalla mia bocca come un fiume parte incorenti parte di ricordi.
Lo imploro, lo prego, lo supplico di non scrivere una missiva, a nulla valgono le mie istanze fino a che sull'orlo dell'impotenza uso la mia paura come un'arma e gliela scaglio contro con tutta la mia forza.
Ricomincio a scrivere sempre la stessa frase: lui è uno dei sette, lui è uno dei sette.
Quando finalmente fra le lacrime che rendono lo schermo del computer una cascata irridescente riesco a leggere ciò che lui ha scritto: Smettila, smettila mi stai annegando di paura, ho capito, non farò nulla fino a che non ti incontrerò.
Respiro.
Ho ottenuto il mio scopo... ma quale? Di certo io non lo so, mi hanno guidata delle sensazioni che non comprendo, che non sono mie.
Trascorrono i giorni e la vita continua, l'episodio diventa un ricordo strano come molti altri.
Semaforo rosso colonna di auto, furgoni ed un camion, senza alcun tipo di pensiero nella mente osservo dal parabrezza.
Il camion ha la freccia a sinistra lampeggiante, irretita da quell'intermittenza la osservo, ha un colore... un colore che mi dice qualcosa, che sussurra, che scardina un altro ricordo.
Improvvisamente vedo delle tende, sotto a quel cielo livido tende verdi scuro sulle sommità delle bandiere: arancioni bordate di verde...
Arancioni, come il colore di quella freccia. Una morsa mi attanaglia lo stomaco.
Cerco quella persona per giorni in rete fino a che non si connette e forse ancor prima del ciao gli chiedo il colore delle bandiere.
Neppure so se lui sa di che sto parlando, lo do per assunto.
Attimo di silenzio, inizio a pensare di essere impazzita, poi compare la frase in chat: le bandiere erano arancioni bordate di verde scuro.
Ora sono terrorizzata.
La frase successiva inizia ad aprire qualche spiraglio, come io ho trovato il coraggio di sputare quella domanda lui pare trovare il coraggio per aggiungere elementi: Eravamo in sette, uno fra voi mi ha ucciso. Avevamo una missione e non l'abbiamo potuta compiere, nei decenni, secoli, millenni ci siamo rincorsi per essere ancora tutti e sette nello stesso istante.
Queste parole sembrano risvegliare qualcosa, il gelo che sento dentro crea una sorta di barriera attorno a me.
Decidiamo di incontrarci perchè io sono certa di aver individuato qualcuno e lui anche.
Primavera a Roma, sera mite dopo un temporale incontro fra alcune persone che poco si conoscono se non per qualche parola in chat.
Come un lampo fra tutti noi passa qualcosa, qualcosa che ci permette di "rivederci" in sella ai nostri destrieri in quella landa desolata al di là del tempo.
Gli occhi con cui di guardiamo non sono realmente i nostri, sono di qualcosa che fino ad oggi si è agitato dentro di noi. Lui che è stato il nostro capo prende la parola, come sempre, come è normale che sia.
Siamo in sei sotto quel cielo romano la cui brezza sta spazzando via le nuvole residue.
Manca soltanto l'assassino, cui solo il fatto di essere lì riuniti a confrontare le nostre visioni, da un nome ed un volto nei ricordi.
Lui si avvicina mi fissa sorride: sei una donna ora, ma tu eri alle mie spalle.
Un altro ricorda perfettamente la spallata che ho dato alla mano che brandiva il pugnale.
Non era il mio il volto dell'assassino, mio forse quello di chi aveva cercato di salvarlo.
Mi osserva forse in parte rassicurato dalle affermazioni degli altri, forse qualche dubbio ancora gli aleggia nella mente, del resto ha passato l'eternità a vedere, in ciò che è contenuto in me, nel suo carnefice.
Mi sorride ancora ed annuisce.
So chi è oggi, mormoro a mezza voce, quasi un sospiro che contiene parole.
Chi?
Colui a cui stavi per scrivere quel giorno, rispondo senza staccare gli occhi dai suoi, con una parte della mia mente mi accorgo che non sono i suoi ma quelli che aveva, quelli dell'entità racchiusa in lui e mi chiedo come appaiano i miei.
Ci lasciamo con la consapevolezza che forse è il momento che forse il fatto che in questo tempo, in questo istante siamo ancora tutti e sette qui.
Abbiamo lasciato la decisione in sospeso, abbiamo deciso di attendere ed il mio gelo si è ritirato nel mio profondo, come accendo tale decisione.
Trascorre altro tempo, la vita continua normale come sempre.
Una telefonata, abbiamo deciso di agire.
Chiudo gli occhi un istante mentre il gelo si irradia in me come la brina sui vetri.
Sento chiaro e furioso il potere che si risveglia, sento la rabbia la forza che mi spingerebbe ad annientare, sento quello per cui l'entità dentro di me è sorta dal nulla.
Mi resta soltanto una labile consapevolezza di quello che sono e mi ci aggrappo con tutta la mia forza per contrastare la marea che sale.
No, io rinuncio.
Ci stai condannando tutti ad attendere ancora!
Non credo, credo che forse debba essere data un'altra possibilità.
Silenzio - tu lo credi davvero? Nonostante quanto tu possa aver conosciuto del passato?
Si, voglio sperare, nonostante tutto voglio sperare. Forse sono diventata troppo umana per condannare l'umanità...
E sia attenderemo il prossimo incontro... Avresti potuto ucciderlo e non lo hai fatto, forse eri già umano allora.
Chino il capo perchè non so che rispondere, chino il capo perchè non riesco a comprendere se sia un'accusa, una giustificazione o un perdono.
Ci salutiamo e non ci sentiremo più, nulla ancora abbiamo da dirci, ciò che conteniamo o contenevamo non grida più dentro di noi per riunirsi, ora la chat è tornata normale.
Ora ripenso al "caso" che ha mescolato le nostre vite e ci ha portati tutti in un unico luogo.
Di tanto in tanto colgo dentro di me il gelo, lo accarezzo come fosse un amico perduto... quasi fosse capace di provare affetto per me.

di Gabrielle de Lioncourt