[ « indietro ]     Arthur Mac Cormack gli domandò se avesse conosciuto il precedente proprietario di quell'abitazione. Cairnes si voltò verso di lui.
«Chi, Vincent Redmond?» disse, con una smorfia di disgusto sulle labbra. «Purtroppo l'ho conosciuto!» esclamò sospirando, facendo seguire la sua affermazione da un suono gutturale che esprimeva la propria ripugnanza. Proprio allora i cani, sul retro della casa, iniziarono ad abbaiare ed a ringhiare minacciosamente. «Li sentite?» chiese ad Edith e ad Arthur. «Sono i suoi cani rabbiosi!» Quelle bestie divennero ancora più inferocite, quasi avessero sentito ciò che John Cairnes aveva detto. «Fosse per me», affermò, «li catturerei e li brucerei vivi!»
Edith guardò per un attimo il viso di Arthur che si era fatto teso per l'insolenza di Cairnes.
«I giudizi che esprimete spero che si basino su valutazioni oggettive.» chiese Arthur Mac Cormack, infastidito dal tono e dal fare dell'ospite.
«Non ve la prendete a male, mio nuovo amico!», disse John Cairnes, accorgendosi della reazione dei due e forse riconoscendo di aver assunto uno sconveniente atteggiamento troppo confidenziale con quelle persone appena conosciute. «Perdonatemi per ciò che ho detto, ma non riesco a trattenermi quando penso a quella persona!»
«Ma cosa c'è di tanto rivoltante nel riportare alla memoria Vincent Redmond?», chiese Edith Mac Cormack, incuriosita per il ribrezzo che si intravedeva nei gesti e nella voce di Cairnes.
Questi si voltò verso di loro e restò un momento a guardarli, in silenzio.
«Io posso parlarvi di lui», disse improvvisamente, «ma non potrei esimermi dal manifestare con le mie espressioni ed il mio comportamento, con le parole e con tutto me stesso il mio odio viscerale ed assoluto per quell'essere.»
«Ma le Vostre saranno asserzioni obiettive?», chiese Arthur come per richiamare John Cairnes ad un minimo di oggettività nelle sue affermazioni.
«Vi renderete conto voi stessi della gravità degli avvenimenti e delle situazioni che legittimano i miei giudizi assoluti ed inconfutabili su quell'essere immondo.», disse John Cairnes. «Ve ne parlerò, però, domani sera: adesso devo ritornare a casa; ho una moglie ed un bambino che mi aspettano per la cena e sapevano che avrei tardato solo pochi minuti.» Diede la mano ad Arthur e baciò quella di Edith. «Ah, dimenticavo: non ho portato il fucile perché avrei potuto allarmarvi. Se voi permettete, domani sera vorrei portarlo con me in quanto temo la desolazione di queste strade. Se voi permetterete, però: s'intende!»
I Mac Cormack apprezzarono la gentile avvedutezza di Cairnes e gli dissero che avrebbe benissimo potuto portare con sé il suo fucile. Gli augurarono la buona notte ed egli ricambiò il saluto, poi uscì ma non prima che Mac Cormack avesse esploso il solito colpo per dissolvere l'inquietante presenza dei cani.
Quella sera Arthur ed Edith Mac Cormack dormirono nel grande salone d'ingresso. Accesero il fuoco nel caminetto e si sistemarono accanto ad esso su una grande coperta distesa sul pavimento. Arthur teneva accanto a sé il fucile e le cartucce, per ogni evenienza, e guardava fissamente il fuoco, stanco per la faticosa giornata ma felice di essere in quella casa; sperava di non aver bisogno di aiuto per poter finalmente rimetterla a nuovo. Avrebbe tentato di farcela da solo, con l'assistenza della sua amata Edith. Egli adesso la guardò mentre, distesa lateralmente sul cuscino di lana, leggeva con raccoglimento una pagina della bibbia. La fioca luce rossastra della fiamma tremolava debolmente e bastava appena per permetterle di distinguere le parole stampate sul Testo Sacro. Fuori, il vento soffiava in continuazione e trasportava lontano nella valle, lungo le anse dello Spey, gli ululati e l'abbaiare dei cani che adesso si erano fatti meno frequenti. Alle loro spalle le pareti della grande stanza erano rischiarate molto debolmente dai riverberi del timido fuoco. Edith si accorse che gli occhi e l'attenzione del consorte erano fissati su di lei, allora iniziò a leggere a voce alta, con difficoltà e con molta lentezza, dal Primo libro dei re:

«Quando i giorni di Davide stavano per finire, egli fece a suo figlio Salomone le seguenti raccomandazioni: "Io me ne sto andando là dove vanno tutti; ma tu sii coraggioso e comportati da uomo! Osserverai i precetti del Signore tuo Dio, camminando nelle sue vie e praticando i suoi statuti, i suoi comandamenti, i suoi decreti e le sue prescrizioni, in conformità, con quanto sta scritto nella legge di Mosè, affinché tu riesca in tutto quello che farai e dovunque ti volgerai. [...]"»

