Ecco a Voi, cari piccoli lettori, l'inizio di una saga che potrebbe anche terminare con questa sola puntata, ma le poche frasi che la compongono sono comunque più di quanto un Dio saggio e giusto dovrebbe permettere.
Vi starete chiedendo il perché di questa strana introduzione, ebbene, la verità è che queste poche righe servono per darVi la possibilità di fuggire prima che ciò che risiede nella Vostra piccola testolina sia intaccato dalla follia che pervade quanto i più coraggiosi, o solo i più stolti, di Voi si apprestano a leggere. Ho compiuto il mio dovere, un'ultima cosa:
vorrete scusarmi se ometto il nome della località in cui si svolge il fatto, ma non voglio che qualche povero illuso in cerca d'avventura rimanga impigliato nelle maglie della realtà che si cela dietro questo racconto.


Piccolo Paese. Ormai le gemme di questa storia si sono perse con la morte del vecchio Kuttner, non che lui avesse avuto la sfortuna di vederle nascere, ma era abbastanza vecchio da essere stato un ragazzo che ascoltava i racconti degli anziani, nonché abbastanza vecchio da far si che i ragazzi di oggi non gli prestassero orecchio. Proprio la morte del vecchio arrotino, mi ha dato lo spunto per iniziare a scrivere, già perché non voglio che questa storia vada completamente perduta, e se è vero che sono all'oscuro di molti particolari, è anche vero che posso tracciare quanto accaduto per grandi linee, sopperendo, ove dovesse servire, con la mia fantasia ed inventiva ai buchi che rimarrebbero altrimenti; mi scuso per le inevitabili imprecisioni, ma state pur certi che per quanto la mia fantasia sia fervida non potrà mai eguagliare quanto accaduto realmente!
Ma forse è bene che vi parli un poco delle origini di Piccolo Paese. Una volta qui non c'era altro che un arco montuoso che abbracciava la vallata sottostante tenendola isolata dal resto del paese, o del mondo se vogliamo, persino l'acqua non affiorava che in un solo piccolo tratto per poi tornare a nascondersi nel cavernoso sottosuolo. Però, circa mille anni fa, un uomo, no, un Conte, sembra più appropriato, attraverso un suo emissario mandato nella Città, arruolò tutti gli artigiani per costruire un immenso castello su quelle montagne.
Dal momento che il compenso non lasciava spazio al rifiuto, buona parte degli artigiani, alcuni con l'intera famiglia, si spostarono nella vallata ai piedi delle montagne per dar vita a quell'incredibile castello. Col tempo quel villaggio improvvisato iniziò a prendere le sembianze di un paesino: vi sorsero, in ordine, le prime vere case, il mercato, le prime coltivazioni e i primi allevamenti di bestiame. Così nacque Piccolo Paese.
Se la sua nascita può non contenere elementi di grande distinzione dalle innumerevoli storie di paesi e città sparse per il mondo, lo stesso, purtroppo non si potrà dire della sua storia. Quando il castello era funzionale seppur non ancora completo, Piccolo Paese era ormai una realtà, vagavano per le sue strade già le prime generazioni nate all'ombra delle sue montagne e riposavano nella sua terra alcuni dei primi artigiani arrivati lì per la costruzione del castello; forse fu per questo che quando iniziarono i primi "incidenti", la gente non pensò subito di lasciare questo posto per la Città: non è così facile lasciare la terra che ci ha visto nascere o che serba i corpi dei nostri cari. Non sapremo mai, probabilmente, quando si verificarono realmente i primi
"incidenti", dal momento che diversi mercanti venivano da tutta la regione per fare affari a Piccolo Paese visto che grazie agli emolumenti versati dal Conte, nel suo interno viaggiava parecchio metallo prezioso; quindi se, come è presumibile, furono alcuni di questi le prime vittime, la loro scomparsa ovviamente non attirò l'attenzione di alcuno. "Le prime vittime", già, perché quelli che fino ad ora ho chiamato "incidenti", altro non erano se non sparizioni e morti. Comunque i mercanti non furono che l'inizio, anche Piccolo Paese conobbe presto la sua prima sparizione: si tratta della seconda nata di una famiglia di contadini, Elena. Le ricerche della ragazza, iniziate appena la madre si accorse della sua mancanza, coinvolsero gran parte della popolazione di Piccolo Paese, ma non si trovò della sventurata la minima traccia, alla fine la gente, tranne la sua famiglia, diede per certa una fuga d'amore, possiamo affermare che non sbagliarono di molto.
