- Allora ciao Monia! Mi ha fatto molto piacere rivederti!
- Eh già Sara, sai cominciavo a pensare che non ce l’avremmo mai fatta, sei sempre super impegnata!
- Eh dai, donna di poca fede! Cerchiamo di non far passare così tanto tempo la prossima volta!
- Voglio sperarlo! Buon rientro e ci sentiamo nei prossimi giorni.
Sara e Monia si mandano un bacio proprio mentre le porte del treno si chiudono. Sara si avvia nel vagone alla sua sinistra. Il treno è un regionale che va da Ancona a Milano ed è composto da vagoni non suddivisi in scompartimenti, ma con gli spazi aperti. Il vagone, in coda al treno, è praticamente vuoto. Sara vede solo un ragazzo con un grosso zaino e gli occhialini, un uomo molto elegante con un cappotto color cammello e, al lato opposto rispetto a dove è salita lei, un uomo corpulento si è appisolato sul sedile che sembra troppo piccolo per lui.
Sara si siede vicina ad un finestrino più o meno a metà del vagone in modo da non avere nessuno né davanti né dietro. Si mette comoda e prende il libro che le terrà compagnia per quei cinquanta minuti che separano Forlì da Bologna. Sono le 19.22 di un freddo sabato pomeriggio di novembre. Fuori è buio e sembra ancora più buio rispetto alle luci al neon del vagone. Sara si appoggia pigramente allo schienale, ma, nel momento in cui apre il suo libro, si spengono le luci del vagone che sprofonda immediatamente in una chiazza di buio quasi liquido. Sara ci mette qualche secondo ad abituare gli occhi all’oscurità e sorride tra sé quando si accorge che la prima cosa che fa è controllare che nessuno dei passeggeri approfitti del buio per avvicinarsi.
In fondo è rilassante stare così, comodamente seduti nel buio, e guardare fuori dal finestrino la piatta campagna emiliano romagnola che scorre sempre uguale a sé stessa. Basta veramente poco per rendere affascinante un paesaggio così. Per esempio osservarlo da un treno che sfreccia buio nella notte. Un brivido di divertita paura attraversa la schiena di Sara che si gode le luci di case e casali che illuminano a tratti la campagna. E improvvisamente le viene un’idea. Sente un rumore provenire dal fondo del vagone, ma non ci fa caso perché non vuole distrarsi. Ha appena avuto l’ispirazione per l’ennesimo racconto horror. Tra l’altro a breve scade un concorso al quale voleva partecipare. Sì sì sì, l’idea è ottima. Qualcosa che riguarda una leggenda legata ad un treno fantasma che viaggia sempre a luci spente perché gli unici passeggeri che trasporta sono non-morti. Ogni tanto, in prossimità dei centri abitati, le luci si accendono per frazioni di secondo e chiunque abbia la sfortuna di incrociare lo sguardo di uno dei passeggeri muore di terrore. Sara si immagina questa leggenda che viene tramandata oralmente di famiglia in famiglia, nelle notti d’inverno, davanti al camino e sta cominciando a godersi la situazione e a sviluppare quell’idea quando ritorna la luce. Un po’ le dispiace. Si stiracchia sul sedile, riflesso incondizionato da simil risveglio e si guarda in giro. Non vede più l’uomo corpulento, anche se il suo bagaglio è ancora lì. Boh, sarà andato in bagno approfittando del ritorno della luce.
L’uomo con il cappotto color cammello sta giocando a scacchi da solo con una piccola scacchiera magnetica che gira verso di sé a seconda del turno di gioco, mentre il ragazzo con lo zaino sta smaneggiando il telefonino. A Sara viene in mente che deve subito comunicare a Giorgio la bellissima idea che ha avuto. Si scambiano un paio di sms mentre il treno si ferma e riparte da Faenza. Non appena il treno si stacca dal marciapiede della stazione, le luci si spengono nuovamente, proprio mentre a Sara arriva un sms di Giorgio che le dice di stare attenta ai vampiri.
