Stanotte mi svegliai alle 4, d'improvviso, come se qualcuno mi avesse scosso nel letto. E non appena riaprii gli occhi, di soprassalto mi vennero in mente delle immagini, delle parole, di nuovo lo stesso gioco di amore morte vita e sangue. Ogni storia deve avere un inizio e una fine, altrimenti non può trovare pace. E per troppo tempo ho lasciato questa storia in un limbo, da cui pretende di essere tolta. La storia si è raccontata da sola al mio orecchio, e non ho potuto far altro che alzarmi, prendere carta e penna, e scrivere la sua...fine?

Claire De Lune.

Io la odio con tutto il rancore che la mia anima può vomitare, e la amo con tutto l'ardore che il mio sangue può ancora provare. Mi ha inserito in una storia già scritta in cui non riesco a trovare un ruolo, riesco solo a trovare dolore, giorno dopo giorno dopo giorno. Mi chiamo Marie. Un nome così usato e così banale, che nemmeno i poveri vogliono usarlo più. Almeno, non in questo secolo ormai. Ero una ragazza come tante, una piccola borghese che di grande depressione conosceva solo quella della madre quando il marito rincasava a casa sbronzo e senza pantaloni. Una bambolina dagli occhi verdi e i capelli rossi, il pupillo del padre, l'invidia delle amiche, il desiderio degli uomini. Potevo avere tutto quello che volevo, tra la mia bellezza e il potere politico di mio padre. Ero dannatamente superficiale. Mi circondavo di profumi, gioielli, vestiti alla moda, cercando di somigliare il più possibile a un idolo, estranea a qualsiasi sentimento umano, escluso ovviamente la vanità. Partecipavamo a cene di gala, passeggiate pomeridiane che facevano male agli occhi per lo stridere tra il nostro sfarzo e la fame che si prostrava ai nostri piedi. In America è così, oggi sei ricco, domani chiedi l'elemosina, a meno che non riesci ad accettare i compromessi che la vita ti pone e a sfruttare il fiuto per gli affari che la natura ti ha donato.
Fu una sera a teatro che vidi Claire per la prima volta. Così pallida, così triste e bella. Gli occhi sembravano due fiamme incastonate nel volto, i capelli erano pura seta. Credo di non mai provato così tanta invidia verso qualcuno. Era lei il centro della serata e non potevo sopportarlo.
Si accorse dei miei sguardi pieni di disprezzo e si voltò verso di me, ma nonappena mi guardò con quegli occhi di fuoco non seppi più far nulla, dimenticai come si respirava, incapace di pensare o di reagire, inchiodata alla poltrona da quegli occhi di fuoco liquido che mi scavavano dentro, e mi paravano davanti tutta la mia ignobile persona, scavando sempre più a fondo. L'inizio della musica e del buio in sala mi salvò dall'impazzire. Alla fine del primo atto lei non era più seduta al suo posto, ma era ancora in quella sala, lo sentivo, era come se avesse lasciato una parte di lei dentro di me, una parte che pulsava e gridava, una parte che voleva riconiungersi con il resto. Mi sentivo i suoi occhi addosso ovunque andassi, ero terribilmente in soggezione, non osavo voltarmi dove il suo sguardo quasi bucava la mia pelle per l'intensità dello sguardo. Quella notte non riuscii a dormire, lei era in camera mia, lo sentivo, restai a piangere di terrore sotto le coperte tutta la notte, senza riuscire a parlare, a muovermi, a chiedere aiuto. L'indomani mattina avevo un aspetto così abbattuto che non mi permisero di scendere da quel letto che ra diventato una prigione. Era come se le lenzuola fossero piene di spilli, pizzicavano, volevo togliermi da lì, ma credendomi preda di convulsioni mi legarono al letto andando a chiamare il dottore. Dottore che, ovviamente, non trovò nulla che non andava, eccetto una strana spossatezza, come se non dormissi da mesi. Mi diede un sonnifero che fece subito effetto e mi addormentai subito. Sognando Claire.
Questo andò avanti per quasi tre mesi, la sentivo dentro di me, ovunque guardassi, in ogni ombra scorgevo il suo volto. Sentivo la sua voce nella testa, quella voce vellutata che sembrava appartenere a un altro mondo, sentivo le orecchie quasi sanguinare per quel suono splendido. Ero sempre in lacrime e scossa da tremiti, sentivo che mi chiamava ad ogni respiro, e non sapevo per quanto avrei potuto resistere. I miei genitori chiamarono tutti i dottori conosciuti, anche da oltreoceano, ma tutti non facevano altro che dir loro le stesse cose. Non avevo nulla, solo un filo di stanchezza e terrore negli occhi che non riuscivano a spiegarsi. A questa incertezza i miei genitori preferirono una scelta sicura e solida. E venni rinchiusa in manicomio. Era una vergogna immane, per me e per la mia famiglia, ed anche inutile perchè anche lì continuavo a sentire Claire.