Quello che non poteva essere che un sogno per i familiari, divenne l'incubo di tutto il paese: Elena si era trasferita al Castello ed aveva sposato il Conte, ma questo si seppe dopo molto tempo, quando ormai era troppo tardi. Fatto sta che per una strana coincidenza di lì a poco le morti e le sparizioni, e tanto meglio sarebbe stato se fossero state tutte morti, in paese iniziarono ad aumentare in maniera decisamente sospetta.
Da questo strano matrimonio, e forse ancora non immaginate quanto strano potesse essere, nacquero due bambini. Quando mi ritrovo la sera a pensare cosa dovessero essere quei due fanciulli, vi giuro che non riesco a prendere sonno! I due bambini si diceva, il più grande Baltazar ed il secondo Kolya, nati a distanza di neanche un anno l'uno dall'altro. Non si sarebbe mai saputo neanche che erano nati se solo la curiosità e la spregiudicatezza tipica dei piccoli non li avessero portati in paese una sera. Ma prima di arrivare a parlare di loro, devo dirvi qualcos'altro.
I primi corpi che furono ritrovati portavano l'inequivocabile marchio della peggiore disgrazia che l'umanità si sia mai trovata ad affrontare: i vampiri. Le leggende sui non-morti erano diffuse anche in un paesino come questo, ma come accade sempre per questo tipo di cose, era vissuta come una cosa lontano nel tempo e nello spazio, i più illuminati arrivavano persino a deridere chi vi prestava orecchio; fu per questo che inizialmente l'evidenza venne negata. La piccolezza e la stupidità degli esseri umani non finirà mai di stupirmi.
In paese ormai tutti sapevano quanto nessuno aveva il coraggio di dire, se non forse in pieno giorno e chiuso in casa: il Conte altri non era che un vampiro, che con la sua comparsa aveva dato vita a Piccolo Paese per poi riprendersela. Nessuno più sperava di poter un giorno ritrovare gli amici ed i parenti scomparsi tempo addietro, anzi chi ne aveva ritrovato solo i corpi poteva dirsi fortunato, sapeva che non avrebbe corso il rischio di vederselo riapparire davanti con i canini, più appuntiti del necessario, a brillare nella notte.
Mentre a Piccolo Paese la Paura e la Morte giocavano a scacchi, nel Castello il Conte e la consorte, circondati dai numerosi adepti, vedevano crescere i loro pargoli. Kolya benché fosse il più piccolo già dai primi anni si dimostrò l'unico degno erede del Conte: la sua classe era pareggiata solo dalla sua malvagità, alto ed imponente era capace di far morire, letteralmente, di paura una persona con un solo sguardo, e con gli stessi occhi era altresì in grado di stregare indifferentemente uomini e donne. Baltazar invece era fonte di continue preoccupazioni: in pochi anni aveva visto il fratello minore sovrastarlo sia fisicamente sia caratterialmente, a dire il vero non è difficile immaginarsi anche qualche contadino particolarmente aitante essergli superiore sul piano fisico. Ma i problemi di prestanza fisica non erano i peggiori che avesse; chi, tanto audace da farlo, si fosse avvicinato al Castello avrebbe spesso potuto notare la debole luce di una candela muoversi fra le sue stanze anche durante il giorno, e gli onnipresenti insetti che abitavano quella insanguinata dimora sapevano che attaccata a quella candela c'era la mano di Baltazar, costretto dalla sua paura del buio ad aggirarsi con quella fiamma a rischiarare i propri passi durante le lunghe notti e gli ancor più lunghi giorni che la sua insonnia gli regalava. Ma del giovane Conte avrò modo di dirvi di più con l'andare della storia, ammesso che questa vada avanti.