Nonostante la sua passione per le alate creature della notte, la bizzarra situazione in cui si trova e l’idea del treno dannato fanno sentire a Sara una vaga inquietudine che lei scaccia subito, riappoggiandosi allo schienale e curiosando nuovamente tra le lucette accese nella campagna.
Si lascia cullare dal rumore monotono del treno e degli scacchi magnetici che l’uomo sposta in modo costante e le sue palpebre si fanno pesanti. Sara si adagia in un dormiveglia ricco di immagini suggestive del treno fantasma e di altri possibili sviluppi per il suo racconto.
Improvvisamente, un tonfo sordo che proviene da qualche metro dietro di lei, la strappa al dormiveglia. Il vagone è ancora al buio. Il treno è fermo alla stazione di Castelbolognese. Si rimette lentamente in moto e le luci si riaccendono per qualche secondo per poi spegnersi nuovamente.
Sara sente che c’è qualcosa di strano. Poi si dà della scema per essersi lasciata suggestionare dalla situazione. Ma non riesce a calmare i battiti del suo cuore. Ecco cosa c’è di strano. Non si sente più il rumore degli scacchi. In realtà non si sente più nessun rumore. Sara intravede il ragazzo con lo zaino, seduto immobile, forse addormentato, e poi si gira lentamente. L’uomo con il cappotto non c’è più. Ma la sua borsa e la scacchiera sono ancora lì sul sedile. Così come la valigia dell’uomo corpulento, che non si è più visto.
Sara cerca di scacciare quel senso di ansia che le sta salendo e si concentra nuovamente sul paesaggio all’esterno. Prova a chiamare Giorgio che però ha il telefono occupato e poi si dice che tutto ciò è una sciocchezza. Allora, mentre guarda fuori, ripensa al pomeriggio passato con Monia e a quel magnifico cappottino rosa che ha provato. Lei che si prova qualcosa di rosa! Sta proprio invecchiando…Non c’è niente da fare. Per quanto cerchi di pensare a qualcos’altro, non riesce a rallentare il suo cuore. Stringendosi nel cappotto, Sara cerca di sorridersi specchiandosi nel finestrino. Si calma per qualche secondo, ma un rumore attira la sua attenzione. Si gira giusto in tempo per vedere la testa del ragazzo con lo zaino che scivola dallo schienale e poi sparisce dalla sua vista, come se fosse stato tirato verso il basso, sul pavimento. Ma non c’è nessuno.
Sara vorrebbe alzarsi, ma ora è veramente paralizzata dal terrore. Riprova a chiamare Giorgio, ma si accorge che non c’è campo per il telefonino. Nel frattempo il treno sta rallentando. Sta arrivando nella stazione di Imola. Nel momento in cui Sara vede il marciapiede scatta in piedi e si butta verso le porte, senza guardare da nessuna parte. Ma il treno non solo non si ferma; le porte sono bloccate e le luci si accendono solo per qualche secondo e si rispengono. Anche il vagone accanto è immerso nell’oscurità e comunque Sara non ricorda di aver visto altri passeggeri quando è salita. Il treno riacquista poi una velocità moderata. Sara è appoggiata con la fronte ormai madida di paura alle porte di uscita e non ha il coraggio di girarsi. Tanto più che ha sentito un rumore dietro di sé. Un rumore e un respiro pesante. Poi si accorge che il respiro è il suo e, cercando di dominare il panico, sente che piano piano torna ad un respiro normale. Con quella strana logica che a volte arriva proprio nei momenti in cui si è più atterriti, Sara si rende conto che non è proprio una cosa intelligente dare la schiena all’ignoto e così, appellandosi ad un propizio scetticismo che le faccia pensare che “no, non è possibile”, si gira, molto lentamente, verso il vagone. Buio. Vuoto. Nessun segno di niente. Scenario che forse è peggiore di un incubo dove perlomeno vedi di cosa devi aver paura. Anche il ragazzo ora è sparito. E’ rimasto solo il suo zaino. Una risatina nervosa sale alle labbra di Sara mentre pensa che si sono dati tutti un appuntamento in bagno. Nonostante le sue gambe le sembrino due pezzi di piombo, si rende conto che non riesce a stare in piedi e che sarebbe meglio sedersi. Mentre si avvia, sente sotto la suola degli anfibi qualcosa di appiccicoso, come se qualcuno avesse rovesciato dello sciroppo. Sceglie un posto sempre vicino al finestrino, ma questa volta anche vicino all’uscita. In fondo manca veramente poco a Bologna e da quel posto può ben tenere d’occhio il resto del vagone. Il cellulare continua a non avere campo. Stramaledettissima e inutile telefonia mobile! Si siede. Si stringe nel cappotto. Ormai non ha più nessuna intenzione di nascondere a sé stessa che ha una paura fottuta. Per un momento guarda fuori e le sembra che addirittura le luci della campagna siano più fioche. All’improvviso, con la coda dell’occhio le sembra di vedere un movimento in fondo al vagone. Ma è un’ombra velocissima, già sparita quando lei si gira a guardare. In realtà è tutto un gioco di luci ed ombre creato dai riflessi sui finestrini. Qualcosa di suggestivo che in un’altra situazione avrebbe conquistato lo stupore di Sara, ma che ora non fa altro che accrescere il suo panico.
