Gli occhi sull'orologio. Per l'ennesima volta. Non sarebbe venuto, ormai era chiaro, meglio rassegnarsi.
Le acque torbide della palude si sarebbero richiuse sopra la mia testa, sarei di nuovo affondata nella melma, senza via di scampo…ero stata sciocca a sperare che lui potesse cambiare le cose… Chiusi gli occhi e tirai un sospiro.
Il locale era vuoto, le luci soffuse sopra i tavoli non nascondevano misteri, solo panche vuote e portacenere puliti.
Il cameriere tornò a vedere se volevo qualcosa.
Ordinai ancora acqua, buttando giù d'un fiato quella che m'era rimasta nel bicchiere.
Mi guardai un attimo le mani, le unghie ben curate dipinte d'argento, i due anelli sottili ed eleganti, uno al pollice della mano sinistra, l'altro all'anulare della destra.
Mi morsi appena un labbro cercando di sciogliere il nodo che sentivo stringermi il petto.
Fossi almeno riuscita ad arrabbiarmi! Tornò il cameriere, posò l'acqua sul tavolo, feci per prendere il portafoglio dalla borsa ma mi fermò con un cenno della mano, e scivolò via silenzioso.
Le bollicine s'attaccavano alla superficie liscia e trasparente strisciando sinuose. Scoppiettii appena percettibili a fior di pelle, privi di peso, nello scorrere del mio inutile tempo.
Alzai una mano e mi gettai indietro l'onda liscia di capelli accuratamente stirati, che m'era appena scivolata sul viso, rimanendo un attimo con le dita tra i capelli freschi e lisci, presa dall'impulso di tirarmeli con forza, e sentir le lacrime spuntarmi sotto le ciglia.
Tanto per sentire qualcosa. Qualsiasi cosa.
Perché la melma non venisse a trascinarmi di nuovo sul fondo così presto, accecandomi ed impedendomi di respirare, invischiandomi nuovamente per chissà quant'altro tempo prima che qualcosa venisse a chiamarmene fuori.
Non riuscivo ad arrabbiarmi, avrei voluto farlo. Mi aveva dato buca! Dopo tutto quello che avevo fatto per questo appuntamento, lui aveva fatto finta di niente.
Non contavo nulla dunque? Nemmeno i quattro spiccioli di una telefonata?
Ero pertanto destinata a sprofondare una volta ancora nell'immobilità della mia vita, senza che mi fosse concesso di assaporare nemmeno un attimo di leggerezza?
Guardai ancora l'orologio. Erano passati appena dieci minuti… Mi sentivo depressa e amareggiata. Avevo messo quest'abito, acconciato i miei capelli, solo perché mi vedesse.
Adesso avrei dovuto tornarmene a casa da sola, a piedi, sui miei tacchi eleganti, coperta appena dal mio cappotto leggero.
Fossi almeno riuscita ad arrabbiarmi! Ma sembrava che più niente fosse in grado di scuotermi.
Era un dato di fatto che avevo finito per accettare: non c'era più niente in grado di far fremere il mio essere. Mi trascinavo attraverso i giorni senza uno scopo, senza un'aspettativa, lasciandomi marcire nella mia palude dalle acque immote e limacciose.
Non vivevo. Vegetavo…marcivo… Presi il bicchiere e buttai giù un altro sorso d'acqua gelata.
Il rumore della porta, voci appena sussurrate.
Alzai gli occhi solo per vedermi passare davanti una coppia abbracciata…le mani grandi di lui nelle tasche dei jeans di lei…
Strinsi di nuovo gli occhi e respirai a fondo, piano. Era questo che mi ero aspettata anch'io? Sinceramente, era questo che avevo creduto di ottenere?
E cos'era? Un padrone, qualcuno da seguire docilmente come un cagnolino ben ammaestrato…ma era anche sentisi amati, protetti, vedere finalmente tornare limpide quelle acque stagnanti e oscure…
Ero quasi accasciata sulla panca, liquefatta sul tavolo, a guardare da vicino le bolle piccole e grandi che risalivano alla superficie rincorrendosi, sfidandosi, come fosse questione di vita o di morte.
