Sapevo bene che guardandomi davanti avrei trovato solo macerie, ma la ferrea volontà di trovarla non mi aveva ancora abbandonato; per di più volevo trovare una risposta alle mie domande sulla “cosa”, dove nessuno non avrebbe mai cercato.
Lungo i binari c’erano solo sporco e le lunghe aste d’acciaio parallele tra loro riflettevano il freddo cuore della periferia, immersa tra acidi e ombre.
Tra i sassi, la cenere, e sugli angoli delle rotaie pezzi di latta putrefatti dall’umidità e in mezzo il mio corpo che vagava in cerca di sapere.
Era tutto grigio e malconcio, un po’ come i miei abiti, vecchi jeans e un lungo maglione di lana grezza che mi arrivava al bacino.
“Vedi Henry”, come diceva spesso una volta il mio vecchio, “ci sono cose che l’animo umano non può comprendere, mentre ci sono alcuni esseri al di sopra di tutti noi che “vedono”. Ecco, tu sei uno di loro! Ricorda bene le mie parole, perché so bene che fra qualche minuto le avrai già dimenticate”.
Quelle parole oggi mi tagliano le tempie come una sega elettrica, non riesco a far altro che pensarci.
Più di ieri e di qualsiasi altro giorno, nonostante sono scappato dalla prigionia.
Si fonde il torpore del giorno che se ne va con l’infinito oscuro notturno, e già l’ansia scompare come non ci sia mai stata.
Non so bene cosa siano queste sensazioni, ma riesco a capire quando stanno per arrivare; il presagio arriva dal naso che inizia a colarmi. Un liquido freddo ma incandescente sulle narici che risveglia il mio appetito e mi blocca il sonno. Così vedo.
Se quello che diceva Henry mi avrebbe messo in pericolo, quel qualcosa c’entra con tutto questo.
Così vedo ancora. I colori prendono forma e le ombre mi stanno accanto senza che io mi accorga. Dietro le illusioni di un giorno appena passato, che si sono frantumate con l’ennesimo sconforto dal non aver trovato nulla, questo cambiamento giova ai miei sensi, affinandoli.
Mentre vago per le lune nere d’Ortaria annuso nell’aria un profumo di fresco e il naso smette di colarmi e le narici cominciano a chiudersi e riaprirsi ad una velocità tale da spaventarmi.
Il profumo m’inebria la mente. C’è qualcuno qua intorno. Devo trovarlo o mi scoppieranno le tempie. Giro verso le carcasse di un treno merci abbandonato e segue la scia che ha lasciato l’umano. Percorro i binari, finche scompaiono sotto vecchi scatoloni. Sento il cuore in gola che cerca di soffocarmi. Dove è nascosto?
“Dove sei?” Urlano le mie dita agitandosi come lunghi vermi. Ma ecco che la scorgo: è una giovane donna che sta facendosi largo tra i cassonetti dei rifiuti. Una tossicomane forse, ma che importa, tanto sono tutti uguali. Non ho scelta. La scelta io non l’ho avuta da nessuno.
Nessuno non mi ha mai chiesto se volevo essere così. Ci sono nato, e come me tanti altri.
Non li ho mai visti, si nascondono dappertutto ma so che un giorno c’incontreremo, fa parte del lungo cammino verso il sapere.
Mi avvicino e gli sussurrò alla schiena il piacere. La sua pelle si contrae dal freddo alito della fine e si lascia andare.
Uno scambio di sguardi basta per capire che le piaccio. Mi trova bellissimo e mi vuole. Solo che io la prenderò e sarà in quel momento che le passerà in testa quel giorno in cui ha tentato di intossicarsi, e un sorriso la farà soffrire di meno.
Odio me stesso e questi attimi. Stringo gli occhi e mi accascio su di lei, mentre la sua vita se ne va lentamente. Apro la bocca per donarmi un altro giorno ancora. Il suo seme scorre dentro i miei vasi sanguigni all’impazzata e brucia da cani!
Aspiro tutta la conoscenza nello stomaco e quando mi stacco da lei ho solo voglia di vomitare tutto per dimenticare.
Sto male, mi sembra di morire, ma so che per me questo è il bene.
Ora mi abbandono completamente, non riesco più a resistere, la volontà è compiuta. Svengo a terra e vago per le terre dimenticate.