La gente di Piccolo Paese era paralizzata da una paura sfociata in rassegnazione, sembrava che essere lì a fare da dispensa agli abitanti del Castello fosse l'unico motivo di vita per gran parte di loro, gli altri vivevano la situazione come la giusta punizione per non si sa bene cosa. Una notte l'inverno decise che era arrivato il momento di fare la sua apparizione a Piccolo Paese, e usò come biglietto da visita una delle più belle nevicate che l'umanità abbia mai conosciuto, peccato che quei pochi esseri umani che ebbero la fortuna di vederla non poterono mai raccontarla. La mattina dopo Piccolo Paese si svegliò sotto una coperta di neve, alcune famiglie doverono così aspettare che un debole sole la sciogliesse per poter seppellire i propri cari; forse fu questo, forse il fatto che nella neve si potevano distinguere delle impronte, subito attribuite, non so su che basi, ai vampiri che in questo modo acquisirono concretezza, o forse semplicemente la somma di paura e rassegnazione aveva finito per dare come risultato la rabbia, fatto sta che finalmente la gente di Piccolo Paese decise che era arrivato il momento di reagire e di liberarsi del Conte e di chi gli stava attorno.
Senza un piano prestabilito, senza neanche rendersene conto probabilmente, quella mattina tutta la popolazione si trovò davanti al cancello dell'imponente Castello decisa a liberarsi da quel giogo; il cancello resse poco sotto la spinta delle centinaia di persone che in un attimo furono all'interno con zappe, forconi, mazze, fiaccole e quant'altro avevano potuto raccogliere. Una voce si impose, tutti la seguirono attraverso le infinite stanze del Castello fino ai sotterranei e quindi alle casse dove riposavano i non-morti, bastò l'esempio del primo, poi tutti scoperchiarono le tombe e diedero fuoco a quelle infernali creature, e non pochi, sentendone le urla, presero ad infierire sui loro corpi con le rudimentali armi a disposizione, in poco meno di mezzora l'aria si era fatta irrespirabile e dei vampiri e delle loro casse non era rimasto che fumo. La pulizia fatta dal branco non risparmiò un solo angolo di quelle buie stanze, anche il Conte, la cui forza sarebbe bastata a fronteggiare gli assassini, colto nel sonno non poté sottrarsi al suo destino.
Solo una volta rimasta senza nessuno da uccidere la folla iniziò a rendersi conto di quanto fatto e dell'irrazionale pericolo corso, cominciò così a disperdersi, lasciando il castello a combattere con le fiamme.
Prima del fuoco appiccato dai liberatori, però, un altro già si agitava alle correnti del castello. Nella biblioteca, un'immensa biblioteca, una fiammella solitaria, che giocava a modellare la cera sotto di lei, rendeva più facile la lettura al giovane Baltazar; rifugiatosi lassù per combattere l'insonnia e la paura del buio generato dai pesanti tendaggi che ornavano tutte le finestre del castello. La sua attenzione persa tra le pagine e la cecità delle finestre che avevano chiuso le loro palpebre di stoffa, non gli permisero di accorgersi dell'arrivo di quel branco assetato di sangue. Quando l'urlo della sua famiglia gli scoppiò nella testa, prima ancora che nelle orecchie, senza occuparsi del libro o della candela si precipitò per gli oscuri passaggi segreti, ma fece in tempo solo a vedere, non visto, la fine del padre. Sulla rabbia ebbe la meglio lo sconforto, svuotato, si lasciò cadere sulle ginocchia mentre le lacrime raggiungevano sempre più numerose il pavimento.
Il calore che andava crescendo intorno a lui lo riportò alla realtà, si rialzò sulle gambe, non proprio sicure di reggerlo, per salire ad aspettare che il fuoco, troppo grande perché lui potesse porvi rimedio, benché non desiderasse altro che di poter essere accanto alla sua famiglia, si stancasse di combattere con l'unica cosa che era rimasta lì giù: le pietre.
Non so se fu il Suo Signore, ammesso che ne abbia uno, o il Nostro, a decidere che farlo soffrire ulteriormente non sarebbe stato giusto, o forse fu solo il Destino, fatto sta che la pioggia andò a raggiungere le sue lacrime e con queste si adoperò per spegnere l'incendio, lasciando nei sotterranei solo pietre annerite ed il fango che aveva creato con la cenere: ed in quel fango si ritrovò a camminare Baltazar in cerca di non sapeva cosa neanche lui.