Il locale era vuoto, non c'era nessuno a guardarmi, non m'importava…
Il cameriere ripassò davanti al mio tavolo per andare dai ragazzi appena entrati a prendere l'ordinazione, lo seguii con lo sguardo, e quando ripuntai gli occhi al tavolo di fronte al mio, un sorriso dolce mi accolse.
Avvertii lo sguardo su di me, e scuotendo appena i capelli mi misi a sedere eretta, acquistando di nuovo la mia innata, composta, smagliante disinvoltura. C'era qualcuno che mi stava guardando, e questo bastò a dare un senso al mio abito, ai miei capelli, ai tacchi sotto il tavolo.
Gettai un'occhiata distratta all'orologio. Presi il bicchiere, e nel portarlo alle labbra alzai gli occhi al volto nascosto nella penombra davanti a me.
Una ragazza mi sorrideva, ancora quel sorriso dolce e indulgente, come quello che io avrei rivolto ad un bambino ignaro. Distolsi lo sguardo. Improvvisamente imbarazzata.
Improvvisamente colta da un tremito d'eccitazione inspiegabile, che per poco non mi fece addirittura avvampare, mentre un'onda lieve s'alzava appena dalle rive muschiose della palude del mio essere…
Mi voltai e chinatami un poco sulla panca frugai nella borsa alla ricerca dell'agendina e dei pochi spiccioli per telefonare.
Non ne avevo avuto intenzione, eppure mi alzai e andai al telefono, nell'angolo più lontano del locale.
Passai davanti al tavolo della ragazza, camminando piano e con passo sicuro sui miei tacchi alla moda.
Non mi voltai, non le gettai un'occhiata discreta con la coda dell'occhio, ma sentii i suoi occhi come un tocco, leggero e incoraggiante…e di nuovo fu come se un'onda avesse preso il largo su quelle morte acque tiepide…
Feci il numero e stetti lì in piedi, appoggiandomi al telefono, di nuovo passai una mano tra i capelli a gettare indietro l'onda chiara che tentava a scivolarmi sulla guancia.
All'altro capo il telefono squillava libero e petulante, all'appartamento vuoto… Misi giù la cornetta cercando di cacciare di nuovo indietro quel senso orribile di amarezza e abbandono.
E camminando ancora con la mia placida sicurezza tornai a sedermi al mio tavolo.
Rimisi l'agendina e i soldi nella borsetta e quando alzai gli occhi scorsi ancora il sorriso di lei. Le guance pallide s'incurvavano dolcemente, e gli occhi, di uno strabiliante color verde, si stringevano appena focalizzandosi su di me, mentre le sopracciglia scure le disegnavano un'elegante volo di corvi sulla fronte liscia.
I capelli erano cortissimi, solo un alone color mogano attorno al capo.
Guardai ancora l'orologio.
Mezz'ora…chissà dov'era lui, e con chi…
Lei intanto aveva preso una sigaretta, e la stava accendendo.
Fui catturata dalla fiamma, e dal bagliore che risvegliò in quegl'occhi incredibilmente verdi, dai gesti fluidi delle mani che sbucavano appena dalle maniche di un pesante maglione di lana blu a coste, sformato e strano.
Non capivo perché mi colpisse tanto.
Il suo abbigliamento comune e dimesso quasi, i gesti discreti, non mi avrebbero certo interessata in qualcun altro…ma c'erano quegli occhi, quello sguardo che sembrava una carezza, e il sorriso famigliare e intimo, come se sapesse precisamente a chi lo stava rivolgendo.
Rimasi incanta a guardarla mio malgrado. Non l'avevo mai fatto, e non mi piaceva, stare lì come una scema, a guardare questa ragazza sconosciuta.
Ma lei era bella, non potevo negarlo, e c'era il modo amichevole in cui mi stava guardando, e poi lui, che non era venuto al nostro appuntamento, ed io, che volevo uccidere dentro di me il senso di abbandono che stava dilagando trascinandomi inevitabilmente a fondo.
E volevo capire il perché di questa eccitazione sottile e quasi impalpabile che stava catturando i miei sensi, e stava risvegliando la mia mente a nuovi pensieri, a nuove visioni, che creava nuovi disegni sulle acque morte della palude dov'ero rimasta per troppo tempo… Mi alzai. Mi ritrovai in piedi quasi senza rendermene conto.
