Lacrime inaspettate riempirono i miei occhi.
Non avevo mai pianto in vita mia, e per uno stupido principio d’orgoglio, o forse per paura, cercai di reprimerle, ma non ebbi successo. Allora cominciai a piangere copiosamente, in silenzio, tenendo lo sguardo basso e lasciando che le lacrime cadessero giù sui miei pantaloni.
La sentii inspirare rumorosamente la fresca aria della stanza senza rilasciarla, poi il materasso del letto sul quale ero seduto si abbassò alla mia sinistra, e seppi che si era venuta a sedere accanto a me. Non mi mossi, ma anche volendo non ci sarei riuscito: avevo l’impressione che se l’avessi fatto il suo sguardo così familiare mi avrebbe incenerito il cuore, ed io mi sarei dissolto in un oceano di dolore. La testa prese a martellarmi, il silenzio mi opprimeva, mi sentivo solo e non sapevo a cosa appigliarmi. L’abitudine che avevo acquisito ormai da tempo, di farmi sostenere sempre e solo da lei, ora mi si torceva contro.
Era là, di nuovo al mio fianco, ma era così distante… Chissà cosa stava pensando, chissà se si stava sforzando per comportarsi così freddamente. Non poteva aver già dimenticato tutto di noi, non poteva aver cancellato così tanti ricordi in così poco tempo.
Un empio sbuffo d’aria venne a scontrarsi svolazzando sul mio viso, trasportando con sé il suo dolce profumo. Un odore inebriante di sole e sapone, un odore che avevo aspirato tante volte direttamente dalla sua pelle nuda, un odore che scatenò una tempesta di sensazioni rese amare dall’abbandono, che mi travolse, scaraventando la mi anima in una regione buia e deserta.
Non ero più nella stanza fredda, non stavo piangendo e non avevo più quella meravigliosa e crudele creatura accanto a me, quella creature così bella e perfetta, che avevo amato e che amavo più di ogni altra cosa al mondo.
Era la leggerezza di un fiocco di neve, la radiosità di un mattino di maggio, l’acqua fresca quando si brucia di febbre, l’abbraccio di un sorriso. Era mia. Non avrei mai voluto lasciarla, le avevo giurato amore eterno. I suoi occhi erano sempre così ridenti… sempre fino a quel giorno.
Mi ero subito reso conto che qualcosa non andava, che qualcosa si era rotto. Mi disse che era rimasta incinta, e poi mi fissò seria, in attesa della mia reazione. Il cuore mi esplose di gioia. Ne fui sorpreso io almeno quanto ne fu sorpresa lei, ma non potevo proprio frenare l’irragionevole felicità che mi aveva pervaso. Mi gettai in ginocchio ai suoi piedi, sorridendo come uno sciocco, e appoggiai l’orecchio al suo ventre, già pensando ad un matrimonio, ad una famiglia…
Ma non appena mi avvicinai lei fece un passo indietro, tetra in volto e con le labbra tremanti umide di saliva. I suoi occhi non ridevano più. Erano grigi come piombo, non più argentei e leggeri.
Non era mio il bimbo che portava in grembo, che avrebbe portato ancora per poco, perché aveva intenzione di liberarsene, così come aveva intenzione di liberarsi di me.
Il mio mondo crollò quel giorno, ma non piansi.
Lacrimavo invece fuori e dentro ora che lei era tornata nella casa che la conosceva così bene per riprendersi le sue cose. I miei agitati pensieri furono interrotti dal tocco lieve della sua mano sulla mia guancia lavata dalle lacrime. Evidentemente l’avevo mossa a compassione, o forse era ancora difficile per lei essermi indifferente, dopo tutto questo tempo ed amore. La sua mano era calda, così confortante… La afferrai delicatamente e la tenni premuta contro il mio viso, baciai il polso sottile, sentii sotto le mie labbra le sue vene pulsare del ritmo veloce del suo cuore… Un cuore che era stato mio, un’anima che non mi contemplava più, una porta che si era chiuse per sempre.
Alzai finalmente lo sguardo ed i miei occhi incontrarono la finestra, un riquadro nero nel candore delle pareti. Fuori era già buio. Era già notte.
Gli occhi presero a bruciarmi, e cominciai a desiderare ardentemente la sua vita, la sua bellezza, la sua energia, il suo cuore. Le mie labbra si dischiusero scoprendo i denti, e senza che avessi ordinato al mio corpo di muoversi, mi ritrovai a ingoiare freneticamente il sangue caldo che mi sprizzava copioso in bocca.
Urlò? Mi maledisse finché aveva respiro per farlo? Non posso dirlo, perché mi ero perso. Bevevo e l’unica cosa che sentivo era il frenetico suono di due tamburi, con diverso ritmo e intensità; i battiti del mio e del suo cuore, un richiamo irresistibile e tremendo.
Mi comparve un cielo senza Luna pieno di stelle rosse, sentii tra i capelli la gelida brezza della sera e in tutto il mio essere il richiamo irregolare della Notte. Era ora debole ora disperato, così sottilmente intenso da trafiggermi come un pugnale, così ammaliante da non lasciarmi altra scelta che l’abbandonarmi completamente a lei e con lei diventare una cosa sola. Poi il richiamo, i due tamburi, per un attimo si sincronizzarono, e ne fui così invaso da desiderare che quella sensazione durasse per sempre, tanto mi riempiva, eccitava, soddisfava, doleva e torturava.
Ma subito dopo tutto finì, cominciai a precipitare, e mio malgrado tornai, confuso e stordito, alla realtà: la mia dolce creatura giaceva appoggiata pesantemente alla mia spalla, gli occhi sbarrati, la bocca aperta, il polso lacerato e sanguinante. Le dita dell’altra mano erano affondate nel mio braccio, in un’ultima disperata mossa. Mi alzai di scatto facendola cadere sul pavimento.
Non mi stupii né provai ribrezzo per ciò che avevo fatto. Nessun rimpianto, neanche l’ombra del rimorso. Per la prima volta dopo troppo tempo mi sentivo soddisfatto, mi sentivo bene. Ero riuscito a risalire dalla fossa in cui lei mi aveva gettato, e questo impervio percorso mi aveva cambiato.
Mi leccai le labbra, afferrai il portafoglio, mi infilai il cappotto ed uscii di casa. Per non tornarvi mai più. Da allora vivo una vita oscura e meravigliosa. Il mondo intorno a me è stupendo, visto con gli occhi che ho ora. Niente è quello che appare, né quello che è, ma tutto vive e respira ed ha qualcosa da raccontarmi. E’ tutto così incredibile che per poterlo esprimere e fissare nel tempo ho iniziato a scrivere, scrivere ciò che vedo e sento, ciò che sogno in ogni mio sonno di morte.
Questo è solo l’inizio della mia storia, tante cose saranno ancora dette, tante aspettano ancora di essere vissute.

di Erstes