[ « indietro ]     “Può prendere il suo posto” disse l’uomo additando il volto che si contorceva fra i bagliori aranciati “nessuno si accorgerà dell’avvenuta sostituzione, assumerà l’identità, la vita, ma non l’anima o i ricordi della vittima”.
“Vittima?”.
“Il dettaglio che non le ho ancora svelato è che dovrà uccidere lo sfortunato”.
“Ucciderlo?”.
“Esattamente, non ripeta tutto ciò che le dico, Sir, è imbarazzante; dicevo, dovrà eliminarlo, un piccolo pegno che chiedo a chi ha l’ardire di scegliere l’ultima ipotesi”.
“Dovrei uccidere Edward e prenderne il posto… Mi piace.
In fin dei conti se lo merita, non si ruba la vita altrui impunemente” sorrideva beato nel pronunciare queste parole.
Il signore del tempo perduto lo osservava con palese divertimento, sembrava assaporare le sue parole, pareva gioire della scelta che era appena stata fatta.
“Bene, abbiamo raggiunto un accordo” disse l’uomo ed una nuvola di fumo denso avvolse entrambi.
Quando la coltre scura si dissipò il professore si trovò nuovamente seduto sul treno fantasma, diretto verso l’abitazione della sua vittima.
Il viaggio di ritorno fu più breve e meno ammantato di mistero del precedente, gli scossoni delle rotaie si fecero più pesanti mano a mano che il vagone toccava terra, se ne accorse guardando fuori dal finestrino spalancato.

Il signore del tempo perduto non apparve ad intrattenerlo, lo lasciò solo con i suoi pensieri di morte e di vendetta, solo a progettare la sua rinascita: doveva essere cruenta, violenta, implacabile, ma anche artistica, creativa, nessuno ne sarebbe mai venuto a conoscenza, ma lui avrebbe serbato e custodito gelosamente il ricordo epico delle sue gesta.
Il treno si arrestò.

Scese in una grande piazza affollata di passanti, nei pressi di un mercato.
Si voltò a rimirare la locomotiva che si librava nell’aria attraversando i corpi che animavano la folla, senza che nessuno di loro avesse la benché minima idea di cosa stesse accadendo.
La sagoma nera dell’”Express” si stagliò alta contro il sole per poi svanire, evanescente come un miraggio nel deserto.
Si diresse verso Union Street, non rammentava il nome della città nella quale Beth, la sua adorata ex consorte, si fosse trasferita insieme al suo giovane arrampicatore sociale, in realtà, notò per la prima volta, di non rammentare neppure il suo nome, si ricordava di essere stato un professore, o qualcosa di simile, ma non riusciva proprio a visualizzare null’altro del suo passato, solo il volto del Signore del tempo perduto e la sua missione, erano ben chiari nella sua mente. Era come programmato verso un unico scopo: uccidere Edward.
Giunse nei pressi della villetta della fedifraga coppia in breve tempo, nessuno lo notò, nessuno lo fermò, nessuno poteva immaginare ciò che si stava apprestando a compiere.
Scavalcò il basso muro di recinzione con agilità, sgattaiolò nella cucina con estrema facilità, non aveva mai visto quella casa, eppure era come se l’avesse sempre conosciuta.
A quell’ora Beth doveva ancora essere immersa nel mondo dei sogni, era sempre stata una donna molto pigra,e non doveva di certo aver mutato le sue abitudini; salì al piano di sopra, Edward era in piedi sotto la doccia, la donna era, come previsto, arrotolata fra le coperte immersa nel mondo di Morfeo. Si avvicinò all’uomo discinto ed insaponato che canticchiava a bassa voce un motivetto pubblicitario con un sorriso ebete dipinto sul volto massiccio.
Quando gli fu di fronte lo chiamò.
“Edward…”.
Allora, solo allora, il giovane vide apparire dinnanzi ai suoi occhi un distinto signore di mezza età in abito chiaro e scarpe da tennis che lo osservava con un sorrisetto ironico.
Edward tentò di gridare, ma l’uomo lo afferrò per la gola, saldamente, affondando le dita nel suo osso ioide; gli occhi del giovane si rivoltarono all’insù, boccheggiava, tossiva, cercava di divincolarsi dalla presa, ma il corpo reso viscido dal sapone da bagno, scivolava sulle piastrelle della doccia. Edward svenne. “No, bello” gli sussurrò “non ora, non svenire, il meglio deve ancora arrivare”.
Lo trascinò per i piedi lungo le scale fin nella cucina, dalla quale era entrato poco prima, una scia di schiuma aveva imbrattato il parquet come la bava di una lumaca.
Lo depose sul tavolo, lo osservò, lo imbavagliò con uno straccio e lo percosse violentemente in volto fino a farlo rinvenire.
Edward lo fissava attonito, l’occhio sinistro pesto, lo zigomo sanguinante, un solco violaceo che gli contornava il collo come un collier scadente.
L’uomo di fronte a lui stava cercando qualcosa nel fondo di un cassetto, quando il broker vide di cosa si trattava provò ad urlare, ma tutto ciò che fu in grado di emettere fu uno squittio strozzato che si infranse contro il bavaglio, allora provò a sfilarsi lo straccio dalla bocca, ma il suo carnefice lo colpì con forza alla tempia con il manico di un coltello, facendogli nuovamente perdere i sensi.
Gli legò le mani dietro la schiena con un legaccio di fortuna ricavato da una corda per stendere il bucato, incredibile il numero di strumenti di tortura che si possono reperire in una semplice cucina, pensò.
Un intenso bruciore al volto lo ridestò, il folle che lo teneva prigioniero gli stava cospargendo le ferite con sale ed aceto, rideva e mugolava di gioia ad ogni grugnito di dolore emesso da Edward.

