Engeldor scende i tre scalini passo dopo passo. Lentamente si leva il cappello e si sfila i guanti neri, aderenti alle belle mani lunghe e magre. Si sbottona languidamente la redingote, che si lascia cadere sulle braccia, per essere faticosamente afferrata e finalmente riposta.
     Gli occhi si stringono nell'oscurità. Fa pochi passi avanti per girare a destra e volgersi con sicurezza diritta di fronte a sé. Avanza senza fretta, sale due scalini e si gira: il vuoto buio è una folla in agguato, carico di attese, minacce, insidie, inaspettata estasi.
     Engeldor scende due scalini e gira a sinistra. Gli occhi si stringono di nuovo.
     La luce del neon le colora la pelle di blu. Lo specchio riflette la sua immagine, quella vera.
     Con un gesto, gli occhi diventano più grandi, più scuri, più lucidi. Le labbra nere si serrano dietro un ghigno serio e sicuro. La pelle bianca risalta e splende.
     Engeldor fa un passo indietro e si guarda. Si riconosce interamente, nella mente e nel corpo.
     Esce, gira a sinistra, sale due scalini e si volta. Qualcuno è entrato, ma nessuno è salito. Qualcuno la guarda, ma l'oscurità ancora acceca la vista. La trasformazione è ancora in atto, per tutti.
     Engeldor china la testa verso la mano, che stringe l'accendino. Con un gesto logoro s'illumina il viso e avvicina la sigaretta stropicciata, lentamente quanto basta perché da lontano si scorga un fuoco lieve dai contorni di donna. La luce svanisce, ed il fumo l'avvolge. Una strana agitazione l'afferra. E' qui.
     Accadrà stasera1.
     Engeldor non conosce destinazione e modalità. Di tanto in tanto la pelle le si increspa. Si avvolge nell'ampio scialle di seta dalle lunghe frange nere e si appoggia alla colonna guardando nel buio.
     Ancora un fremito. Le spalle nude si stringono, si curvano. Ma una sferzata di corrente le raddrizza la schiena.
     Accadrà stasera. E' qui.
     Engeldor si lascia cadere lo scialle sugli avambracci, sospesa nell'oscurità immobile attende.

     - Ciao...
     - Ciao, pensavo che non saresti venuta...
     - Perché?
     - Non mi hai più chiamata...
     - Sono venuta un po' di corsa, e l'ho dimenticato, mi dispiace; ce l'hai un passaggio per tornare?
     - Bè, credo di sì, ma se per te non è un problema preferirei tornare con te.
     - D'accordo...


     Distante nel corpo e nello spirito, presta sembianze e parole a chi le si rivolge. I pensieri si offuscano in una nebbia invasiva, che l'allontana, che la estranea. Engeldor si perde, sospesa in un incombente presente.
     Accadrà stasera. Ormai ne è certa.

     - Mi accompagni in bagno?

     Engeldor le segue. Si ferma ancora una volta davanti alla sua immagine blu. Allunga il collo. Si morde le labbra spalancando gli occhi.

     - Sei strana stasera... non riesco a capire cos'hai di diverso, ma sei bellissima.

     Engeldor abbassa le palpebre, chinando leggermente la testa. Accadrà stasera.
     Esce, gira a sinistra, sale due gradini. Ancora qualche passo. Ma le ginocchia si fanno insicure, cedono: tremando si ferma.
     E' qui, ne è certa.
     Affluiscono sconosciute, affluiscono sconosciuti: le sono intorno, dietro, davanti. Qualcuno la saluta, qualcuno la guarda, qualcuno la ignora.
     Diritta tra i suoi amici si erge altera, mentre le prime note risuonano e le prime ombre si agitano.
     Diritta tra i suoi amici, si erge altera. I suoi occhi s'ingrandiscono ancora di più, sfigurandole il bianco volto in una smorfia di angoscia e dolorosa attesa. Accadrà stasera.

     - Andiamo a ballare?