Senza accorgersene e con le difese ridotte a zero, Sara sente che qualcosa di caldo le bagna il viso. Sta piangendo. In silenzio. Ma non riesce a trattenere le lacrime di terrore che le sgorgano dagli occhi. Senza singhiozzi. Puro panico. Chiude gli occhi per un attimo e butta la testa all’indietro per deglutire il groppo che ha in gola e sente qualcos’altro che sembra piovere dall’alto e bagnarle le guance confondendosi con le lacrime. Si asciuga le guance con la mano e sente qualcosa di appiccicoso sotto le dita. Avvicina le dita agli occhi e vede che i suoi polpastrelli sono macchiati di qualcosa di scuro. Lo annusa e sente un aroma dolciastro che al momento non riconosce. Il treno frena bruscamente e poi riaccelera. Sara sussulta socchiudendo gli occhi e quando li riapre davanti a lei penzola qualcosa dall’alto. Sara mette a fuoco e mentre la sua mente rifiuta di capire i suoi occhi le dicono chiaramente che quello è un braccio, presumibilmente ancora attaccato ad un corpo. Deglutendo l’orrore che ormai si è impossessato di ogni sua fibra, Sara alza gli occhi verso l’alto e vede ciò che non avrebbe voluto. Sulla retina per i bagagli, proprio sopra la sua testa, c’è il corpo senza vita del ragazzo con lo zaino. Il cadavere è a testa in giù, quindi i suoi occhi vitrei sembrano proprio guardare in faccia Sara. Anzi no. Guardando meglio, Sara si accorge che il corpo è a pancia in su, ma il collo è girato di centottanta gradi e c’è uno squarcio profondissimo sulla gola che viene illuminato a tratti dai lampioni lungo i binari, come in un orribile gioco stroboscopico. Dallo squarcio cola qualcosa lungo il braccio e Sara non ci mette molto a capire che quello è sangue. La bocca del ragazzo è un ghigno spaventoso, come un urlo bloccato da una mano schiacciata sulle labbra. Per un attimo sembra tutto completamente irreale. Il treno continua la sua corsa nel buio mentre Sara è terrorizzata, immobile. E non c’è nessuno. Nessuno. Le porte sono ancora assolutamente bloccate quando Sara si alza e corre da una parte all’altra del vagone, come impazzita. Scivola più volte su quella specie di sciroppo e poi cade a faccia in giù proprio sulla chiazza e il suo naso riconosce il sangue. Merda, c’è sangue ovunque. Il treno sembra rallentare e, pensando di essere in prossimità della stazione di Bologna, Sara si alza e si avvicina ai finestrini. Comincia a battere i pugni contro i vetri sperando che, grazie alle luci sui binari, la vedano e arrivino a salvarla. Appare il primo cartello di Bologna e si accendono le luci nel vagone. Oh, grazie al cielo sono in salvo. Ma le luci si spengono subito e il treno accelera e attraversa la stazione di Bologna velocissimo e riprende la sua corsa. Sara corre di nuovo verso la porta di passaggio verso l’altro vagone, ma è buio anche lì e l’unica cosa che riesce a vedere sono solo sagome immobili. Troppo immobili. E le luci che arrivano a sprazzi dall’esterno le mostrano un rigagnolo scuro che passa sotto le porte dell’altro vagone.
