Andras guidava da ormai quasi tre ore.
Adesso cominciava a sentire dei dolori alle ginocchia ed anche i muscoli del collo erano piuttosto affaticati. Ma non gli faceva proprio voglia di fermarsi, neanche per fare una pisciata. Amava starsene col petto schiacciato sul serbatoio della moto facendo oscillare la lancetta del tachimetro tra i 200 e i 250 ad in tervalli regolari di pochi minuti. Si gustava l’aria che lo massaggiava lungo la schiena e cercava di spogliarlo spingendo in su il giacchetto di pelle. Stava bene, un senso di leggerezza, turbato ogni tanto da qualche scossa dello sterzo innescata dal fondo un po’ sconnesso.
Lungo la strada pietre appuntite e rovi. Non era certo un granchè per fermarsi. Poco più avanti scorse in lontanaza qualcosa che poteva essere uno spiazzo, forse sagome di autoveicoli. Decise di dare un’occhiata, quindi afferrò bruscamente il freno davanti e inventò una staccata di quelle che ti fanno saltare il cuore in gola. Riuscì a fermarsi giusto in tempo per svoltare nella piccola radura sabbiosa con un leggero disappunto per la poca eleganza del gesto. Bel modo di presentarsi pensava.
Comunque si compiacque per la presenza di esseri umani. Osservò le auto caricate come muli da soma degli oggetti più disparati: ventilatori, tappeti, stoviglie, comodini, padelle per cacare, fucili da caccia e soprattutto provviste. Non mangiava da un bel pezzo e anche se non amava questo genere di cose decise di chiedere ospitalità a quella gente.
Alcuni di loro erano intenti ad accendere un fuoco, altri sistemavano delle tende, altri ancora, per lo più donne, sembravano intenti a preparare qualcosa che poteva essere una cena.
Appena si resero conto della presenza di Andras riscirurono a radunarsi intorno al giovane forestiero con straordinaria rapidità e per di più senza che nessuno avesse detto nulla al riguardo.
Egli osserva nei loro occhi la tipica ostilità delle persone mediocri ma non disperava per la propria impresa. In fondo li conosceva, erano poveri cristi in fuga dalla città.
Erano profughi.
Potevano anche fare gli stronzi ma in realtà avevano una gran voglia di credere alla bontà degli uomini e che uno sconosciuto potesse essere una brava persona bisognosa del loro aiuto, del loro affetto.
Uno alto e grasso gli ringhiò:- chi sei,… che credi di fare qui, non vedi che ci siamo già noi,… ti conviene ripartire in fretta-.
Andras cercò di assumere l’espressione più contrita che aveva e disse che era in fuga dalla città (mentendo, sapeva bene che non era così, lui era solo in viaggio). Disse che non mangiava da giorni e che si spostava da solo perché aveva perduto la famiglia, uccisi da qualche balordo proprio dentro casa loro (altra balla colossale).
Ci volle un po’. Ancora qualche stupida domanda. Altre balle per risposta. Poi si fece avanti una ragazza, minuta, un viso stupendo, una voce sicura e piacevole. Disse che dovevano smetterla di discutere, che quel tizio doveva mangiare con loro ed era stupido farla tanto lunga.
Seguirono ancora un po’ di commenti ed infine il tanto sospirato invito a cena.
Nel giro di poco tempo il bel sorriso del giovane, i suoi modi gentili, fecero il resto. Quei tizi lo accolsero a braccia aperte, furono così contenti della sua compagnia che non si scordarono nemmeno di offrigli un bicchierino di uno schifoso liquore distillato da un vecchio del gruppo.
Badarono bene di raccontargli un po’ delle loro disgrazie e dei loro sogni. Cercavano un posto tranquillo dove potersi rifare una vita. Andras ricambiava con frasi di circostanza, facendo attenzione a non mostrare il proprio disappunto per quel ronzio di mosche che lo circondava. Notò accanto a se la ragazza che prima aveva preso le sue parti.
Le chiese come si chiamava.
Ahania, rispose.
Le chiese se avesse progetti per il futuro. Lei rispose che aveva intenzione di inventare una macchina per fulminare tutti quelli che chiacchieravano troppo. E rise. Con grazia.
Conversarono per un po’ poi giunse il momento di andare a dormire. Era una notte serena. Il cielo stellato. In lontanaza bagliori dalla città. Erano i palazzi in fiamme che mandavano una tenue luce rossastra e sopra di essi colonne di fumo appena visibili.
Ahania dormì profondamente ma al mattino si sentì turbata. Si alzò di soprassalto e uscì dalla tenda. Lo spettacolo che le si parò davanti agl’occhi le dette la nasuea.
Morte e orrore.
Corpi nudi accatastati gli uni sopra gli altri.
Tutti i suoi parenti ed amici.
Per tutti la stessa fine.
Guardò meglio e si rese conto che una lunga striscia di sangue era stata stesa come un tappeto che, partendo dalla sua tenda, si dirigeva verso il centro dello spiazzo dove la sera prima avevano mangiato. Poi la striscia si divideva in due per descrivere un cerchio intorno a quello che poteva sembrare un monumente di cadaveri.
Dentro al cerchio dita, bulbi oculari, orecchie ed intere mani formano un primo girone all’interno del quale si ergeva la piramide vera e propria. I bambini stavano all’esterno in basso. All’interno probabilmente i piu grandi e grossi, visto che erano proprio quelli che non riusciva a scorgere.
Sentì una stretta tremenda al cuore quando vide che in cima alla catasta c’erano i suoi gentori, uno accanto all’altra, avvolti in un manto di rovi.
Ahania si girò, vide Andras seduto su di una roccia. Adesso il giovane demonio era avvolto di tutta la sua sinistra bellezza. Una leggera brezza gli muoveva i lunghi capelli neri. La luce blu dell’alba gli conferiva un pallore quasi di seta. Nei suoi occhi la luce propria di spiriti immortali.
La ragazza notò le mani di lui ancora avvolte di quel sangue che ora appariva quasi di un viola funerario screziato per la presenza di qualche bel riflesso aranciato.
Riuscì a spingere giù il groppo che si sentiva in gola ed urlo:- perché? Che hai fatto !-.
Andras iniziò a parlare con voce calma:- ho voluto celebrare ciò che c’è di più bello in voi umani. La vostra caducità intendo. Non è forse perché sapete di dovere passare che vi aggrappate ostinamente ad ogni patetico brandello di vita chiamandolo destino. Non era forse questo il loro sogno non rivelato, morire. Questo doveva essere il mio dono per tè. Così pensavo che mi avresti amato.
Non capisci, io ti ho liberata.
Adesso non devi piu trascinarti al seguito di quelle creature inferiori. Adesso che ogni ponte è crollato, puoi venire via con me.
Ahania rimase immobile come di pietra, poi corse incontro ad Andras come se volesse abbracciarlo.
Gli gridò amore.
Lui saltò giu dalla roccia per accoglierla tra le sue braccia e mentre stavano per toccarsi la ragazza estrasse rapida il coltello che teneva in tasca e con la mano destra lo spinse forte nel petto del suo amante. Lui riusci solo a pensare: non sono mai stato respinto con tanto ardore.

di DarioILe