Io e te.
Strette. Ti sentivo contro. Ti sentivo addosso.
L’odore della tua pelle nelle narici. A fondo. Sempre più dentro.
Un bisturi ficcato nella carne.
Questo l’effetto che mi facevi.
Il gelo.
Eravamo nel cortile. Di notte. Al buio. Praticamente svestite.
Canottiera e mutandine.
Entrambe bianche.
Cotone sottile che faceva trasparire ogni minimo sussulto e ogni singola sensazione corporea.
Il tuo viso. Il tuo splendido volto. Eri bella anche così.
Lo avevo promesso. Lo avevo giurato. Non mi sarei mai dimenticata di te.
Mai.
Per me eri fondamentale.
Anche ora.
Anche questa notte.
Il sudore ti faceva restare attaccati alla fronte ciocche di capelli neri.
Neri come i nostri giorni.
Come il nostro passato.
Come noi.
Piccoli brufoletti spuntavano sul pallore della tua candida pelle.
Eravamo state sempre diverse.
La nostra amicizia è sempre andata al di là degli schemi
Eri splendida. Anche ora.
Eri rimasta bella nonostante tutto.
Solo uno stupido non poteva rendersi conto.
Solo uno stupido avrebbe dato peso agli sfregi che ricoprivano la tua pelle.
La tua mano sul mio collo.
Erano gesti di estremo amore. Tenevo il braccio intorno alla tua vita, per paura che un alito di vento ti portasse via da me.

“Non soffiare… potrebbe svanire tutto nelle tenebre”

Di nuovo. Ancora una volta.

Avevo te. Il bisogno di sentirti accanto.

Ha iniziato a piovere. Proprio come quella notte.
Acqua ci cadeva addosso rendendo trasparente i nostri indumenti intimi.
Fredde gocce ad inzuppare i nostri corpi.
A lavare le nostre impure anime.

Io e te. Nella notte. Sole.

Ho ancora nella mente le immagini.

La macchia di sangue intorno alla testa ti incoronava regina di bellezza e dolore.
Quella notte.
Ricordo i miei occhi.
Sgranati.
L’angoscia. Ti vedevo stesa. Sul cemento.
Per un sfottuto gioco.
Ci eravamo stese una accanto all’altra.
Poi tu eri voluta restare. Lì. Così.
Dio piangeva.
Acqua a lavare la maschera di sangue che indossavi.
Acqua sporca colava fino alle tempie per scivolare tra i capelli, per dileguarsi nelle orecchie.

Ma era passato. Solo le ferite tornavano a ricordarcelo.
Ti ho sentito sospirare.
Hai avuto un sussulto e sei sobbalzata ancora più vicino a me.
Ci siamo guardate.
Mi hai sfiorato le labbra. Hai detto “ti amo”.

Abbiamo sempre pensato che non esiste il voler bene. E’ sintomo di ipocrisia.
Così, ci siamo sempre dette ti amo.

Mi hai stretta. Forte. Per quanto il tuo esile corpo ti consentiva.
Hai passato la lingua sulle mie labbra.
Poi hai riso.

Mi hai preso una mano. Le nostre cosce magre e lunghe si erano arrossate per il freddo e la pioggia.
Siamo andate verso il portone.
Era notte. Il cortile era vuoto.

Abbiamo aspettato nell’atrio che arrivasse l’ascensore.
A piedi nudi. Le dita sporche di fango e terra.
Le unghie nere. Avevamo ballato gridando.

Siamo arrivate all’appartamento.
Mi hai tirata per prendermi contro di te.

I nostri piccoli seni erano attaccati, così le ossa del bacino.
“Siamo tutt’uno non vedi?”
Mi hai detto.
Io tacevo. Poi ti ho sorriso.

Sei andata in camera, ti sei buttata a sedere sul letto e hai preso il rossetto.
Viola.
Hai iniziato a passarlo sulle labbra. Le hai ricoperte di colore.
Poi hai ispessito il contorno, sempre di più.
Hai iniziato a disegnare. A ricoprire le cicatrici di colore. Avevi lunghi segni ad interrompere l’armonia delle tue forme.

“Sono bella così?”

“Rispondimi..”

“Sono bella così?”


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di Angela Buccella