E’ la stessa cosa, che è viva e morta, che è desta e dormiente, che è giovane e vecchia. Queste cose, infatti, ricadono nel mutamento in quelle, e quelle viceversa in queste.
( Eraclito, frammenti, 88 )


“Chi sei?” gli chiese, turbata, dopo un silenzio durato un’eternità.
“Sono te – le rispose, con semplicità - Non mi riconosci?”
Lei corrugò le sopracciglia nell’evidente sforzo di richiamare alla memoria quel volto pallido, incorniciato da lunghi capelli scuri.
“Non credo di averti mai visto” disse, infine.
Lui sorrise, paziente.
“Come avesti potuto? Non sono mai stato qui”
Lei gli volse le spalle ed andò alla finestra. Fuori, il sole di maggio baciava i vetri. Lo cancellò con la sua fantasia possente e lo trasformò in lacrime di pioggia.
Soddisfatta del nuovo panorama ruotò su se stessa e lo fronteggiò.
“Da dove vieni, dunque?”
“Da un luogo dove il reale e l’irreale si abbracciano - sorrise ancora - Dal Tempo”
Fece un passo in avanti e le si pose esattamente di fronte. L’aria che li divideva tremolò, come uno specchio d’acqua incrinato dal lancio di un sassolino. Allungò una mano e le sfiorò il viso. Le sue dita erano allo stesso tempo calde e fredde.
Lei rabbrividì, ma non indietreggiò.
Un fugace ricordo di un liuto che suonava nella penombra di un salone illuminato dal fuoco di un camino. Un lampo e poi il presente.
Socchiuse gli occhi, intuendo che solo in quel modo poteva comunicare con lui, rimanendo in bilico sul suo stesso livello.
“Musica” mormorò.
Lui annuì.
“Musica” confermò.
”Come hai fatto ad arrivare qui?” stupita.
“Il piano inclinato spazio/temporale. Sono scivolato su di esso”
“Perché?”
La domanda risuonò con forza, restando sospesa a lungo tra di loro.
“Per incontrarti. Per farti sapere che esisto, che esisti”
Lei sorrise dietro le ciglia abbassate, più con il cuore che con le labbra.
Il liuto intonò le note di un madrigale mentre il profumo della lavanda in fiore le invadeva le narici.
Qualcosa dentro la sua anima si sciolse, colando come cera fusa.
“Sei tu…” lo riconobbe.
“Sono io” ammise.
Tacquero entrambi, emozionati, ascoltando la musica e la pioggia. La notte si impossessò della stanza, avvolgendola in un manto di oscurità senza stelle.
Quando lei si riscosse era di nuovo sola e la gelida luce dei lampioni proiettava riquadri al neon sul tappeto orientale dai colori violenti.
Posò la mano aperta sul monitor del pc. Sullo schermo, bianche sullo sfondo nero, spiccavano le parole
“Ti aspetto tra mille anni a Mont saint Michel.”

di Vareno