[ « indietro ]     Leida si guardò intorno, poi volse lo sguardo verso la porta socchiusa. Le andò contro e l’aprì; notò la sala illuminata dalla fioca luce delle fiamme che danzavano mosse da vento sulle candele, camminò verso una rampa di scale che conduceva verso l'alto: "Le sue stanze saranno di certo lassù", pensò, e proseguì fino a metà scala. Udiva le guardie dirigersi verso di lei di corsa, così cominciò anche lei a correre e capendo che come i cerbiatti le sarebbe convenuto sfuggire ai suoi predatori. Arrivò in cima alle scale, e dopo qualche sforzo riuscì ad aprir la porta di fronte a lei. Si ritrovò in un angolo buio del grande salone d’ingresso del castello, e mentre sentiva le guardie avvicinarsi, si nascose dietro i drappeggi neri e porpora d’una vetrata. Restò lì, in silenzio, con le voci di quei predatori vicinissime a lei. Trattenne il fiato, finché non si dispersero dietro un’altra porta poco distante. Leida sospirò e uscì allo scoperto, si guardò intorno e vide l’enorme scala di marmo scuro che sovrastava l’ingresso, al termine dei corrimano, tra imponenti vasi di roselline nere striscianti, che sfioravano con le loro foglie le teste di due dragoni d’ametista a guardia degli appartamenti superiori. Al centro, un lungo tappeto color porpora e su entrambi i lati, alternate, delle ciotole con candele nere, accese. Avanzò, percorrendo i primi tre gradini, adagio, cercando di intraveder cosa ci fosse al termine di quell’immensa scalinata. Alzò lo sguardo, e vide la cupola di cristallo, e la lieve luce delle prime stelle che riuscivan ad emergere dall’oscuro manto della dolce signora oscurità. Continuò a salire. Arrivata in cima vide una sorta di semicerchio, recinto da una parapetto in ferro battuto nero, decorato da rose nere tutto intorno. Vide tre porte in legno di ciliegio, due laterali ed una più grande centrale, affiancata da due colonne in marmo scuro su di una base di corpo di leone. Al centro del ammezzato c’era una conca piena d’acqua, decorata d’anemoni. Leida né restò stupefatta, e in un primo momento pensò: «Ecco cosa ne fa il bastardo dei nostri stenti». Mentre pensava a ciò però, non potè fare a meno di notar quanto fosse incantevole quel posto e quanto buon gusto avesse: «ha buon gusto però, il nostro signore bastardo!». Un secondo pensiero cancellò il primo: «certo che la regina che sceglierà sarà molto fortunata e amata: per quanto possa essere bastardo, immagino sia molto passionale e sensuale». S’inginocchiò, sfiorando l’acqua: «avrà la voce calda e travolgente, quasi come quella del mio dolce cavaliere». Leida si meravigliò di aver paragonato il suo cavaliere allo spietato tiranno, ma le fu dettato del cuore. Avanzò, timorosa. Il suo sguardo era rivolto alla porta centrale quando il suo polso, d’un tratto, venne afferrato da una ruvida e violenta mano, che la strattonò fino a farla voltare. Leida vide le labbra della guardia muoversi in un ghigno. Prima che l’altra mano raggiungesse il suo colpo, la ragazza fu più svelta nel dargli un calcio che gli procurò tanto dolore da fargli allentar la presa. Leida fuggi, correndo verso la porta centrale, chiudendola a chiave alle sue spalle. Guardò l'immensa sala: irradiata dal candelabri affissi ai muri, sulla consol e sul grande lampadario gremito di candele color porpora con cristalli pendenti che inondavan con il loro bagliore l’interno della stanza.