“Godi ora bastardo?” gli ripeteva con fare maniacale.
L’uomo in completo chiaro, ormai macchiato di sangue in più punti, impugnò un paio di forbici da cucito e con mano ferma gli recise entrambi i lobi delle orecchie, quindi gli inferse un profondo taglio nel labbro inferiore dividendoglielo a metà, continuò a tagliuzzargli la faccia, mentre il povero malcapitato non riusciva a far altro che uggiolare come un cane ferito, contorcendosi spasmodicamente sul tavolo operatorio di fortuna.
L’uomo indietreggiò per osservare bene la sua opera.
“Ci siamo, ora sei veramente ripugnante” gli disse ghignando “non credo che Beth ti troverebbe ancora tanto attraente se ti vedesse così, peccato che non potrà farlo”.
Pescò dal fondo del cassetto delle meraviglie una mannaia per sezionare il pollo, e con tutta la rabbia che aveva in corpo vibrò un fulmineo fendente che recise di netto la mano destra del caro vecchio Edward, che guardò l’arto rimbalzare sul pavimento e rotolare nell’angolo sotto l’asse da stiro, con sguardo più incredulo che sofferente.
Stessa sorte toccò all’altro braccio ed ad entrambi i suoi piedi.
Quando fu completamente in balia del più atroce e urente dolore che avesse mai provato nell’arco della sua giovane vita, il pazzo che lo aveva seviziato con tanta barbara foga, lo colpì al cuore con un ennesimo colpo di mannaia lasciandolo, finalmente, morire.
Il professore attese che la trasmigrazione avesse inizio, non riusciva ad immaginare come sarebbe stata, fissò per un’ultima volta il suo capolavoro e chiuse gli occhi nell’attesa della sua definitiva ricompensa.
Quando li aprì si ritrovò nella grande sala dove aveva stipulato il patto con il Signore del tempo perduto.
Era solo, indossava la lussuosa giacca da camera che aveva visto indosso al suo misterioso interlocutore, e stringeva nella mano la medesima pipa nera che l’uomo stava fumando quando lo aveva visto l’ultima volta.
La scaraventò al suolo.
“Ma che significa tutto questo?” chiese rivolto alla stanza vuota.
Il caminetto si accese spontaneamente, fra la luce tremula delle fiamme apparve il volto sorridente contornato dai lunghi capelli neri e ricci, con il sorriso tagliente e gli sfolgoranti occhi azzurri che avevano attratto la sua attenzione alla stazione.
“Avvicinati Stephen” .
Ecco qual era il suo nome: Stephen Jason Taylor.
Stephen si avvicinò, si sedette sulla grande poltrona di velluto blu ed ascoltò.
“Mi complimento per l’ottimo lavoro che hai svolto. Come potrai notare ho perso l’abitudine di chiamarti Sir” rise “e come avrai certamente intuito le cose non stanno andando esattamente come ti avevo detto. Ecco, vedi Steve, posso chiamarti così, vero?” rise ancora “tu mi hai liberato, io non sono il Signore del tempo perduto, sono solo un povero diavolo come te che molti anni fa è salito su quel medesimo treno, ed ha incontrato un bastardo che mi ha fatto le stesse proposte che io ho esposto a te. Non so cosa sia questo mondo, so solo che anch’io accettai di uccidere colui che odiavo per prenderne il posto e feci la stessa fine che ora tocca a te: restare sospeso nel nulla fino a quando non riuscirai a trovare un essere umano così pieno di astio e risentimento da far salire su quel maledetto treno, trasportare fin laggiù e fargli commettere un omicidio che ti permetterà di impossessarti della vita della vittima”.
Steve sorrise cinico al volto che gli parlava fra le fiamme:
“Toglimi solo una curiosità prima di tornare fra gli esseri umani, sposare mia moglie, e prenderti l’esistenza che ti ho regalato: è l’inferno questo?”.
“Non lo so, Steve bello, proprio non lo so. E non so neppure chi abbia iniziato questa sorta di maledizione e perché, so solo che sono felice di essere di nuovo libero, e che se potessi tornare indietro rivorrei la mia squallida esistenza che tanto denigravo prima di arrivare nel nulla dove ora ti lascio”.
“Un’ultima cosa: come faccio ad attirare qui qualcuno come me?”.
“Osserva le fiamme, ti mostreranno i pensieri più turpi degli uomini che popolano la terra, e per ingannare l’attesa leggi qualcuno dei libri che la direzione ti ha messo gentilmente a disposizione”.
Scomparve.
Stephen si alzò dalla poltrona, prese la pipa dal pavimento, la riaccese con pazienza, si avvicinò alla libreria e prese il primo volume su cui gli capitò lo sguardo: l’ “Inferno” di Dante Alighieri.
Si sdraiò sul divano, si voltò verso il camino e disse:
“Spegniti”.
Il fuoco cessò di ardere all’istante.
Accavallò le lunghe gambe ed iniziò la lettura dal primo canto.
Non aveva fretta.
La sua vendetta era stata quanto di più stimolante avesse mai provato.
Lo aveva appagato, riscattato.
Pur non volendolo quel mentitore che lo aveva incastrato nell’irrealtà di quel luogo, gli aveva reso un servigio encomiabile, gli aveva restituito la dignità, quella dignità che solo la vendetta per il male subito può donare.
Aveva ancora tante cose da apprendere dai fidati amici di carta, poteva aspettare a far ritorno a quel punto nero sperso nell’Universo che chiamano Terra.
Oh sì, poteva decisamente aspettare.
Anche tutta l’eternità.


di Vampire