Tutto sembrava aver seguito il fumo nella sua fuga dal castello, non c'era una sola traccia di quello che era stato. Baltazar si aggirò dove, fino a poco prima, si trovava la sua famiglia, forse cercava solo qualcosa su cui piangere o qualcosa cui aggrapparsi, e quello che trovò fu comunque qualcosa di più: un ciondolo, che serbava al suo interno un ritratto della sua famiglia appena scurito dal fuoco.
Un ricordo: quanto di più piacevole e doloroso il Fato si sia divertito a creare. 2? A Piccolo Paese i festeggiamenti non si fecero attendere, benché ci fosse nell'aria una certa incredulità al pensiero di aver affrontato con successo qualcosa di tanto grande; tutto il paese che aveva assistito alla partenza dei propri cari alla volta del Castello con rassegnazione, accolse l'arrivo dei valorosi e prodi liberatori con l'entusiasmo di un abbraccio collettivo, ormai il Castello ed il Conte appartenevano al passato.
Non una sola persona rimase nella propria casa, le strade furono aggredite da gente che rideva, piangeva ed urlava, i bambini inebriati da quest'aria correvano senza meta; in breve venne preparata una vera festa con musica, balli e racconti intorno al fuoco.
Le sparizioni ovviamente cessarono e man mano che la vita tornava alla sua normalità la storia del castello diventava sempre più leggenda, sempre più una favola per mandare a dormire i più piccoli, che gusto ci si provi a spaventare i bambini con strane storie è una cosa che non mi sono mai spiegato; ma forse serve ai "grandi" per esorcizzare le proprie paure. Questo spiegherebbe perché i vecchi accorgimenti per tenere lontani i vampiri, pur se ridicolizzati di giorno ed in pubblico, tornavano a rivestire la loro sacrale importanza al calare del Sole, anche se sempre più come vuote abitudini.
L'inverno, il peggiore a memoria d'uomo, raffreddò ben presto l'entusiasmo di Piccolo Paese, costringendolo a fare i conti con le gelate e le razzie dei lupi che si facevano sempre più intraprendenti nella loro ricerca di cibo.
I lupi, nuovi assediatori delle notti, contro di loro i metodi classici apparvero ben presto inadeguati, non ci furono trappole o steccati capaci di frenarne l'appetito; alla fine fu presa la decisione di disporre una battuta di caccia come soluzione ultima per tamponare l'emorragia di bestiame. Gli uomini si riunirono, armati al meglio, una mattina per organizzare la loro caccia all'unica specie che in questo gli è superiore. La ricerca occupò buona parte della giornata, e man mano che il Sole si abbassava verso ovest, ognuno cercava gli occhi di chi aveva affianco sempre più di frequente, ma nessuno aveva il coraggio di abbandonare la caccia, almeno non per primo.
Quando il Sole era ormai spezzettato dai monti ed il sentimento comune iniziava a prendere vita in un basso vociare, furono trovate tracce fresche che non potevano che indicare la prossimità dei razziatori. I cani guaivano la loro eccitazione.
Il branco, non abituato ad essere preda, venne sorpreso e la fuga che ne fu istintiva conseguenza lasciò indietro i meno reattivi ed i più lenti che ebbero appena il tempo di vedere quell'ultimo tramonto. Torce alla mano i cacciatori, forti del potere di dar la morte, non esitarono ad inseguire i lupi sfuggiti al primo assalto che i cani bramavano di riprendere.
L'ululato spezzò questo cerchio di eccitazione che passava dai padroni ai cani, la Natura si fermò per ascoltare questo grido di rabbia; ma i cani sono troppo devoti e gli uomini hanno da tempo ucciso il loro istinto, quindi la caccia continuò.
La fuga, l'unica soluzione possibile, non solo poteva non essere onorevole, ma fu anche improduttiva, del resto neanche l'uomo è più abituato ad essere la preda; e quando i primi raggiunsero Piccolo Paese già sette loro compagni avevano concluso la loro vita fra i denti del branco.
3? La vita come un rampicante lentamente ricoprì Baltazar.
