[ « indietro ]     10 Gennaio 1290

La famiglia Malory era una tra le più facoltose della Cornovaglia. Audrey Malory era l'ultimogenito di quattro figli maschi, e perciò destinato al convento. Dall'età di cinque anni venne avviato agli studi ecclesiastici. Quando venne a farmi da precettore, aveva già quasi vent'anni di clausura negli occhi.
Immaginavo non avesse mai conosciuto l'amore, se non per il suo Dio, ma mi sbagliavo... oh, se mi sbagliavo.
Dopo quella notte il mio maestro continuò a comportarsi come se nulla fosse accaduto.
Dopo quella notte cominciai a domandarmi quello che, per non so quale ragione, non mi ero chiesta fin da subito.
Un turbinio di domande affollavano la mia mente. Perché il mio maestro si trovava nella foresta invasa dai lupi in una notte così fredda? Perché era così spossato e pallido? Ma soprattutto come si era procurato quelle ferite? Quel sangue che, per la prima volta, ingenuamente, era stato il nutrimento di una notte?
Ricordo che inizialmente avevo pensato a qualche animale feroce, ai rovi, a qualsiasi cosa la mia mente avesse potuto dare un'immagine.
Il mio maestro però mi nascondeva qualcosa... Meglio: il mio maestro conosceva qualcosa, ed era sicuro che io non avrei capito.
A chi chiedeva perdono con quella preghiera? Davvero a Dio? E a me, che tutte le volte, con gli occhi supplicava "Perdonatemi"?
Dopo quella volta, comunque, le letture che mi affidò il maestro, divennero sempre più cupe. Le sue scelte cadevano sui bestiari, sui trattati dell'Apocalisse di Giovanni, sui miracoli di resurrezione, sulla Genesi e il suo fratricidio. Finché mi diede fra le mani l'Eretico. Non lo aprii, lo conoscevo già bene.
"Maestro, chi fu costui?".
Alla domanda rimase impassibile e mi rispose pazientemente.
"Un uomo come tanti, che non si rassegnava ad una morte senza certezze".
"Egli fu condannato al rogo, maestro".
"L'Eretico non fu accorto, signora".
"Come, maestro?" ero rimasta stupita.
Mi spiegò poi che l'ossessione della morte colpisce gli uomini soli, che usano il loro sapere per cercare di sfuggirle.
L'Eretico, immerso nei suoi studi, aveva intrapreso quella via che l'avrebbe portato alla salvezza. Molti dei confratelli, che lo conoscevano bene, bisbigliavano fra loro che era un uomo pio, colmo di dedizione al suo Signore. Pregava sempre, e quando non lo faceva insegnava ai più giovani l'arte della miniatura. Era il modello per raggiungere la santità. Quel che non sapevano era che l'Eretico mirava a ben più del perdono dopo la morte. Egli cercava la vita eterna sulla terra.
Finì con lo scoprire qualcosa che accennava insistentemente e morbosamente nel suo trattato teologico. Continuava a sostenere la splendida e ammaliante natura del demonio. Molti dei suoi contemporanei condividevano la sua teoria: l'essenza demoniaca, che si manifestava per eccellenza nella donna, era tanto affascinante da poter trasportare alla perdizione.
Cambiarono idea quando, una notte, lo videro zoppicare nel chiostro illuminato dalla luna, pallido come se la vita l'avesse abbandonato, sporco di sangue su tutto il corpo, mentre teneva fra le mani il cadavere di un infante, lacerato e grondante dello stesso sangue di cui l'Eretico sembrava cibarsi.
Dissero che il demonio si era impossessato di lui e gli si avvicinarono con le croci levate.
A riprova di ciò che pensavano, l'Eretico si mise ad urlare e a piangere. Riuscirono ad immobilizzarlo, ma lui continuava a gridare che erano pazzi, che quel bambino, uscito dal ventre di una puttana, era maledetto da Dio che non tollerava le unioni sacrileghe tra un uomo e una femmina peccatrice. Strillava che era giusto che l'infante, abbandonato dal Signore, morisse per donare nuova vita. Quando lo legarono ad una colonna iniziò a maledirli tutti, urlò che erano eretici, che ostacolavano il volere di Dio, ed essi in risposta agli scongiuri si difendevano con il segno della croce.
Il processo fu breve e senza tortura. Ormai tutti avevano troppa pauradi quell'essere.
Si tramandò che l'Eretico morì prima di giungere al patibolo, sconfitto dalla luce di Dio.
Ricordo bene la mia stupida reazione al racconto del mio maestro.
"Dunque era davvero un eretico, maestro?"
Audrey Malory sorrise, stanco.

11 Gennaio 1290

Ricordare mi fa male. Ogni volta che prendo esitante la penna e la intingo nel calamaio, comincio a tremare. Tenterò ugualmente di costringere la mia mano a proseguire, sempre più in profondità, su queste pagine che sembrano la mia anima - se mai me ne resta una -, con queste parole che sembrano lame, in questo atto che è un suicidio.
"Gli uomini non hanno paura solo della morte, l'hanno anche, e soprattutto, di morire".
Questo mi disse un giorno il mio maestro.
Gli chiesi cosa intendesse con quella frase. Alzò gli occhi per pensare a come spiegarmi, poi, seguendo i suoi pensieri che si erano come prolungati al suo dito indice, puntò a uno scaffale e si mise a sfogliare i Dialogi di Gregorio Magno. Mi disse di leggere dove indicava, e io recitai: "Superna enim pietas ex magna misericordiae suae largitate disponit, ut nonnulli etiam post exitum repente ad corpus redeant, et tormenta inferi, quae audita non crediderant, saltem visa pertinescant". [Infatti la pietà superna nella generosità della sua misericordia dispone che anche dopo la morte alcuni ritornino improvvisamente nel corpo e i tormenti dell'inferno, ai quali volevano credere per sentito dire, almeno li temano per averli visti]
Lo guardai con aria interrogativa ed egli mi invitò a porre la domanda che mi assillava.
"Maestro, a costoro è stato dato di temere la morte, ma non il morire".
Egli mi sorrise e incalzò:
"Il monaco illirico, di cui San Gregorio parla più avanti, racconta di aver abbandonato il suo corpo e di esservi anche tornato, raccontando ciò che gli era accaduto durante la morte. Scrive Gregorio: 'Inferni se supplicia atque innumera loca flammarum vidisse testabatur'". [Dichiarava di aver visto i supplizi dell'inferno ed innumerevoli luoghi infuocati]
Dopo aver letto si chinò su di me e mi strinse le spalle con forza, tanto che mi fecero male, e lui mi guardò fisso negli occhi.
"Ora immaginate le fiamme e anche le torture, create nella vostra mente un luogo spaventoso in cui voi siete sola. Un luogo piccolo, rosso di fuoco, caldo fino a farvi impazzire. Immaginate di provare il desiderio di strapparvi la pelle e ascoltate i lamenti lontani di qualcuno che soffre e vuole morire, ma non può più. E poi... svegliatevi".
Sussultai.
"Pensate che tutto fosse solo un incubo, aprite gli occhi nel buio della vostra stanza e cercate di scendere dal vostro letto".
Immaginai tutto facilmente; mi era già capitato di svegliarmi urlando nella notte. Il maestro mi diede tempo, e poi... provai l'ansia, l'angoscia e il terrore. Mi disse: "Non potete".     [ avanti » ]

di Edeastrega