[ Torna a pagina: 3 » ]     Il piano era approntato: per combattere e tentare di sconfiggere il nemico, bisogna conoscerlo bene, nel mio caso voleva dire: documentarsi! Una grossa mano me la diede un amico del mio bisnonno che, nei tempi passati aveva insegnato Latino e Greco al Liceo classico di Sessa Aurunca e che a detta del vecchio aveva la biblioteca più fornita forse di tutta la Regione. Grazie anche all’alto potere negoziale del vino di mio nonno Gaetano il vecchio professore, peraltro simpaticissimo mi prestò un grosso volume “MITI E LEGGENDE DEL PROFONDO SUD”. Passarono almeno quindici giorni dalla notte in cui mi fu strappato l’amuleto e la janara, quasi a volermi far dubitare della sua esistenza non si fece più né vedere e né sentire. Non ci sarei cascato e approfittando delle vacanze Natalizie mi dedicai alla lettura del “librone” da cui, tra Licantropi – Folletti – Monacielli e Streghe varie trassi degli spunti importanti e tra i tanti: 1 - Come individuarla, 2 – Come tenerla lontana e 3 – Come farla ritornare normale
Per il “come individuarla” il testo indicava che ciò e attualizzabile la notte di Natale; infatti,dopo la Santa Messa, se ad uscire per ultima dalla Chiesa è una donna è lei la janara ed aggiungeva che bisognava sincerarsi che dentro la chiesa non doveva esserci più nessuno. Se come individuarla era di una semplicità enorme, la stessa semplicità non valeva, ovviamente, per il “come farla ritornare normale”: bisognava catturarla, immobilizzarla, recarsi alla più vicina chiesa,consegnarla al Sacerdote che doveva segnarla per cinque volte con l’Acqua Santa al di sotto del Santo Crocifisso, recitando una preghiera in Latino che veniva indicata nel testo stesso. Per quanto riguarda il “come tenerla lontano” mi aveva quasi detto tutto il mio vecchio bisnonno, tranne che bisognava disporre i sacchetti di sabbia nei due angoli della stanza che guardano verso sud; la janara, non conoscendo la casa, perde tempo ad individuare i sacchetti; se a questo ci aggiungiamo che deve anche contarli il gioco è fatto ed il giorno arriva mentre lei sta ancora contando.
Ora potevo iniziare la “caccia”. Ma, fu lei che mi trovò per prima
Era una notte di plenilunio, la luna era così grande e così luminosa che potevi vedere distintamente tutto ciò che c’era intorno alla nostra fattoria ed oltre, l’indomani sarebbe stato giorno di vigilia, non stavo più nella pelle e potete immaginare perché: finalmente avrei scoperto l’identità della strega. Per la gioia di nonna e per il mio diretto tornaconto mi offrii di servire Messa, così mi sarei potuto trattenere oltre il lecito sulle balconate al di sopra della sagrestia, Don Vincenzo il parroco, dal canto suo completò l’opera offrendosi di riaccompagnarmi a funzione finita. Controllai se l’amuleto fosse al suo posto: c’era, controllai i due angoli che erano disposti verso Caserta, i sacchetti di sabbia erano là. Mi misi nel letto, tranquillo e forte dei miei dispositivi antijanara mi addormentai, mentre analizzavo mentalmente tutti i dettagli dell’azione…
Mi svegliai perché avevo la netta sensazione di non riuscire ad espandere completamente il torace, sentivo come un peso tra lo stomaco ed il cuore… Cominciavo a respirare a fatica; un suono basso, sibilante, di gola, sembrava composto di lettere messe insieme per caso. I fianchi stretti in una morsa, non respiravo quasi più, tentai di concentrare lo sguardo sulla nera ombra che mi sovrastava, c’era troppo buio e qualcosa non aveva funzionato…Stavo per morire, sprofondando piano, piano nello stato di “indebolimento” sensoriale che precede l’incoscienza …
“OGGI E’ SABATO” dissi in un bisbiglio e la morsa cominciò seppure di poco ad allentarsi,
“OGGI E’ SABATO” con quel poco di fiato che mi era rimasto in gola…
“OGGI E’ SABATO” adesso era più forte la mia voce e molto più debole il senso d' oppressione…
Un verso ancora più acuto riecheggiò nella stanza e … Ritornai alla vita, libero di respirare a pieni polmoni.