     Engeldor le segue. La musica è sorda, lei si muove appena.
     Si ferma. Si gira.
     E' qui, ora.
     Sale due scalini e si volta. La musica irrompe dentro e fuori di lei. Il suo corpo si libra sinuoso nell'etere.
     Accadrà stasera.
     Da lontano le convulse luci accecanti illuminano ora punte di mani affusolate, di quelle mani, ora un profilo, quel profilo, ora uno squarcio del ritmo che risuona in un corpo, in quel corpo.
     Si ferma sulla porta. Immobile fissa la profondità spaziale davanti ai suoi occhi, che cela e svela in un'alternanza dolorosa e inarrestabile. E' qui.
     Con passi lunghi e silenziosi copre rapidamente quella distanza. Sale lateralmente due scalini.
     Il vento di una fugace presenza scopre le spalle di Engeldor.
     Si ferma.
     E' qui.
     Lo scialle le cade, posandosi sull'avambraccio sinistro, l'altro lembo le sfugge avvolgendole i fianchi, mentre le lunghe frange nere le si adagiano sui piedi.
     Engeldor si sporge elegantemente alla sua destra, per raccogliere con antica spontaneità il suo velo regale. Avverte occhi che la scrutano, non i soliti occhi.
     Accadrà stasera.
     Si ferma. Lascia cadere lo scialle sugli avambracci, quasi fino a farlo cadere del tutto. Afferratolo distrattamente, lo adagia con noncuranza sul divano, tendendo la mano all'estremo della sua lunghezza.
     Si volta e celata l'intimità del suo specchio2, la guarda. Accadrà stasera. E' lei. Ma non ora, non ancora. Si ferma e appoggia le sue forme eteree e spigolose al muro umido, ammuffito.
     Sono qui. Accadrà stasera.
     Engeldor torna alla musica, che si fa più assordante e che irresistibilmente la richiama. Si muove senza guidare la sua ombra, tirata dai fili di un burattinaio nascosto.

     - Hai fatto un corso stasera?
     - Ehhh? Io...


     Improvvisamente Engeldor si guarda intorno impressionata e smarrita. Compie due, tre passi indietro per sottrarsi alle occhiate di famelici predatori. Si appoggia alla colonna alla sua destra, celandosi in un'ombra cieca, cercando con gli occhi lo scialle.
     Sono qui. Guardami.
     Gli occhi che scrutano l'oscurità si volgono altrove.
     Engeldor alza lo sguardo di fronte a sé. La musica è sorda. La luce è cieca. Il tempo è svanito con lo spazio. Occhi grandi vedono altri grandi occhi.
     E' qui. Accadrà stasera. Ora.
     Engeldor tende le mani sul muro freddo, che dispiega la sua figura diritta. Accenna inutilmente un passo.
     Verrò io.
     Ritrae timorosa la gamba.
     Accadrà stasera. Ora.
     Incede maestoso ed invisibile tra le ombre che si agitano, brancolando nel buio.
     Si ferma.
     Engeldor emerge dalla colonna come una statua vivificata.
     Sono uno di fronte all'altra. Lungo e penetrante sguardo di riconoscimento: da occhi grandi e lucidi si rivela l'identità ed il desiderio.
     Il profumo della candida pelle sa di vita e purezza. China il viso sul quel giovane collo e vi sfiora le labbra purpuree e calde.
     Ora.
     Engeldor chiude lentamente gli occhi e li riapre, allontanatosi quel corpo dal suo.
     Sono io. Sei tu.
     Ora. Vieni.
     Soavemente lascia che la conduca per mano attraverso i corpi sudati. La adagia con attenzione, come una fragile e rara farfalla, lì dove il buio è più cupo ed il tempo più lontano. La profondità si allunga: tutto è distante e inavvicinabile. La dimensione dell'umana fisicità è svanita.
     Si lascia cadere accanto a lei, proteso in una posa manieristica.
     Accadrà stasera. Ora.

     - Perché sono qui?
     - Ti ho vista, ascoltata e sentita3 per molto tempo.
     - Hai scelto?
     - Ho desiderato. La mia solitudine ha consumato i secoli. La schiavitù non è compagna. Non voglio più scegliere da solo, né mi basta desiderare.
     - Mi è dunque concesso di scegliere?
     - E' così.


     Silenzio, occhi grandi che si sfidano.

     - Ho bisogno di sapere, per acconsentire o dissentire.
     - E' giusto. Essere con me è essere condannati alla non vita, alla solitudine, all'unicità di specie. Non c'è reciprocità tra i nostri simili e nel tempo si perde ogni sentire.
     - Allora perché ritieni che potrei desiderare di perdere tutto questo?
     - Per l'eternità della tua anima e per la sete di conoscenza.
     - Desidero ciò che non dovrei, è vero.


     Silenzio, occhi grandi che s'interrogano.

     - La morte sconfigge sempre la vita?
     - Sempre.
     - E se la vita superasse la morte?
     - La tua è solo speranza, truccata di superbia. Non v'è uscita. Devi scegliere.
     - La morte non la temo. Temo la solitudine.
     - Sarò con te, sarai con me?
     - Sarò con te, sarai con me?