Sentirono un improvviso rumore alle loro spalle. Si voltarono ma nel salone non c'era nessuno. Arthur afferrò il fucile e si alzò. Accese un lume che avevano portato da Nairn e controllò ogni angolo della sala. Salì al piano superiore e procedendo con cautela, cercando di fare poco rumore e di non poggiare i piedi su assi marce, visitò ogni ambiente ma non trovò nulla di strano. Ridiscese nel salone e riprese il suo posto accanto alla consorte però questa volta si distese con le spalle al fuoco in modo da poter tenere sott'occhio tutta la grande stanza. Edith aveva ripreso a leggere mentalmente per permettere ad Arthur di poter ascoltare ogni minimo rumore. Poco dopo, però, ricominciò a pronunciare a voce alta le parole che leggeva sulla bibbia:

«Tu pure hai saputo quello che mi fece Gioab, figlio di Zeruià, quanto cioè fece ai due capi degli eserciti d'Israele, ad Abner, figlio di Ner e ad Amasà, figlio di Ieter: li ha massacrati, ha versato, durante la pace, il sangue di guerra ed ha macchiato di sangue innocente la cintura che avevo ai fianchi e i sandali che portavo ai piedi. Agirai saggiamente se non permetterai che la sua canizie discenda in pace nello sceol.»

Un forte scoppio nella brace inviò un minuto frammento di materia incandescente sulla pagina che Edith stava leggendo e la donna dovette affrettarsi per spegnere la favilla ed evitare, così, che perforasse più fogli, bruciandoli. Contemporaneamente si udì un improvviso risveglio di tutti i cani che stavano intorno alla casa ed essi iniziarono ad abbaiare e ad ululare con rinnovato vigore. Adesso sembrava che pure il vento soffiasse più impetuosamente e che gli elementi del cielo e della terra si fossero destati all'unìsono per cantare un'oscuro inno ad una oscura divinità. Il vento portò la pioggia e le sue grosse gocce incominciarono a battere veementemente sul tetto e contro le pareti dell'abitazione mentre lampi e fulmini rischiaravano il cielo e i tuoni facevano tremare la terra. Edith, spaventata, si accostò ad Arthur e lo abbracciò, tentando di accovacciarsi sul suo petto per non sentire l'orrendo ed ossessivo abbaiare dei cani frammisto al verso terrorizzante di quella natura irritata. L'uomo iniziò anch'egli ad avvertire una certa inquietudine ma riuscì a non darlo a vedere. La pioggia si placò e divenne un sussurrìo sommesso ed i cani sembrarono rasserenarsi e rimettersi a dormire.
«Su, su, Edith: il vento è calato! La sua intensità ha spaventato i cani qui intorno...!», disse alla consorte, carezzandole i capelli e cercando di mascherare il proprio tono di voce per infondere serenità nel suo animo.
Edith sollevò il capo e restò per un attimo ad ascoltare: la pioggia cadeva placida e si sentiva abbaiare solo qualche cane lontano al quale, di tanto in tanto, rispondeva una bestia di quelle che stavano sul retro della loro abitazione. Adesso, però, si era iniziato a sentire un lieve cigolìo che pareva provenire dal piano superiore. Era un suono continuo, regolare, come quello prodotto dall'oscillare di un pendolo. Quel rumore li rese dapprima irrequieti ma poi, notando che non si interrompeva, li tranquillizzò, convincendoli che forse fosse causato dal vento.
I Mac Cormack si distesero abbracciati e si addormentarono, rassicurati a sinistra dalla presenza calda e luminosa del fuoco ed a destra dal fucile carico che Arthur teneva stretto in mano, col dito sul grilletto, pronto a far fuoco in caso di necessità.     [ avanti » ]



di Plaisir