Sudato fino all’inverosimile mi toccai il petto, l’amuleto era lì, scesi dal letto e … i due sacchetti erano stati svuotati del contenuto, la sabbia era perfettamente impilata a guisa di piramide, era stata veloce nel contare i sacchetti, ma soprattutto nel trovare i due angoli esposti a Sud. Ora questo voleva dire che: o il libro era un “ripieno per gonzi” oppure mi trovavo di fronte ad una janara dotata di un potere spaventoso. Ormai non m'importava più di nulla, tanto è che ero vivo e che domani avrei iniziato l’opera di scoperta e redenzione della bestia immonda.
Rimasi sveglio, con la luce accesa fino al sorgere del sole, poi il mio livello d' attenzione mollò gli ormeggi e dormii fino ad ora di pranzo.
La giornata di vigilia trascorse in un'interminabile attesa, carica di adrenalina ed ogni tanto sentivo correre un brivido lungo la schiena.
Dopo il pantagruelico cenone, trascorremmo le ore che ci separavano dalla Messa di mezzanotte cimentandoci nella classica tombolata Natalizia, più mesta e poco allegra, per gli spiacevoli accadimenti di qualche mese prima. Non facevo altro che guardare la pendola che avevo di fronte, stentavo a tenere dentro tutta la carica nervosa che si manifestava sotto forma di un'ipercinesia che mio nonno Gaetano di tanto in tanto spezzava con un’occhiataccia.
Arrivò il tanto atteso momento, ci avviammo verso la Chiesa, dove appena arrivati, diedi uno strattone per liberarmi dalla mano di mia nonna e, blaterando qualcosa di simile ad un “Ci vediamo dopo”: attraversai di gran lena la navata per raggiungere la sacrestia e vestire i panni di chierichetto. La Funzione sembrò durare un’eternità, ero come un centometrista alla finale olimpionica, nell' attesa dello sparo dello starter; cosicché appena Don Vincenzo pronunciò : “La messa è finita, andate in Pace”, già avevo guadagnato la via della sacrestia. Dovevo svestire i panni del chierichetto prima che gli altri mi vedessero salire le scale per raggiungere la balconata che si affaccia sulla navata centrale. Così messo, avrei potuto controllare l’afflusso di gente verso l’uscita e scoprire la janara. La moltitudine di persone che aveva partecipato alla funzione, si spostava molto lentamente verso il portone principale; era un turbine di sorrisi, abbracci e strette di mano, tutti in preda a quella sorta d' ipocrisia collettiva che ci prende nei giorni di festa. Non dovevo distrarmi, ero ad un passo dalla scoperta che avrebbe fatto virare il mio grado di serenità verso la positività. Per ultimo uscì Mario il simpatico sacrestano diversamente abile… Secondo la teoria degli autori del testo che avevo consultato ciò voleva significare che non c’erano “mostri” nella nostra piccola comunità… E Sebastiano? E Benito? Chi li aveva uccisi? Ma naturalmente nessuno, si era trattato di due casi di morte legata a cause naturali come si leggeva molto spesso sui quotidiani. Scesi le scale per tornarmene alla sacrestia, quasi fossi deluso dal fatto che non ci fosse nessuna crudele creatura, figlia del demonio, che infestasse il nostro paese. La voce di Don Vincenzo che mi stava aspettando fuori nel Sagrato per riaccompagnarmi a casa, mi giunse familiare. Eppure.
Un improvviso rumore di passi frettolosi mi fece voltare, qualcuno stava uscendo dalla Chiesa, la paura e la sorpresa mi smorzarono un urlo in gola : ad uscire dalla Chiesa vuota erano due donne ed insieme, all'unisono varcarono la soglia del portone, erano le janare,

erano MIA NONNA MARIA E LA ZIA BRIGIDA!

di N. Pagano