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I luoghi di culto più importanti nella città campana sono il già citato il cimitero delle Fontanelle, la Chiesa di Maria Santissima del Carmine, la chiesa di San Pietro ad Aram, edificata sul luogo ove la tradizione vuole che lo stesso san Pietro avesse battezzato Santa Candida, e la Chiesa di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco nella centralissima via dei Tribunali.
Antiche sedi del culto dei morti, oramai dimenticate erano anche la chiesa di Santa Croce in Purgatorio e Sant’Agostino alla Zecca.
Ognuna di queste conserva personaggi magici ricorrenti: gli Sposi, i Bambini, il Dottore, la giovane Fanciulla, il Capitano…etc…Ci soffermeremo a breve su alcuni.
Qui voglio giusto citare l’anima del Dottor Alfonso custodita a San Pietro ad Aram che continua ad esercitare la professione medica, secondo le leggende locali, dall’aldilà e a fare miracoli.
Nonostante si tratti di veri e propri cimiteri, questi luoghi assumono le caratteristiche della zona di confine, di quel “crepuscolo” ctonio dove si può realizzare l’incontro tra vivi e morti.
“…Oltrepassata finalmente la porta, restai colpito dallo spettacolo che si offriva ai miei occhi. Niente di simile alle file di mummie che si vedono presso la chiesa dei cappuccini a Palermo, niente di simile agli eleganti arabeschi di frammenti di ossa che fanno bella mostra di sé ai cappuccini dell’Immaccolata Concezione di Roma…Quei mucchi di ossa, sistemati su una specie di marciapiede ungo le gallerie, non sono molto alti, ma in una galleria con quelle ossa, si è innalzato lungo il muro un arco di trionfo: l'arco del trionfo della morte. Tutt'intorno a quest’arco funebre sono sparsi fiori. Alcune ossa sono state messe dentro cofanetti di vetro. Altrove è su un cranio che viene accesa la candela, sicché essa parche raffiguri lo Spirito Santo sulla testa degli Apostoli. Talvolta la candela accesa è posta dentro il cranio ed esso prende così un aspetto biabolico… L'uomo che pregava, giovane e con una bella voce da predicatore o da cantore di canzoni napoletane, non aveva niente di ascetico: gli si leggeva in viso la gioia di vivere. Aggiungi che faceva questo suo mestiere con convinzione. Si osservava una specie di rito: la persona che voleva far recitare una preghiera si metteva a sedere in un piccolo banco accanto all'uomo che recitava la preghiera come se volesse consultare un oracolo. Dapprima l'uomo che pregava stava immobile, poi, a poco a poco, la sua testa cominciava a far movimenti e la sua corona del rosario cominciava a tintinnare come un campanello. [. .. ] Ma non ci sono diritti senza doveri. Una donna che stava perdendo la testa perché non trovava più il teschio di sua proprietà venne a chiedere aiuto al «pregatore». «E' un teschio giallo, lucentissimo» diceva. E andarono tutt'e due a cercarlo. «Eccolo là», gridò trionfante il «pregatore» scovando l'oggetto smarrito. Lo brandì verso la proprie/arta, lo ribenedì gratuitamente e fece ritorno ai suoi clienti. E bisognava vedere quanta tenereua la donna aveva per quel teschio finalmente ritrovato! Ci soffiava sopra per cacciarne la polvere, lo strofinava col suo fazzoletto, lo baciava, se lo crogiolava, lo rimetteva con dolcezza a posto su un piccolo cuscinetto che aveva portato con sé e gli accendeva torno un mucchio di candeline. La scelta del teschio non si fa alla leggera. La gente che ne fa ricerca cammina lentamente da una parte e dall'altra delle gallerie e attentamente scruta quei tristi avanzi di morti; a un tratto si ferma e si china per prendere un teschio sul quale non si leggeva alcun nome; l'esamina da tutte le parti, ne prova la consistenza, lo gira e lo rigira, lo palpa, lo soppesa, e l'annusa come si annusa un popone. Segue, subito dopo, la ripulitura. Ho visto alcune giovani donne procedervi con un'arte tutta casalinga; spazzolatura, pulitura con alcool, lucidatura con cera da mobili, dopo due frizioni fatte l con tutte le regole, il teschio brillava come una fiammeggiante moneta nuova….”
Questa la descrizione data dal viaggiatore Roger Peyrefitte negli anni ’40 del Cimitero delle Fontanelle.
Il cimitero delle Fontanelle è in realtà una cava di tufo risalente al 1500 utilizzata per reperire materiale da costruzione per le abitazioni del proprietario, il Principe Carafa. Il nome deriverebbe, secondo la tradizione, da piccole uscite sorgentizie che in passato trasudavano dalla roccia porosa. Ad oggi il cimitero accoglie circa 40.000 resti di corpi umani, ma si dice che sotto l'attuale piano di calpestio vi siano compresse ossa per almeno quattro metri di profondità, ordinatamente disposte, all'epoca, da becchini specializzati. I resti sono tutti rigorosamente anonimi tranne due, ovvero quello del Conte Filippo Carafa e di Donna Margherita, oggi ancora visibile in una teca di vetro. Attorno quest’ultima, a causa del suo teschio con la bocca spalancata, è nata la leggenda che fosse morta a causa di uno gnocco andato di traverso.
Il cimitero in quanto tale viene risistemato nel 800 da padre Gaetano Barbati della chiesa di Mater Dei, fondatore dell’Opera Pia ed aperto al pubblico nel 1872.
Proprio perche qui i corpi sono tutti anonimi si sviluppò il culto delle anime pezzentelle, un ponte tra l'aldilà e la terra, un mezzo di comunicazione tra i mondi dei morti e i mondi dei vivi.