E un attimo dopo camminavo dritta verso di lei, lo sguardo affondato nei suoi occhi.
- Chi sei…?- le chiesi senza pensare, fermandomi davanti al suo tavolo, la voce tremante e lieve nella mia gola contratta.
- Perché non ti siedi?- m'invitò muovendo di nuovo la mano in uno di quei gesti fluidi e misurati.
E sedetti, impacciata, all'improvviso, sotto quello sguardo, e arrossii mentre lei mi sorrideva di nuovo, stendendo appena le labbra, stringendo un poco quei suoi occhi magnifici, ed io sentii un brivido.
Sottile e sinuoso. L'eccitazione lieve del primo incontro.
- Io chi sono!?!…Tu sai davvero chi sei?
- Il mio nome…
Lei rise, si portò una mano alla bocca e rise divertita.
- Un nome?
- domandò inarcando un sopracciglio. - Credi che un nome basti a connotarti? TU sei un nome?
Interdetta la fissai. Sorrideva ancora, ma qualcosa nella sua espressione era mutata, la profondità di quegli occhi incredibilmente verdi aveva assunto nuovi risvolti, e io ci stavo precipitando in caduta libera, anelando alla fresca limpidezza di quel verde, così diverso dalle acque opache che conoscevo…
Sapevo chi ero, ovvio che lo sapessi…tutti sappiamo chi siamo, no?
- Sei sicura, vero…Puoi darmi una risposta ed affermare che è quella giusta…? Avanti…chi sei?
Possibile che mi avesse messo in crisi con una domanda così ridicola?
Ebbi l'impulso di alzarmi in piedi e lasciare il locale.
La sua presenza tutto ad un tratto parve opprimermi, vedevo solo il verde dei suoi occhi, immensi magnetici infiniti profondi…
Come un misterioso e perduto cenote maya.
- Sono…- provai.
- Un penny per i tuoi pensieri…scommetti che non conosci nemmeno i tuoi desideri, non sai nemmeno COSA desiderare…? Come credi di poter sapere chi sei, se non sai quello che vuoi…- la voce era bassa e musicale, calda come un invito.
E mentre la guardavo mi parve di saperlo. Di sapere perfettamente quello che volevo, e avvampai…Lei, volevo lei…Era un desiderio nemmeno lontanamente simile al desiderio sessuale, eppure un altro brivido mi corse sulla pelle, e nonostante tutto arrossi ancora, stornando gli occhi. Non sapevo che nome dargli, sapevo solo che il centro di tutto era lei, era il verde limpido e accesso di quello sguardo…
Volevo lei, toccare la sua pelle chiara, così liscia a perfetta che ne immaginavo la consistenza sotto le dita, e le sue labbra, così belle e nitide da apparire come disegnate…
Non c'era un filo di trucco sul suo volto, eppure era così perfetta, così bella…
Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso.
E poi volevo che desse una risposta agli interrogativi che lei stessa aveva sollevato, e che la sua voce continuasse a parlarmi come musica, mentre io precipitavo nei suoi occhi respirando a pieni polmoni aria finalmente fresca…
- Bevi qualcosa?- mi domandò allora, come a svegliarmi dalla mia trance.
Scossi il capo, abbassai lo sguardo sulle mani che avevo strette alle braccia, senza accorgermene, come per difendermi…o forse per allontanare la tentazione di allungarle verso il viso di lei…
- No, grazie…preferisco…voglio essere lucida. Voglio sapere quello che accade attorno a me…Una simile distrazione mi è già costata abbastanza cara.- distolsi di nuovo lo sguardo e lo lasciai vagare inquieto attraverso il locale, scacciando l'immagine fuggevole di me e di lui…insieme… Poi gettai ancora un'occhiata all'orologio.
- Sei ossessionata dallo scorrere del tempo, vero?
- Perché, il tempo passa davvero secondo te? A me invece sembra del tutto immobile. Per quanto facciamo, non cambia nulla…siamo come già morti, e solo non ce ne accorgiamo…
- Morti…? E cos'è che vorresti invece cambiasse?- mi chiese lei, e notai il nuovo mutamento, nei suoi occhi e in quelli soltanto, perché il resto del suo volto sembrò non muoversi affatto, e la sua voce parve abbassarsi ancora, appena un sussurro, e dovetti muovermi verso di lei per udirla.