Oggi l’alba è più scura di ieri, ma pur sempre bellissima.
Mi sono svegliato dal freddo del mattino e cerco di alzarmi.
Le ossa mi fanno male come se le avessi spezzate e sento i pensieri accartocciati e pesanti come un ubriaco.
Riprovo a mettermi in piedi e stavolta ci riesco.
Spengo gli occhi e li riaccendo e davanti a me c’è Henry. Adesso anche la mattina mi viene a trovare.
“ Cosa c’è? “ gli chiedo, ma non mi sente.
“ Henry cosa vuoi di più? Non ho fatto abbastanza per te e per la famiglia? “ continuo a parlagli ma è come se parlassi a nessuno.
Henry mi guarda ma non mi sente. E’ dentro di me capisco.
“Figliolo, vedrai che ti ci abituerai, è semplice” mi diceva.
“ E’ come un gioco? “ gli chiedevo.
“ Un gioco, si, come un gioco!” e rideva, sforzandosi di riuscirci bene.
Eccomi di nuovo tra i binari della ferrovia a camminare senza una metà e sempre con gli stessi stracci sporchi e puzzolenti addosso.
Sembra sia passato tanto tempo dalla prigionia, invece sono scappato da soli tre giorni. Neanche là riuscivano a fermarmi. E pensare che le catene mi piacevano tanto, quasi ci credevo che mi avrebbero tenuto fermo e buono. Ma non è stata così.
Jack, Forman, e gli altri, compreso la guardia, un certo Tenessee a cui piaceva tanto giocare a carte. Mi dispiace che sia finita. Pace alle loro anime. Sono resistito una settimana nel braccio della morte, ma mi ero già affezionato.
Mai nome è stato più azzeccato: il violento braccio della morte, in altre parole colui o colei che ha spalancato le sue membra e mi ha abbracciato e tuttora mi coccola. Sono suo figlio prediletto, mentre gli altri solo involucri da svuotare.
Come ho fatto a farmi trascinare fino là dentro! Non me lo perdonerò mai…
Una sera volevo chiudere con tutto e dopo aver comprato una pistola, sono entrato in un supermarket e ho ucciso sei persone, poi ho chiamato la polizia dicendo quello che avevo fatto e di venirmi a prendere subito.
Non volevo finisse così, ma l’ho scampata. La legge mi ha solo placato per qualche giorno. Poi sono tornato di nuovo a prima. Solo più affamato e senza scrupoli.
Dove sto andando? Primo o poi le rotaie dovranno finire, da qualche parte.
Ho provato ad uccidermi in diversi modi.
Tagliandomi le vene, ma ciò mi portava a desiderare di più quello per cui mi odiavo.
Mi sono buttato dall’ultimo piano di un palazzo, ma quello che ho provato dopo è stato dolore, forte e acuto. Se mi spoglio, il mio corpo è cosparso di mille cicatrici e mi vien voglia di piangere ogni volta.
Accanto a me passa un cane di grossa taglia, un incrocio forse, ma non si degna nemmeno di uno sguardo. Sa cosa sono e mi evita alla svelta, finche scompare all’orizzonte, sulla linea di demarcazione che separa il cielo da me.
Dovranno passare altri lunghi inverni ed interminabili estati sempre più torride. Quando ero in prigione, durante l’ora di pranzo riuscivo a carpire alcune informazioni alla tv delle guardie e a quell’ora davano sempre le previsioni meteorologiche, con un omino grassoccio che puntava la bacchetta su uno schermo digitale.
Quelle piccole sensazioni mi facevano star bene e mi facevano sentire vicino agli umani. Loro mi vedono come uguale agli altri, ma la dannazione mi ha condannato ad un’infinita condanna e scontarla non mi fa sentire migliore di quello che vorrei essere.
“Dai Henry, chiedimi cosa voglio!”
Vorrei non essere mai esistito.
Malattie e pestilenze stanno condannando l’intera umanità. Da quando sono nato sono cambiate tante cose e ho visto la morte talmente tante volte sulla faccia che non la temo.
Facendo il punto della situazione, chi sono veramente io?
Alcuni mi hanno affibbiato i nomi più impensabili e accanto a me sono cresciute leggende.
Sono semplicemente un malato d’aids, che non fa altro che rovinare quello che rimane di questa sporca e corrotta civiltà.

Senza accorgermene viene la notte e l’aria si condensa in una miriade di profumi.
Il naso inizia a colare.
E’ giunto di nuovo il momento. Come una bestia divento feroce, e mi accingo a mordere sul collo la notte.


di Roberto Forconi