“Ehi, Giò… te lo ricordi quel botolozzo che ronzava accanto a ca’ mia? Beh, senti questa! Hai presenti i magnum, quelli rossi che vendono in armeria? Proprio quelli lì! Allora sta a sentire… piglio un po’ di macinato e ce ne ficco dentro uno, poi chiamo il botolo e prima di allungargli la polpetta lo accendo… non puoi immaginarti la scena, cazzo… avevo quella testa di merda sparpagliata sul maglione, mi ma’ è andata fuori di cervello quando l’ha visto… cazzo, ma che botto! Guarda, me ne sono portati dietro un po’ di quei merdoni di magnum così se acchiappiamo un paio di quei cessi ti faccio vedere… cosa? No che non stiamo facendo una cazzata, e poi quassù chi vuoi che ci becchi! E anche se ci beccano che cazzo vuoi che ci facciano? Nessuno finisce alle gorine per qualche cane... non ci finisci per i cristiani figuriamoci per qualche cazzo di cane… Cosa? Non mi dirai che credi a certe stronzate! Ecco quello che sono, stronzate! Ora ti pare che una figa se ne sta tutta sola a Montepepe di guardia a un merdoso canile!
La Lupa di Montepepe! Ma famme el piacero, Giò! Anzi ti dirò di più… speriamo di trovarla ‘sta troia, così magari ci facciamo anche una scopata gratis!”

Giò e il suo amico simpatico accostarono poco prima del ponticello e i cani cominciarono ad abbaiare. Montepepe non era un vero monte, neanche per il cazzo… era più una sottospecie di colle incastrato fra Massa e Montignoso, abitato giusto nelle sue propaggini più basse, dove arrivava a sfiorare l’Aurelia… Montepepe era un cartoccio isolato di terra franosa e castagni malconci, era vuoto come un cesso e lo era sempre stato… fatta eccezione per il canile.
Giò e il suo amico simpatico scesero dalla loro twingo incrostandosi di fango e cominciando a trascinare il ferro e il fuoco che avevano portato per quel sabato sera speciale… era l’aperitivo, poi avrebbero fatto un salto a casa per una doccetta veloce e via di nuovo verso strepitose avventure a base di puttantour e discoteca... il buon vecchio sabato sera all’italiana.
Uno spacco di luna pallida e sbavata lanciava una luce sottile sui castagni e sul sentiero... i profili delle cucce in alto riportarono improvvisamente il ricordo di borghi sperduti, inghiottiti dal buio... sensazioni di un’era in cui l’elettricità era un progetto in embrione per gli dei delle scienze e la notte faceva ancora paura.
“Senti, te lo ripeto, non è che stiamo facendo una cazzata...”
L’amico simpatico di Giò non fu tanto lesto a rispondere, non come lo era stato pochi minuti fa in macchina; ci pensò su e a volte pensarci su è una buona cosa, l’unica che ti può tirare via da quel brutto ciglio su cui sei andato ad appollaiarti... da una parte una vita di merda, che puzza di merda e che, se sei un cazzone come il nostro Giò prima o poi ti presenterà il conto... dall’altra il conto, subito, salato e da pagare alla svelta, che ti piaccia o no...
Quando l’amico simpatico rispose fu come se avesse messo mano al portafoglio...
e no, non lo vide il profilo sbeccato del machete... non finché non fu troppo tardi.

Buia arrivò al Bonnie & Clyde che erano le due di notte e Dianablu era già sul muretto che rollava un cannone...
“Sei in anticipo”
Dianablu sollevò lo sguardo su di lei lasciando che quel suo sorriso strafottente gli incrinasse il viso da boss dell’asilo. Continuò le operazioni accelerando giusto un po’ i movimenti delle mani e, quando concluse, allungò l’opera a Buia.
“Lo sai che sono islamica per queste cose”
“Sai com’è... a volte le persone cambiano”
“Io no”
“Ci mancherebbe, Buia. A proposito, bella macchina”
“Già, è un regalo... non avevi detto che volevi una twingo?”
“Grazie, Buia, ma ho già abbastanza merda in ballo con la sbirraglia e non ho ‘sta gran voglia di allungare la lista... però puoi sentire gli altri, laggiù... magari riescono a piazzartela per qualche centinaio di euri ”
“Tentar non nuoce... dove hai detto che sono gli altri?”
“Dietro la standa... ci sono anche i cuccioli...”
“Davvero? Chi è la fortunata?”
“La Raya. Ne ha sfornati sei”
“Cazzo!”
Buia fece per allontanarsi ma Dianablu non aveva finito, non ancora:
“Ascolta, tipa, e non andarmi fuori di testa... ho visto un volantino dentro al Bonnie... e cazzo, non so se devo dirtelo, mi sa che la cosa non l’hai ancora digerita e non vorrei che ti facesse venire in mente una genialata delle tue... ma visto che tanto lo verresti a sapere comunque...”
“Taglia la merda, Diana, che volantino?”
“Ledma e i Cani Morti”
Una brutta luce attraversò gli occhi di Buia, occhi che si dilatarono appena, come le narici, mentre i pugni andavano a chiudersi scricchiolando.
“Quando?”
“Domani sera. Al Baraonda”