- Non lo so!…Non so nemmeno chi sono, ricordi? Come potrei sapere cosa non va? Probabilmente sono io quella sbagliata, ma quando l'imparerò sarà troppo tardi, e la mia vita sarà stata sprecata. Mi ci sto rassegnando, nemmeno m'importa più, in fondo quella palude è un luogo famigliare ed accogliente.
Distolsi ancora lo sguardo da lei e mi morsi un labbro.
Perché le stavo dicendo questo? Era quello che pensavo?
La mia vita era sempre stata immobile e priva di scosse, la mia placida palude, ma non ne avevo mai parlato a nessuno, non mi ero mai creata tutti questi problemi, tanto, se l'avessi fatto, chi mai avrebbe avuto le risposte? E chi diceva poi che avrei voluto ascoltarle?
- Non puoi continuare a pensare a quello che gli altri vogliono da te, a quello che devi fare perché ti accettino. Tu sei importante per te stessa, esisti anche senza di loro. Guardati attorno. Questo locale è vuoto, ma tu ci sei, esisti…E la tua palude non è il solo luogo in cui tu possa stare…
Alzai gli occhi su di lei, pronta a chiedere come facesse, come potesse sapere, ma lei semplicemente sorrideva e quello che aveva detto io potevo anche averlo soltanto sognato.
- Chi sei?- le chiesi di nuovo.
- Tu, chi sei?- ribatté lei quasi con allegria, ancora quell'ammaliante sorriso sulle labbra.
Come poteva essere così impossibilmente bella? Il mento sulle mani intrecciate che ammiccavano fuori delle maniche, le palpebre abbassate che non nascondevano affatto la luminescente vividezza di quegli occhi stellati.
Una ragazza di vent'anni o poco più…
- Dimmelo tu, chi sono…- dissi allora, incongruamente.
- Perché non provi a capire prima ciò che veramente desideri?
Stavo per dire qualcosa del tutto assurda e senza senso. Mi morsi la lingua e ricacciai in gola le parole che rischiavano di soffocarmi, le cacciai indietro perché non uscissero e provai a seppellirle da qualche parte dentro di me, molto in fondo, nella melma della palude dove sarei tornata non appena lei fosse uscita dal mio orizzonte…
Provai…perché fu solo un tentativo.
Dall'alto uno spiraglio di luce s'insinuava attraverso le alghe, i detriti e i cadaveri di tutti i sogni, i desideri e le speranze che avevo lasciato morire, marcire…e andava a colpire quelle parole assurde che avevo cercato di nascondere accuratamente solo un attimo prima…
Chiusi gli occhi per un momento, mentre sentivo di nuovo il sangue affluirmi alle guance, e il cuore prendere un battito irregolare…
Sapevo quello che stavo facendo?
Non mi era mai successo prima…Eppure lei era…era semplicemente…Non sapevo cos'era, non m'importava cos'era ma volevo sentire la consistenza della sua pelle sotto le dita, volevo sentire la sua voce carezzarmi come brezza, e volevo di nuovo guardare in quegli occhi e dimenticarmi di non sapere chi ero. Volevo affondare nelle acque cupe e fresche dei suoi occhi, così diverse dal tepore marcescente della mia palude.
- La cosa sbagliata, credo…- sussurrai.
- Dove sta scritto cosa è giusto e cosa è sbagliato, se non dentro di noi?
Lei sorrise di nuovo, e allungò appena una mano sopra il tavolo a sfiorare le mie dita che stavano straziando la stoffa scura del mio vestito, e nel notare il barbaglio dietro le ciglia abbassate per un attimo impercettibile mi domandai cosa stessi per fare, mentre le acque opache s'increspavano, si torcevano e lasciavano passare riluttanti quello spiraglio prepotente…
E dunque eccomi qui. Nella penombra calda e famigliare del mio appartamento.
Mi sono appena svegliata.
