La foresta era fitta e caliginosa, nulla si scorgeva, né un raggio di luna, né luci che indicassero la vicinanza al villaggio della fanciulla.
Continuava a camminare attenta, cercando una via d’uscita; ad un tratto vide una lucciola volare lì vicino. La sua immensa curiosità la spinse a seguirla. La lucciola la condusse in un cerchio di salici al centro del quale c’era un laghetto, nel quale il candido quarto di luna si specchiava.
Restò a guardare il suo tenue riflesso nel lago. Portò la sua mano sinistra al viso per spostare una ciocca dei rossi capelli che le copriva l’occhio destro, e le labbra rosso sangue. Ad un tratto, però, vide risplender l'amuleto d'argento, con una pietra nera più dell'ebano, che portava al collo da sempre. Provò ad immaginare come una ragazza povera come lei potesse esser in possesso d'un simile gioiello. Mentre fantasticava sulla provenienza di quel cimelio, sotto i raggi lunari, sentì lo scalpitio di un cavallo. Si voltò di soprassalto, e vide un uomo in sella ad uno stallone nero dalla criniera corvina e dai riflessi argentei. Era avvolto in un mantello tetro! I suoi occhi la guardavano fissi. Smontò da cavallo e andò verso di lei:
"E tu? Cosa ci fai qui?"
"Hem! Temo di essermi persa, milord, e cercavo il sentiero per il mio villaggio"
"Sai che queste sono terre private? Non dovresti essere qui, sono le riserve di caccia del tuo padrone!"
Leida avampò,adirandosi: "padrone milord? Io non ho padroni e non sono di nessuno"
"A no?! Allora dove credi di trovarti adesso? Queste sono le terre del tuo principe..."
"Ho detto che non sono di nessuno, tanto meno di uno principe bastardo incapace di tutelar il benessere del suo popolo..."
Il cavaliere le si avvicino velocemente e le afferrò un polso:
"Mi lasci", pronunciò Leida, atterrita...
"Bastardo?", il cavaliere la guardò torvo.
"Perché ve la prendete tanto, ho chiamato lui bastardo non voi, milord".
L’uomo placò il suo sguardo
"Si certo" E solo che faresti meglio a non dirlo, almeno non in queste zone: potrebbero esserci le sue guardie."
"Avete ragione! Ora però potrei riaver il mio polso?". Leida gli sorrise e lui la guardò intensamente
"Certamente milady.", allentò la presa e avvicinò la mano di Leida alle sue fredde labbra.
"Addio mia signora, e state attenta alle guardie del principe".
Leida lo guardò e sotto voce disse: "Bastardo". Lui sorrise, a denti stretti.
"Già, alle sue guardie". Montò lo stallone, lo colpì con gli speroni degli stivali e partì. La sua corsa non durò molto...
"Hio!!!!!!!" Il cavaliere fermò il cavallo con un forte grido e si voltò verso Leida, le offrì il palmo della mano. Lei poggiò la sua, ed il gelo che avverti al contatto fu straordinariamente caldo.
"Vieni, ti riporto al tuo villaggio". Leida sorrise. Il cavaliere la prese per la vita e la issò d’avanti a se. Leida si voltò verso il lago e vide riflettersi l’imponente castello del principe che sovrastava tutto il regno, e fu colpita da uno strano brivido al pensiero del signore delle terre sulle quali camminava, che viveva lì dentro. Poi si appoggio al torace dell’uomo e chiuse gli occhi:
"Qual è il vostro nome, milord?"
"Prova ad invocare la greca morte, ed io giungerò con essa..."
"Ah!! carino!" Leida non sapeva cosa dire, di certo non conosceva il greco e pensò: «Già, sapessi morte in greco come si dice, forse saprei il vostro nome...»
Thanatos sorrise, sorprendendo la fanciulla.
"Perché ridete?"
"Nulla, pensavo ad altro! E tu? Qual e il tuo nome?"