C’era tanto di quel sangue che perfino camminare era diventato un macello... i piedi sguisciavano via che era un piacere e lo spettacolo di Chip e Chop che leccavano il pavimento accucciati a quattro zampe era roba da voltastomaco con piroretta... Carnaio si sollevò per cercare un pezzo di lenzuolo pulito con cui pulirsi l’uccello; non che fosse un tipo schizzinoso, ma per la sua propaggine riproduttiva continuava ad avere un’ossessione maniacale...
“Qualcosa non va?”
Ledma si srotolò qualche metro di budella di dosso e abbracciò Carnaio da dietro.
“Ci siamo andati giù pesi, stavolta...”
“Già, puoi dirlo forte... mi sei piaciuto quando hai strappato la lingua alla biondina... cosa stava dicendo?”
“Oh, le solite cose... no-ti-prego, mia-figlia-qualcosa... boh?”
Non trovando un millimetro quadrato di lenzuolo intonso, Carnaio ne strizzò un lembo... un ruscelletto di sangue gli picchiettò sulle cosce.
“Sei preoccupato per domani?”
Carnaio continuò a ripulirsi la cappella, come se non avesse sentito.
“Sei preoccupato per lei?” Ledma prese a leccargli le spalle e il collo con indolenza... era sazia, gonfia, roba da una settimana di digiuno...
“Tu non la conosci, Ledma... non hai la più vaga idea di che cosa sia capace...”
“E’ solo una cagna, ecco che cos’è... non vedo di cosa preoccuparmi... ne ho visti un sacco come lei, tutti grossi e incazzosi ma una volta messi a cuccia uggiolano come i bastardi che sono... sacchi di pulci ambulanti, e la tua amica non è nemmeno una sanguepuro, nemmeno alla lontana...”
“Abbiamo avuto già a che fare con i sanguepuro e ci è andata di lusso... ma lei è un’altra cosa... non ha la loro spocchia, le loro segate per la testa... lei va al sodo... ed è pazza, pazza e allucinata come un Garibaldi in botta...”
Ledma scese dal letto scocciata e per poco non sguillò contro a un indaffaratissimo e slinguazzante Chop; gli rifilò un calcio in culo tale da piantarlo contro il muro.
“Ti dimentichi che siamo in quattro, noi... e che tu sei quello che sei!”
“E’ proprio questo il punto, Ledma... quello che sono”
Carnaio prese un profondo respiro.
“Lei non me lo perdonerà mai”.

“Aveva un bel cazzo. Aveva un bel cazzo e sapeva anche come usarlo. Ma questo è tutto”.
Buia e Dianablu erano seduti sul tettuccio della twingo di Giò e guardavano il mare che sciabordava contro gli scogli della colonia FIAT. Intorno a loro Johhny il Punk e tutti gli altri ciondolavano fumando joint e tracannando birraccia del Lidl, mentre la Raya, il pitbull Conan e i sei cuccioli si scatenavano in un super cicciammucchia.
Dianablu pescò una di quelle sigarette che gli erano costate il soprannome e se l’accese.
“Vuoi sapere come la vedo?” chiese.
“Non lo so, Diana. Voglio dire, se non volessi sapere la tua non starei qui a cazzeggiare con te... in fondo, sei mio amico, ekkekatz! Il parere di un amico non si butta mai al lozzo... ma credo proprio di aver già preso una decisione...”
“Beh, allora, neanche a parlarne... solo, lascia che ti dica lo stesso una cosa”.
Dianablu passò un braccio intorno alle spalle di Buia e la tirò a sé.
“Dacci su. Solo per stavolta. Bada bene, non ti sto chiedendo di chiudere con la vita del cazzo che fai, ci mancherebbe... ma stavolta dacci su. Me lo ricordo come ti ha ridotto quel finocchio, lo sa il Cristo se me lo ricordo... è troppo più figlio di puttana di te e quella zoccola che lo accompagna è una vera pervertita, da quel che ne so... l’hai detto tu stessa... lo stronzo aveva giusto un bel cazzo, niente di più... dimmelo tu, Buia... è sufficiente per farsi scannare?”
I cani dabbasso facevano un fracasso pazzesco e quasi s’inghiottirono le ultima parole di Dianablu... Buia si girò di scatto verso di loro e bastò un suo solo, bassissimo ringhio a chetarli...
“Non farti vedere al Baraonda domani sera. Né tu, né gli altri. Non fatelo”.