Il giovane Conte conscio di non poter più contare sul calore della propria famiglia strappatagli dagli uomini, sentiva dentro sé crescere la voglia di giustizia nei loro confronti. Al tempo stesso il disgusto aveva occupato ogni suo anfratto lasciandolo incapace di cercare altro se non conforto.
La notte stessa, mentre stringeva nella mano destra il ciondolo che portava al collo, e passeggiava nei pressi della sua dimora, l'ultimo vampiro di Piccolo Paese, si ritrovò circondato dai lupi che parevano essersi (si erano?) riuniti per palesargli il loro dolore. Tra cuccioli ed adulti seduti in silenzio Baltazar, riuscì a ritrovare una goccia di tranquillità, elesse allora il branco a sua nuova famiglia.
Passava ormai molto tempo sottoforma di lupo, un maestoso lupo nero i cui soli occhi tradivano la reale natura. Guidò il branco nella facile caccia agli animali domestici, forse anche per seguire non visto la vita della gente di Piccolo Paese.
Certo dovette accontentarsi per buona parte dell'inverno quasi esclusivamente di sangue animale, se si esclude qualche sventurato mercante che aveva osato passare i monti durante quel duro inverno, ma il Conte sembrava aver trovato, almeno temporaneamente, il suo equilibrio, un equilibrio che gli permise di rimettere a posto nel suo io, un equilibrio che probabilmente l'avrebbe ricondotto alla sua natura di vampiro, un equilibrio che, comunque, una manciata di cacciatori ruppero quando attaccarono il suo branco, la sua nuova famiglia.
Questa volta non avrebbe permesso che facessero scempio di chi gli stava accanto senza far nulla per difenderli. Il Sole, solo lui poteva fermarlo, ma era in viaggio per andare a svegliare altre genti, non mancava molto e gli uomini erano troppo sicuri della loro forza, troppo presuntuosi per seguirne i consigli e tornarsene a dormire.
Sentiva i guaiti dei suoi fratelli che si erano fatti sorprendere…ma un rosso riflesso si affacciava ancora alla sua grotta, questo non poteva che accrescere la rabbia che era in lui. Non voleva, non poteva, correre il rischio di arrivare ancora una volta troppo tardi, la voglia di non essere ancora una volta inutile, lo spinse ad uscire dalla tana, ma l'ultimo Sole non intendeva fargli piacere alcuno, si ritirò quindi barcollando e dalla sua bocca uscì un ululato che solo gli uomini ed i loro stupidi cani poterono ignorare. Il Sole, come poteva permettere che pochi spicchi luminosi ancora impegnati a discendere le montagne gli portassero via ancora una volta coloro cui voleva bene? Non doveva forse a lui la fine della sua famiglia? Cos'altro doveva portargli via? Non poteva arrendersi anche questa volta, prese la rincorsa e si gettò verso quel rossore sempre più tenue all'ingresso della sua grotta, lo affrontò, il dolore, come se ogni singola cellula del suo corpo gridasse la propria morte, lo trafisse ovunque, poi il bosco, la sua fitta vegetazione, gli offrirono riparo, e mentre già avvistava i primi cacciatori, il dolore era ormai solo un altro brutto ricordo associato al Sole, un altro piccolo sberleffo che si era divertito a fargli.
Il primo cacciatore non lo vide neanche, praticamente gli passò attraverso lasciando le gambe senza nulla da reggere, il secondo ebbe meno fortuna, l'odore del sangue del primo avevano risvegliato in Baltazar la sua natura, quindi servì come primo pasto della giornata.
La fuga, avete mai incontrato un cane randagio per strada? Mia madre mi diceva sempre di non mettermi a correre in una situazione come questa, perché il cane, nostro malgrado, conserva l'istinto del predatore e non ci penserà due volte a corrervi dietro; bene, pensate che un branco di lupi che ha appena ritrovato il proprio capobranco rimanga fermo a guardare le proprie prede che corrono per il bosco?
Mentre urla, guaiti e ululati facevano proprio il bosco, il Conte tornato ad assumere sembianze umane, ripercorreva con le gambe la strada che lo separava dal Castello e con la mente tutta la sua esistenza.



di Osvlad