Sara si gira e con la schiena appoggiata alle porte irrimediabilmente chiuse, si lascia scivolare a terra. Non riesce neanche più a piangere. E come succede quando si sa di essere spacciati, non ha neanche più paura, ma desidera solo che tutto finisca presto. Il braccio del ragazzo morto penzola e sembra giocare alle ombre cinesi sulle pareti del treno. Sara abbassa la testa e vede che sta ancora stringendo il cellulare tra le mani. Ma non c’è campo. In tutto quello spazio aperto, accidenti agli orti e alle fattorie e ai pascoli, non c’è neanche una tacca per telefonare e salvarsi il culo da un treno pieno carico di vampiri! Sara sente un rumore che arriva dal fondo del vagone, dalla parte opposta rispetto a dove si trova lei e vede qualcosa che si muove. Sembrano due sagome scure, informi. Sono lente, lentissime e sembrano scivolare più che camminare. Ma poi li guarda bene e le sembra di vedere un cane, no, forse un lupo e un uomo. Ma poi si deve ricredere perché le sembrano due creature alate. Fuori dai finestrini appare il primo cartello che segnala l’avvicinarsi a Modena. Sara non si ricorda più molto bene, ma com’è che diceva la leggenda? Ah sì, che in prossimità delle stazioni il treno si illuminava per qualche secondo e chi aveva la sfortuna di incrociare lo sguardo di uno dei passeggeri moriva di terrore. Sara stringe a sé le ginocchia, senza staccare gli occhi dal finestrino, mentre sente i passi che si avvicinano. Il treno rallenta. Sara sa che basta che lei resista senza alzare gli occhi per i pochi secondi in cui le luci restano accese per…per cosa? Per restare viva fino alla prossima stazione? E poi? E chi le dice che non la ucciderebbero comunque al buio? Le luci si accendono. Lei guarda davanti a sé senza alzare la testa. Da seduta vede i piedi, due paia di piedi calzati in scarpe da uomo. Non riesce a resistere. Una forza misteriosa la spinge ad alzare la testa. Uno dei due ha larghi pantaloni da lavoro blu e l’altro ha un paio di eleganti pantaloni grigi dalla linea impeccabile. Ma quanto durano queste luci cavoli! I pantaloni grigi sono chiazzati di rosso scuro. E poi Sara vede il cappotto color cammello di uno e la stazza enorme dell’altro che le fa ombra sotto ai neon. Poi con orrore vede le ginocchia di entrambi che si piegano, per abbassarsi, ma lei sa, sì lo sa, che non deve vederli in faccia perché la leggenda diceva così. Sara chiude gli occhi e apre la bocca e un urlo atterrito spacca per un attimo l’irrealtà, ma subito una mano pesantissima le schiaccia le labbra e le ricaccia l’urlo in gola. Un odore nauseabondo le colpisce le narici mentre sente qualcosa di molto somigliante alle unghie che le fa pressione sulle palpebre. Non ce la fa più. Riapre gli occhi e incrocia lo sguardo dell’uomo con il cappotto color cammello. Occhi dal colore indecifrabile che agganciano i suoi e la penetrano e li sente nella gola e poi nello stomaco e poi nella pancia e sente calore che parte da lì e mentre brucia nelle viscere sente i due canini appuntiti dell’uomo che violenti e senza esitazione le recidono la giugulare con un colpo netto che le sembra di sentire rimbombare nel silenzio rarefatto del vagone, mentre il gigante le torce il collo. Le luci si spengono di nuovo e il treno riaccelera. Sul display del telefonino scivolato nel sangue lampeggia la chiamata di Giorgio.


autrice                                    
Sara Pasquino