Devo essermi addormentata sul divano, lì per terra c'è il vestito, e là sulla poltrona il capotto. Mi stropiccio gli occhi e lo sguardo ritrova in fine i contorni delle mie cose, i quadri alle pareti, i libri sulle mensole, e poi mi volto, allungando il braccio sui cuscini morbidi, inarcando la schiena e sentendo scricchiolare piano le ossa.
E lei è proprio lì, ferma davanti alla finestra. Sorrido, ma dentro di me tiro un sospiro di sollievo. Per un momento, ho creduto di averla solo sognata.
Appoggio il mento alla pelle tiepida del braccio e resto a guardarla, la nuca scoperta dai capelli cortissimi, le spalle dritte sotto il maglione informe, troppo grande per lei.
Mi sembra di sentire ancora la sua pelle liscia e fredda sotto le dita.
Quel profumo lievissimo ed indefinito che sembra venire dalla sua stessa carne.
- Sei sveglia?
La sua voce è di nuovo come una musica che m'inebria, e allora chiudo gli occhi, e smetto di pensare, limitandomi ad esistere. Le acque della palude s'increspano, come hanno fatto la sera scorsa, e quella lama di luce sottile agita la melma del fondo, sembra bruciarla al solo contatto, rivelando le cose perdute e sepolte.
- Se questo non è un sogno…sì…
Finalmente si volta, e posso di nuovo bere la luce dai suoi occhi, respirare l'aria dal suo sorriso. Stende appena le labbra, non posso vedere i suoi piccoli canini aguzzi, ma mi porto una mano al petto, dove le labbra tiepide di lei hanno sfiorato la pelle, e i denti affilati sono penetrati nella carne, lì, sul cuore.
Mi alzo dal divano e le vado vicino.
La guardo, e questo mi basta. Di nuovo quelle increspature sulle acque ancora torbide della mia esistenza…può essere che stiano schiarendosi, e che prima o poi sia possibile vedere chiaramente il fondo, che sia possibile recuperare sogni e speranze, smarriti nel tempo trascorso inconscio e inutile…
- Devo andare, lo sai…
Annuisco appena, e un sospiro mi sfugge dal petto.
- Saprò sempre dove sei, ricordalo. Non dovrai che chiamarmi.
Allungo lo sguardo fuori della finestra prima di spostarlo di nuovo su di lei, sorridendo appena con malizia.
- Se decidessi di non farlo?
Lei allora sorride, di nuovo quel sorriso contenuto e indulgente, come per un bambino che parli a sproposito.
- Oh, lo farai…
- Ma se non lo facessi…- insisto.
Mi guarda, gli occhi si stringono appena e si fanno cupi per un attimo, il sorriso si schiude ancora, solo per me, e questa volta i suoi piccoli canini ammiccano tra le labbra chiare.
- Verrò lo stesso…e allora vorrai essere stata tu stessa a chiamarmi…
Di nuovo quel brivido, distolgo lo sguardo e faccio un passo indietro portandomi le mani al petto, dove il segno dei denti si vede appena, proprio lì, sopra la scollatura della mia canottierina.
- E' tardi…- dice allora lei facendo un passo verso di me.
Allunga una mano e mi sfiora le labbra con la punta fredda delle dita.
- Devi solo volerlo…devi solo chiamarmi…saprò sempre dove sei…
Il respiro mi esce tremulo dal petto mentre annuisco allungando a mia volta una mano a sfiorare la sua che si ritrae.
Mi passa accanto e va decisa verso la porta, senza un rumore, senza un fruscio, ma posso quasi vederla afferrare la maniglia, sento lo scatto, e mi chiedo se la vedrò davvero di nuovo…
Torna indietro e mi volto a guardarla, come se stessi per dire qualcosa, ma lei mi si ferma davanti, si tende verso di me e piegando appena il capo si avvicina a sfiorare le mie labbra con le sue.
Chiudo gli occhi per la sorpresa…ed è solo un tocco leggerissimo, quasi impalpabile, faccio appena in tempo ad avvertire sulle labbra il sapore del sangue…
Il suo sangue…
Spalanco gli occhi e la guardo, lei è già fuori della porta, ma è come se sentissi la sua presenza, come un battito caldo e regolare che fa da eco al mio cuore…
- Doushka…Adesso anche tu, saprai sempre dove sono...



di Nadja