"Leida"
"Onorato...". I due restaron in silenzio. Giunti all’entrata del villaggio, senza che nessuno li vedesse, si separarono, ma dopo che Thanatos ebbe fatto scender Leida da cavallo, s’inchinò verso di lei e le sfioro le labbra con le sue. Poi la guardò e la salutò:
"Arrivederci, milady!".
Leida, sbalordita e felice di quel bacio, rispose:
"Addio milord". Thanatos la guardò, e prima di disperdersi con un colpo di redini tra i fitti e oscuri alberi della foresta, le grido:
"No, no! Arrivederci cherida".
Mentre galoppava il più veloce possibile, lottando contro i primi raggi dell’aurora, con il vento che gli baciava il viso, pensava: "prima di quanto tu possa immaginare, mia cherida".
Passarono tre giorni da quell'incontro. Leida era cambiata, mostrando il suo mutamento a tutti: sempre distratta, ripensava al suo cavaliere alle parole che le aveva rivolto prima di andar via. Non era stato un addio, ma solo un arrivederci, e lei sperava che fosse vero, sperava di poter di nuovo sfiorar le sue fredde labbra piene di passione e di riperdersi nel suo severo sguardo penetrante. Mentre pensava a tutto questo, sulla riva di un fiumiciattolo, delle guardie giunsero al villaggio, chiedendo di lei. Gli abitanti timorosi li indirizzarono verso la ragazza. Leida li senti giungere e si voltò spaventata. Le guardie le si avvicinarono minacciose. Uno di loro avanzò e con un colpo di frusta le afferrò il braccio, tirandola a se. Una volta vicino, le legò i polsi:
"Ora vieni con noi, chiaro?!"
"Cosa volete da me, io non ho fatto nulla, lasciatemi!"
"Questo lo deciderà il tuo signore". Leida avrebbe voluto declinare quella proprietà, ma pensò bene di tacere, almeno in quelle condizioni. Le guardie la legarono e la issarono sulla sella del loro capitano. Giunsero al castello, e là la rinchiusero in una cella delle segrete. Leida era terrorizzata, non capiva perché era lì, né cosa le sarebbe accaduto. Avrebbe voluto urlar al vento il nome del suo cavaliere, ma anche quello le era negato a causa delle sue condizioni sociali e della sua scarsa istruzione. Così si sfogò in un pianto liberatorio. Trascorse il giorno, senza che nessuno le si avvicinasse. Al calar del sole però, un’ombra si accostò silenziosa alle porte della sua cella. Sogghignò: "Buona sera". Leida guardò di scatto verso la porta che sentì aprire e udì la voce"
"Povera piccolina, ti devono aver esonerato da ogni forma di gentilezza durante il viaggio, e non sai nemmeno perché sei qui. Devi esser spaventata. Ma non devi, non ti farò far del male". Restò per un attimo in silenzio, mentre un leggero ghigno gli velava il viso: "non molto al meno" Facciamo un patto..."
"Un patto, milord? E quale sarebbe questo patto?" Leida parlò, difendendosi agguerrita...
"Stà calma cerbiatto, non alludevo a nulla di mal sano.". L’uomo sorrise nel vederla innervosita da quel nomignolo"
"Sarai la preda delle guardie del signore, ti verrà offerta la libertà se riuscirai ad arrivar agli appartamenti del principe. In caso contrario verrai bruciata in un fuoco, particolare, che però non ti farà alcun male"
"E se io non volessi?"
"Verrai accusata di eresia, interrogata, torturata, seviziata e condannata al rogo in pubblica piazza". L’uomo usò un tono serio e severo. Si voltò: "...a te la scelta".
"E va bene, ma chi mi assicura che una volta arrivata alle sue stanze mi lascerete andare?"
"Non hai altra scelta, e comunque hai la mia parola.". L’uomo volse le spalle verso di lei, lasciando la cella socchiusa, disperdendosi nell’oscurità delle scale. Le gridò: "...la caccia è aperta", seguito da una risata tuonante.     [ avanti » ]

di Dukessa Dela Croix