Ma guarda te come cazzo sei finita... ti ricordi, Buia, forse eri stata una bambina felice qualche volta... e avevi festeggiato compleanni, vestito bambole, scartato caramelle. Forse, avevi raccolto una strana foglia per strada ed eri corsa a casa per farla vedere a tuo babbo... forse avevi seguito il filo di pensieri che s’intrecciavano a immagini e diventavano sogni e frasi e pomeriggi di pallido sole sulla spiaggia, in autunno. E la vita è andata come è andata e il giorno che hai scoperto di avere a bordo il Passeggero la vita è implosa... e non smette, non smette più... E’ così che lo chiami, no? E’ quello il suo nome, l’unico modo che hai per riconoscerlo.
Il Passeggero, che ti porti a spasso nei pomeriggi d’estate col sole scoccione e tutto il resto, o nelle mattine d’inverno, quando la brina taglia i tettucci delle macchine in sagome irriconoscibili e spettrali... c’è questa palla di furia acquattata in penombra, fra stomaco e diaframma, una condanna scritta, una sentenza emessa... tu sei il Passeggero, lui è te... siete una cosa sola, avvinti alla rabbia di questa terra malata... nei secoli dei secoli, amen...
Oraziuccio spaccava i culi. Era la sua unica ragione di vita. Non faceva differenze di sorta, tutti i culi erano buoni per essere spaccati, anche se in fondo aveva un debole per i culi neri... erano sempre i più tosti da lavorare, quelli che ti davano più soddisfazione... quando gli capitava un culo nero tosto da sfondare tornava sempre a casa felice come una pasqua, viveva per quei momenti... non era mica razzista, checcazzo! Anzi, dal suo punto di vista provava un gran rispetto per gli afro... Oraziuccio faceva il buttafuori al Baraonda da cinque anni ormai e, anche se sua moglie diceva che cominciava a essere troppo vecchio per quel lavoro di merda, lui manco la stava a sentire... cosa doveva fare? Finire in cava o a rimestare la calcina in cantiere? Ci andasse lei, checcazzo, invece di stare a grattarsi la passera dalla mattina alla sera. Quando quella sera Oraziuccio vide la ragazza venire verso di lui con il machete in mano non riusciva a credere ai propri occhi... certo che ce n’erano di fulminati in circolazione!
“Scusa, tesoro – disse – ho proprio paura che tu non possa entrare con quello sbuzzagrilli”. La ragazza lo guardò. E non sapeva, c’era qualcosa in quegli occhi color foglia di castagno... di colpo Oraziuccio aveva otto anni ed era in campeggio... si era svegliato nel cuore della notte per scoprire di essere solo... suo padre doveva essere là fuori, da qualche parte, nel bosco... il bosco, era quello il guaio... si dimenava giusto oltre la tenda, il suo corpo di ombre che prendeva forma alla luce della luna... poi, il rumore di qualcosa di grosso che raspava e respirava, raspava e respirava, raspava e respirava... là fuori.
La ragazza entrò.
Oraziuccio lo avrebbero ritrovato così, raggomitolato in un cantuccio. E no, non ricordava l’ultima volta che si era pisciato addosso, prima di quella stasera.