     Una lunga falange frena parole e pensieri. Ancora un intenso ed intimo sguardo precede le azioni: occhi grandi che acconsentono.
     La mano fredda avvolge il collo di Demian: la cerimonia sta per avere inizio, la fusione si sta per compiere.
     Dalla vita alla non vita, dalla morte all'eternità, dalla singolarità all'unione.
     La candida pelle sussulta, ampie ali l'avvolgono. Un oscuro mantello sovrasta la fanciulla. Il principe affonda le zanne ed il non corpo dentro di lei, che ha gli occhi serrati, tremante e inquieta. L'acuto dolore la investe: la candida pelle si lacera e si tinge del suo rosso sangue.
     La debolezza si diffonde tra le membra di Engeldor, che lentamente abbandona il fievole abbraccio. Rinvigorito da nuova vita, il vampiro l'afferra con maggiore ed inutile forza: lei non vuole e non potrebbe resistergli. Con rinnovato vigore, sprofonda i canini nella fragile gola. Con rinnovata intensità, si spinge dentro di lei.
     Il sangue le scivola sul petto in un rigolo sinuoso.
     Con indicibile fatica, Engeldor stringe le sue braccia, attirandolo a sé.
     Appagata la sua sete, ritrae i canini, e mentre la pervade, preme a lungo le calde labbra rosse su quelle oramai esangui di lei.
     Lui si discosta, avvolgendola con il suo mantello, per proteggerla dalla vita, quella che non le appartiene più. In pochi istanti, da solo ricopre la lunga distanza con il mondo della luce oscurata. Si ferma, colpito da mille suoni, da mille colori e vibrazioni: il suo corpo sta tornando a sentire dopo secoli di torpore e non vita.
     Scorge tra le dita macchie di sangue, di quel sangue.
     In pochi istanti ricopre la lunga distanza, che lo separa da lei. Il mantello è in terra, Engeldor siede diritta nell'angolo buio, pallida e stanca. Lo scorge e sorride.

     - Sono con te?

     Gli chiede, porgendogli la sua mano ossuta.

     - Sono con te.

     Le risponde impercettibilmente.

     - Vieni.

     Engeldor afferra il suo braccio con insospettabile forza e si erge maestosa a suo fianco. La sua pelle è intatta.

     - La vita supera la morte...
     - La vita... morirò, allora...
     - Un giorno, come tutti. Forse anche domani, o tra un'ora.


     Silenzio.

     - E' vita cosciente e pulsante. Essere tra il non essere dei corpi vivi che ti circondano. Guardare ciò che gli altri vedono, ascoltare ciò che gli altri sentono. Specie antica, sopravvissuta all'uniformità.
     - Come si è compiuta la metamorfosi?
     - Hai voluto che io morissi, ho voluto che tu vivessi. Hai voluto morire con me, ed io con te ho voluto vivere.
     - C'è dolore nell'essere, lo avverto.
     - C'è soprattutto dolore nell'essere. Il nulla non ci appartiene. L'estasi di rado c'investe. Ma di quell'estasi ci si può nutrire in eterno.
     - Sarai con me?
     - Sarò con te.


     Demian si volta verso il luogo della rinascita: è qui, al suo fianco. Lo spazio è tornato ed il tempo scorre nuovamente inesorabile.
     Engeldor lo ha superato e lo guida nel corridoio stretto e buio, dove ode voci, risa, rumore. Qualcun altro lo supera, separandolo da lei. I sensi non lo guidano più, la sua mente non legge nell'altrui cuore come in passato. E' cieco e sordo, in un mondo di suoni e colori. Atterrito, si lascia trasportare dalla corrente umana, non sa dove, non sa con chi.
     D'improvviso tutti svaniscono, si trova solo vicino al bancone. Si volta disorientato. Alla sua vista, nessun volto, nessuno sguardo, nessun battito.
     Sulla spalla, leggera si posa una carezza.
     Si volta ancora. I suoi occhi si posano sugli occhi grandi di un volto pallido. Engeldor gli sorride avvolta nello scialle di seta, con la testa reclinata su una spalla in aria di attesa.

     - Dov'eri?
     - Dietro di te.
     - Ti preferisco accanto.
     - Anch'io.


     Occhi, occhi grandi e scuri.
     Occhi che s'incontrano e si parlano.
     Occhi che nel silenzio e nell'immobilità volano insieme verso universi lontani e sconosciuti.


28 Novembre 1999.
Dedicato a Daniele.




1 Le parole scritte in grigio rappresentano la voce del vampiro, che Engeldor sente dentro di sé distintamente. I vampiri hanno poteri cerebrali sovrumani, e con essi possono ottenere ciò che vogliono dai viventi.
2 Lui si mette gli occhiali, che coprono gli occhi. Infatti, gli occhi sono noti e spesso definiti come lo "specchio dell'anima".
3 Sentire inteso come il verbo inglese "to feel".



di Aengeldor