Al centro dell’immensa sala c’era il grande e maestoso camino di pietra con sopra, dominante, il quadro di una magnifica donna, dai lunghi capelli neri che le accarezzavan il corpo nudo disteso fra rovi di rose nere; le labbra rosso sangue schiuse lasciavano intraveder i canini. Leida la osservò per diverso tempo, quasi ipnotizzata, come se quel quadro la stesse chiamando. Si avvicinò di più e intravide, quasi posta come sfondo, l’immagine sfocata d’un uomo vegliante la sua dama.Quell' uomo aveva qualcosa di familiare, qualcosa che Leida non riusciva a comprendere, benchè il suo pensiero, in quel momento, fosse rivolto al cavaliere. Dedusse che aveva pensato a lui solo perché in realtà lo desiderava. Guardò meglio la donna, e vide appeso al suo collo un ciondolo identico al suo. Leida né resto confusa e si voltò. Si vide riflessa nello specchio sulla consol, e gli si avvicinò per mirarsi meglio. L'uomo avvolto nel nero manto si appoggiò con la spalla sinistra allo stipite della arco, di fronte allo specchio, alle spalle di Leida, senza essere visto, con le mani accavallate sul torace e le gambe sovrapposte. Il suo volto era celato da una bianca maschera sulla quale ricadevano ciocche di capelli corvini. «Accidenti se sei bella Sarai mia, è il destino che lo vuole, ed io sarò il tuo destino. Che gli Inferi me ne siano testimoni...». Leida guardò nello specchio, notando al di là delle sue spalle un'immagine lievemente sfocata. Si girò di scatto, e vide l’uomo dietro di se: sobbalzò e riguardò nello specchio, e non vedendolo più riflesso rivolse nuovamente lo sguardo verso l’uomo, che era svanito nel nulla. Tremò e indietreggiò, finchè due mani gelide non l'afferrarono per le spalle. Sibilò un grido di terrore e si voltò. Si trovo faccia a faccia con l'uomo dello specchio. Non più coperto dalla maschera, lo vide in pieno viso: era il suo dolce cavaliere: "Voi qui? Vi ho cercato tanto...".
Leida era meravigliata, e quel sorriso demoniaco sulle dolci labbra di lui la confusero. La porta fu spalancata e le guardie irruppero nella sala, scagliandosi su di lei, che si voltò verso il cavaliere come per chiedergli aiuto. Ma lui era nuovamente svanito.
"Fine della corsa cerbiatta" il capitano comincio a beffeggiarla, legandole i polsi con una catena: "No, lasciatemi". La fanciulla gridò, sperando che il suo cavaliere la soccorresse, e cosi fù, ma... "Bravi, miei uomini. Ora lasciatela pure a me!" Le guardie si prostrarono ai suoi piedi. Leida lo guardo con le lacrime agli occhi: "non può essere lui". Il suo dolce cavaliere altri non era che il principe, il tanto odiato principe. "Il mio unico amore nasce dal nemico più odiato! Ora so chi sei e non posso più tornar indietro: mostruosa è la nascita di questo amore... ma perché, crudele, mi hai ingannata con il tuo dolce viso, con le tue labbra, avendo l’anima del nostro tiranno?" Le guardie indietreggiarono fino alla porta, che chiusero. Leida lo guardò: "No! Non voi!" i suoi occhi vennero inondati dalle lacrime, e presa dalla rabbia cominciò a tirargli lievi pugni sul torace: "mi hai ingannata, maledetto bastardo". Thanatos le afferrò i polsi quasi stringendoli, costringendola a porgergli il dorso delle mani, che portò alle sue labbra, baciandole: "qui è veramente pieno di guardie, non ti conviene chiamarmi cosi!!!". Le sorrise. Leida gli negò lo sguardo: "avevamo fatto un patto, sono arrivata fin qui. Ora, lasciatemi andare!". "Leida, non volevo ingannarti" le avrebbe voluto dire. Ma non lo fece... "Si, potresti andar via, se solo io non ti avessi presa prima delle mie guardie".
"E quindi?"
"E quindi ora resterai qui come mia schiava"
"No, non voglio"
"Sei mia adesso, e decido io cosa farne di te..."
"Io non sono di nessuno, vostratanto meno..."
Leida osservò il quadro alle spalle di Thanatos, e sentì ancor più forte l'attrazione verso di lui, che subito soffocò. Odiava essere sottomessa a qualcuno, a qualunque uomo. Il tiranno le si avvicinò, le presele le guance con la mano destra gelida, e con dura voce sensuale emise le sue parole, tanto da riscaldar il cuor della sua prigioniera: "Ah, no? Sei mia! E questo è tutto ciò che per te conta. Le tue inclinazioni verso la sottomissione non ti salveranno". Prese la catena che la teneva prigioniera. Leida cercò di strattonarla dalle mani di Thanatos, ma non riuscì a liberarsi. Il sovrano la tirò a se fino ad incrociar le labbra di lei alle sue, le leccò in segno di disprezzo e la gettò violentemente a terra. Veloce si riavvicinò a lei e le impedì di rialzarsi, tenendole un piede sulla schiena: "DECIDO IO QUANDO LA MIA SCHIAVA PUO ALZARSI E GUARDARMI IN VISO. Tieni gli occhi bassi e non incrociarli mai con i miei, altrimenti...". Un gatto a nove code si materializzò fra le sue mani e le colpì la schiena. La fanciulla emano uno straziante urlo di dolore: "ZITTA, resta in silenzio, mi spiacerebbe farti del male con questa. Se mi ubbidirai non sarò cosi spietato con te, charo?!"     [ avanti » ]

di Dukessa Dela Croix