Entrando nella cava il devoto si segnava con la croce, il luogo era infatti di una sacralità assoluta, impermeato da quella umidità che non è naturale ma generata dal sudore delle fatiche delle anime del purgatorio e dunque emanazione dell’aldilà.
Tra le moltissime capuzzelle adottate, la più famosa è quella del “capitano”. La versione più nota è quella raccontata da Roberto De Simone, nel suo saggio “Novelle K 666. Fra Mozart e Napoli”. “…Un giovane camorrista, donnaiolo e spergiuro, aveva osato profanare il cimitero delle Fontanelle, ivi facendo l'amore con una ragazza. A un tratto sentì la voce del capitano che lo rimproverava ed egli, ridendosene, rispose di non aver paura di un morto. Alle nuove imprecazioni del capitano, il temerario giovane lo aveva sfidato a presentarsi di persona, giurando ironicamente di aspettarlo il giorno del suo matrimonio (e intanto giurando in cuor suo di non sposarsi mai). Però il giovane, dimentico del giuramento, dopo qualche tempo si sposò. Al banchetto di nozze si presentò tra gli invitati un personaggio vestito di nero che nessuno conosceva e che spiccava per la sua figura severa e taciturna. Alla fine del pranzo, invitato a dichiarare la sua identità, rispose di avere un dono per gli sposi, ma di volerlo mostrare solo a loro. Gli sposi lo ricevettero nella camera attigua, ma quando il giovane riconobbe il capitano fu solo questione di un attimo. Il capitano tese loro le mani e dal suo contatto infuocato gli sposi caddero morti all'istante…”
Il racconto, ovviamente di fantasia, in realtà si rifà ad una tradizione popolare, ovvero in passato, in questo cimitero, ed in particolare nella sala nota come “I Tribunali”, si svolgevano i riti di affiliazione dei giovani camorristi, l’iniziato, sottoposto a una sorta di prova di coraggio, doveva resistere da solo all’interno della cava per una intera notte.
Altro importante luogo di culto era la chiesa di Santa Maria del Purgatorio, eretta nel 1616, su un progetto di Giovanni Cola di Franco e di Giovan Giacomo Di Conforto, su commissione di diverse famiglie nobili napoletane con l'obiettivo di realizzare un luogo di sepoltura. La chiesa ha in realtà un “Sopra” e un “Sotto” sviluppati proprio con l’idea di realizzare un culto purgatoriale ed un culto per i vivi. La parte sottostante era il vero e proprio sancta sancturum, qui era presente un ossario da dove i fedeli “attingevano” per le capuzzelle.
La cosa curiosa è che nell’ossario c’era una vecchina con una bancarella che vendeva fiori e lumini, un’attività che poi passò al figlio almeno fino al terremoto dell’80. Il culto era diffusissimo, la gente veniva a Napoli dalla provincia, il giorno dei morti la coda arrivava a via Duomo, parliamo dunque di un culto davvero difficile da gestire per la Chiesa. Questo è stato il motivo principale del successivo divieto.
L’anima più potente del cimitero era Lucia.
Ci sono varie versioni riguardo la sua storia. Sembra si trattasse di Lucia D’Amore, figlia unica del principe di Ruffano Domenico D’Amore, data in sposa al marchese Giacomo Santomago nel 1789. Lucia non voleva sposarlo in quanto innamorata di un ragazzo del popolo, bellissimo, con il quale decise di scappare. Don Domenico li raggiunse e li uccise Lucia diventa la vittima del matrimonio infelice .
Quanti non riuscivano a sposarsi o a trovare marito, venivano da Lucia e una volta ottenuta la grazia le portavano l’anello di fidanzamento che veniva cucito sul suo cuscino. Ancora oggi il lunedì molte donne recitano curiose giaculatorie che linguisticamente hanno perso ogni senso, insomma una sorta di magia dello “scongiuro”.
Riportiamo una delle più utilizzate e comprensibili litanie:
“…Anime sante anime purganti/ Io sono sola e vuie siete tante/ Andate avanti al mio Signore/ e raccontateci tutti i miei dolori/ Prima che s’oscura questa santa giornata/ da dio voglio essere consolata/ Pietoso Dio col sangue Tuo redento/ a tutte le anime del Purgatorio salutamele a tutti i momenti/Eterno Riposo…”.
In realtà per la Chiesa solo i santi possono concedere ed intercedere presso Dio e dunque non le anime, per giunta costrette in Purgatorio. Nel 1969 il Tribunale Ecclesiastico proibisce queste manifestazione religiose
“…le manifestazioni di culto che in alcune chiese della nostra arcidiocesi si rivolgono dai fedeli a resti di ossa umane variamente sistemate. Considerato che quei resti mortali non sono identificabili come appartenenti a persone storicamente sconosciute di cui si possa provare la santità di vita nell'esercizio in grado eroico delle virtù soprannaturali (. .. ) dichiara che le manifestazioni di culto rivolte ai resti umani variamente inumati in alcune chiese della nostra arcidiocesi sono arbitrarie, superstiziose e pertanto inammissibili….”
Vengono messe delle lastre sugli altarini per evitare il contatto con i fedeli, ma in realtà le norme rimangono disattese, i fedeli rompono le protezioni e il culto prosegue fino al terremoto del 1980. L’Arcidiocesi dichiara pericolante la Chiesa del Purgatorio e la chiude. Questa la motivazione ufficiale della chiusura di un culto fortemente scomodo. Solo nel 1992 la chiesa viene riaperta come monumento e i fedeli dovevano e devono rispettare i tassativi divieti del culto.
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