Dopo 5 mesi avevo ormai perso la cognizione della realtà, ma non abbastanza da far si che cedessi a Claire. Avevo rovinato la mia vita, e non gliel'avrei mai data vinta.
Una notte sentii che qualcosa cambiava. Ero rannicchiata su me stessa (ormai gli infermieri non mi legavano più, sapevano che ero innocua, persa nel mio mondo, e in più figlia di un importante politico, quindi con una stanza senza sbarre alle finestre o cinghie nel letto) in lacrime come sempre, per il tormento di quella voce che mi distruggeva cellula dopo cellula ogni giorno di più. All'improvviso sentii il silenzio. Mi piombò addosso come un muro, e fu totale assoluto, terribile e bellissimo. Ero libera finalmente, avevo vinto, Claire mi aveva lasciata in pace. Per tutte le settimane successive recuperai la salute che tornò a colorarmi le guance, tornò l'appetito e il sorriso, tornò la speranza di tornare a casa dai miei genitori, di avere una vita normale, feci così tanti sogni che nella mia testa non c'era spazio per altro.
E all'improvviso, una notte, udii una risata. Una risata di una voce che conoscevo bene, che riconobbi subito con terrore, che mi era perfino mancata. Era Claire, erano i suoi occhi, la sua pelle, i suoi capelli, non mi avrebbe mai lasciata in pace, mi aveva raggirato, mi aveva lasciato quell'ultima oasi di tranquillità per poi tornare e darmi il colpo di grazia. Fu dinanzi a quella prospettiva che decisi che non ce l'avrei fatta. E quindi cedetti. Ma non a Claire, alla morte. In un secondo mi buttai dalla finestra, sentii Claire nella mia testa che gridava di orrore, le schegge di vetro che mi tagliavano la pelle, il vento in faccia, la libertà. Ma durò tutto troppo poco. Sentii un tonfo, come se qualcosa di pesante fosse caduto accanto a me, mi voltai e vidi il mio corpo a terra, nel giardino che circondava quella casa di matti, tutto tagliato e messo in una posizione non naturale, il collo piegato a 45 gradi. Ero morta, evidentemente. Poi vidi lei. Indossava un vestito di velluto nero tutto stringato e un collarino nero al collo. Mi guardava. Non il mio corpo, guardava me, dritta negli occhi, e mi parlò, per la prima volta lo fece di presenza. "Credi forse che a te sia concesso morire? Non è così, mi spiace, io ti ho scelta, io ti voglio, mi hai fatto aspettare anche troppo a lungo, ma finalmente sei mia. Non puoi morire perchè io non posso morire, e dentro di te hai una parte di me". Con terrore puro vidi che prendeva il mi corpo e gli mordeva la gola, con gli occhi color del sole, poi sentii un urlo, agghiacciante e prolungato. Ci misi un pù per capire che veniva da dentro di me e quando aprii gli occhi ero sdraiata in una bara. Ma che diavolo accadeva? Perchè la morte e la vita si prendevano gioco di me a quel modo? Ero morta o ero viva? Fossi stata morta però non avrei potuto urlare, aprire gli occhi e vedere che mi trovavo dentro un feretro. Fossi stata viva però non avrei avuto motivo di stare dentro a una bara. Mi sentivo strana, debolissima ma allo stesso tempo con una forza che non avevo mai avuto, sentivo tutti i rumori della città in lontananza, percepivo ogni cosa, la pioggia che batteva nell'alta vetrata, il vento che si infilava nelle fessure delle pietre di quel castello antico. Riuscivo persino a sentire la mia storia, raccontata di bocca in bocca giù in città.
Povera ragazza che fine che ha fatto-ma era una squilibrata!con quei genitori cosa ti potevi aspettare d'altronde-già, rinchiuderla in un manicomio, vederla ridotta a un vegetale-povera ragazza, è ovvio che abbia deciso di farla finita-e i suoi genitori non hanno nemmeno un corpo da seppellire-trafugare il corpo di una ragazza a quel modo-il mondo è pieno di maniaci, nemmeni dopo morti si può star tranquilli. Ok, ora, decisamente, non capivo più nulla. Mi ero vista morta a terra col collo spezzato, la testa quasi staccata dal corpo, che diavolo era accaduto poi?
Due occhi mi fecero alzare la testa. Due occhi a cui adesso non potevo oppormi, occhi che promettevano di svelarmi ogni cosa, occhi che mi avevano fatto il dono più bello che una vanità come la mia possa desiderare: una bellezza e una vita immortale.

di Susanna Sicali