Ledma e i Cani Morti sembravano una brutta imitazione dei Cramps e quella canzone sembrava proprio uno scopiazzamento bello e buono di Can your @#%$ do the dog?... Buia si piazzò in mezzo al pubblico e aspettò che finisse il pezzo.
Poi cacciò l’ululato.
Che non era un urlo, ma un ululato con tutti i crismi, chiunque lo capì al volo... chi si portava le mani alle orecchie, chi cominciava a tremare, chi a pisciarsi addosso come il povero Oraziuccio... eravamo tornati alla preistoria, al tempo prima del fuoco, alle zanne e agli artigli, alla notte senza fine...
Carnaio era là, sul palco, il basso in collo... indossava un paio di pantaloni a righe bianchi e rossi che erano un bijou e restò a guardare Buia senza sapere che cazzo fare... era bello quando correvano insieme nei boschi sopra San Carlo, era bella la luna in quelle sere e la terra, la terra batteva forte nelle orecchie... poi era arrivata Ledma e forse lui era stato davvero uno stronzo, forse... e, mentre guardava Buia ululare, pensava che in fondo aveva barattato quella rabbia, quella forza con qualcosa di eterno, sì... ma di freddo, alla fine. Freddo come il cemento o l’acciaio.
Chip e Chop si scollarono dalla chitarra e dalla batteria, fasciati di lattice, veloci come anguille... non volevano aspettare che la troia finisse di ululare... volevano farla ululare loro, ma per qualcosa... Buia li vide.
E chiamò il Passeggero.

Buia aveva battezzato il primo stadio Magilla Gorilla... questo perchè il suo corpo si alzava di una decina di centimetri, i muscoli le si annodavano come corde e una bella peluria ambrata la ricopriva da capo a piedi. In modalità Magilla aveva ancora gran parte del controllo sul Passeggero, ma nemmeno metà della sua potenza quando esplodeva nella fase finale... la famosissima Zanne e Artigli... per Chip e Chop, comunque, Magilla bastò... aprì la testa del primo neanche fosse un bel melone maturo, con una bella sbracciata dall’alto in basso... intercettò il secondo con la mano libera, lo agguantò per il collo, glielo accartocciò come una lattina vuota e lo spedì a sfracellarsi dentro i cessi...
“Ehi, cagna!”
Ledma era convinta di avere la situazione sotto controllo, Ledma era convinta di essere veloce, una delle più veloci di tutta la sua progenie... puntò la pistola verso Buia ma forse fu proprio quel “Ehi, cagna!” a fregarla... avesse sparato subito... invece non capì cos’era successo finché il machete non terminò il suo volo sfondandole lo sterno e il cuore, sollevandola da terra e infilzandola alla parete come una mosca... eppure era veloce, lei... era una delle più veloci...
“Ciao, Carnaio. E’ un po’ che non ci si vede”.

“Era questo che volevi, suonare brutte imitazioni di Can your @#%$ do the dog? insieme a un gruppo di cadaveri?”
Carnaio si sfilò il basso di dosso e, mentre scendeva, cominciò a cambiare in modalità Magilla... era impressionante come sempre, forse anche di più, i muscoli che cominciavano a lacerare i tessuti, gli occhi che si riempivano di sangue...
“Tu non capisci, Buia. Non hai mai capito”
“Era così dura da buttare giù... invecchiare, morire... potevi essere un alfa perfetto, avremmo potuto... avremmo potuto...” la rabbia strozzò le parole di Buia... il Passeggero cominciò ad allungarsi sulle unghie, nelle zanne.
“Cosa? Mettere su un branco? Perché poi? Questo mondo sta schiattando, Buia! Anzi, questo mondo è bello e schiattato da un pezzo... io ho solo fatto come tutti... ho scelto di stare con chi vince...”
“No, tu hai scelto di stare con chi è morto”

Non c’era partita, Buia lo capì subito. Già normalmente, in modalità Zanne e Artigli, Carnaio la sovrastava di mezzo metro ed era largo quasi il doppio... metteteci che aveva tutti i pregi dei cadaveri, tipo forza, velocità e rigenerazione e avrete un piccolo quadro della situazione... Carnaio era diventato la macchina perfetta, il lupo vampiro, la Bestia dell’Apocalisse... e Buia era solo una sanguemisto, più cagna che lupa. Finì a terra in un lampo, pisciando sangue dalla pancia e dal petto... Carnaio le piantò un ginocchio sotto al mento e le fracassò la mandibola, le scardinò un braccio, le selciò un orecchio... Buia provò, chiese al Passeggero di ricucire in fretta quelle ferite, ma il Passeggero era assoggettato alle regole della terra e quello era solo un maschio alfa che le stava dando una bella ripassata... non restava che piangere... o uggiolare... Carnaio la sollevò da terra e le fece ripulire il palco usandola quasi come una clava, per poi farle sfondare la cabina del dj...
“Non sai quanto mi costa farti questo, bimba... neanche te lo sogni”
Furono quelle parole ringhiate, articolate a malapena, a far scattare la molla... che si fottesse il Passeggero, che si fottesse la sua rabbia... era lei quella tradita... quella rimasta come una povera pezzente di guardia a un canile... e quello, quello era il suo territorio; non c’erano maschi alfa, c’era solo lei... c’era sempre stata solo lei... e poco importava che il suo territorio fosse un buco di culo qualsiasi fra Toscana e Liguria, poco importava... era sempre suo, e nessuna sanguisuga, nessuna zecca, per quanto grossa e travestita da lupo, lo avrebbe mai calpestato... era un insulto alla madre e ogni insulto alla madre ha un prezzo... in lacrime e sangue.
Buia caricò a testa bassa e Carnaio le squartò la schiena con un manrovescio... poco importava, poco importava... Buia allungò un artiglio giusto sotto lo scroto e con una sola, precisa torsione degli artigli, recise tutto il pacco dono... se lo sentì piombare in mano come una bistecca... fredda... e mentre Carnaio sgainava senza ritegno, mentre tutto il Baraonda cominciava a perdere consistenza davanti ai suoi occhi e lei passava dalla modalità Zanne e Artigli alla modalità Buia, la sua mano continuò a stringere quel magnifico cazzo...
“Che peccato” sussurrò.

Buia raggiunse il bancone del bar e afferrò un barilotto di grappa... lo stappò con l’aiuto dei denti e si concesse una lunga trincata... ‘fanculo i miei precetti morali, pensò, e decise che da lì in avanti avrebbe accettato ogni sacrosanto birrone o cannone che Dianablu le avesse offerto... Si diresse verso Carnaio, immobile e ansimante sul palco.
“Te la sei cercata, finocchio...”
“Fai quello che devi fare, bimba”
Buia rovesciò quel che restava della grappa su Carnaio, si guardò intorno, raccattò un mozzicone di sigaretta bello fumante e gli diede fuoco.
Poi si diresse verso Ledma. Estrasse a fatica il machete dal muro e, quando lo fece, la ragazza piombò giù come una bambola rotta... era ancora viva, per quanto vivo potesse essere un cadavere
“Ascoltami, zecca... mi sa che oggi è il tuo giorno fortunato... e ti va superlusso che non sono ‘sta grande fan dei Cramps, altrimenti...”
Gli occhi azzurri di Ledma lanciarono uno sguardo disperato attraverso una cortina di capelli insanguinati
“Non arrostirai, stai tranquilla... io non lo so come funziona con voi, se avete un governo, una cazzo di società segreta, dei capi... se è così vai dai tuoi e digli che il primo cadavere che ribecco a bazzicare da queste parti, tempo zero e si ritrova una molotov in culo... poi mi ci faccio un barbecue e lo spengo con una pisciata. Credi di aver capito bene?”
Ledma annuì due volte, rapidamente.
“Hai bisogno che te lo ripeta daccapo?”
Ledma negò due volte, rapidamente.
“Ora, visto che da quanto ho sentito a voi cadaveri la coda ricresce come alle ciortelle, non te la prenderai troppo per questo...”
E, con due colpi di machete, le staccò le braccia.


Ti ricordi, Buia? Quando hai smesso di essere una ragazza per essere quello che sei? Quando hai smesso di amare per proteggere? Quando di odiare per difendere? Questo è il tuo territorio, che se lo marchino in testa. E tue sono le valli, le rocce, le spiagge, i cani e tutte le bestie che strisciano e camminano, volano e nuotano. Questa è casa tua e in fondo ne è valsa la pena, dai. Tornerai in quel container che ti fa da dimora, tornerai per leccarti le ferite su quel vecchio sacco a pelo e magari domani farà bello... uscirai e l’odore di quest’ultima notte sarà poco più di un ricordo, sepolto dall’idea che per avere qualcosa di meglio, a volte devi ciucciarti tutto il peggio.
Ma la morte, Buia... quella no.


autore                                    
Tommaso de Stefanis