[ « indietro ]     Passammo un pomeriggio meraviglioso, prima siamo andati a mangiare un gelato in un bar del centro, dove abbiamo chiacchierato del più e del meno anche se lei rimase sempre sul vago e sul misterioso e questo fece nascere in me una curiosità che non mi riconoscevo. Dopo mi feci seguire su quello che da sempre era il mio terreno di battaglia per quanto riguardava le conquiste amorose: gli scogli. Si trattava di una strada che passa dietro l'antico castello Svevo e terminava su degli enormi scogli utili ad arginare il mare, ci fanno capolino le coppiette desiderose di un po' di intimità, ed io già decine di altre volte vi avevo portato altrettante donzelle che finivano spesso per fare l'amore con me sotto il dolce vociare del mare. Ci sedemmo su un ampio scoglio levigato e dopo averle accarezzato il viso, provai a baciarla. Lei me lo impedì schivando con fermezza, ma sorridendo, l'avvicinarsi delle mie labbra, poi mi guardò con quei suoi occhi incantatori e con la stessa decisione mi sussurrò - Sono io che dirigo
le danze! - e chi poteva impedirglielo? Non certo io, rapito com'ero dal suo sguardo. Così mi fece stendere sulla superficie dello scoglio e mi salì sopra accavallando le gambe. Il bacio che mi diede fu qualcosa di veramente … squisito, non so quali altri aggettivi apporre a ciò che sicuramente fu la cosa più eccitante della mia vita. Mi si fece così duro che pareva volesse schizzarmi dai pantaloni, lei se ne accorse e me li sbottonò tirandomelo fuori, lo strinse tra le mani iniziando a masturbarmi, ero in estasi. Volevo fare qualcosa anch'io ma non riuscivo a muovermi, lei pareva avere una forza notevole, perchè con il solo peso del corpo riusciva ad impedirmi qualsiasi movimento: era lei a dirigere le danze ed intanto io fui prossimo all'orgasmo. Orgasmo che venne subito dopo, sorprendendomi ansimante e con gli occhi chiusi. Fu fantastico e chissà cosa mi avrebbe riservato il seguito! - Adesso andiamo, devo portarti in un posto - - Dove ? - - Ti è piaciuto? E allora fidati di me - Ed io mi fidai.
Sinceramente non so cosa sia capitato a Michele, so solamente che fu lei ad ucciderlo. Ho sentito dire o forse lo avrò letto da qualche parte (o magari me lo sarò sognato), che lo ritrovarono all'interno della sua macchina completamente nudo, con la testa mozzata, un altro taglio che partiva dal petto e arrivava fino all'inguine e con i coglioni in mano. I capelli erano diventati completamente bianchi come adesso li ho io e con un’espressione terrorizzata sul viso, come se avesse visto un fantasma. Ed io sono convinto che il fantasma lo abbia visto davvero. Io gli volli bene, sia a lui che a Tonno, cazzo, erano i miei migliori amici, forse a lui di più che a Tonno perché con lui ci si poteva parlare, Tonno invece quando lo si rimproverava per qualche stronzata che aveva commesso, si metteva a frignare come un bambino, si, Michele era intelligente e anche se abbandonò troppo precipitosamente l'università ed era un egocentrico di prima categoria, sapevo che in quella sua testa merdosa aveva sempre una soluzione
per tutto. Ricordo una volta quando, di ritorno da una serata in discoteca ubriaco, andai a sbattere contro una macchina parcheggiata che, non so come, non vidi. Michele riuscì ad inventarsi di sana pianta davanti a mio padre, tutta una storia di spionaggio ed inseguimenti con tanto di sparatoria, io per poco non scoppiai a ridere constatando incredulo che mio padre abboccava e che per quella volta non le avrei prese per avergli ammaccato la macchina. Il giorno dopo papà comprò ben quattro giornali per vedere se ci fossero almeno degli accenni a ciò che doveva essere avvenuto la notte prima, naturalmente non trovò nulla, ma io non andai mai a spiegargliene i motivi.
Dopo aver cambiato diversi pullman uscimmo di gran lunga dal paese, ormai era sera inoltrata e ci ritrovammo per una strada che non ricordai di avere mai percorso prima di allora, gli alberi intorno a noi si abbracciavano tra loro in masse sempre più fitte, mentre le nuvole che, annunciando l'imminente arrivo di un temporale, coprivano il cielo rendendolo più nero di quanto fosse ancora possibile, in lontananza riuscivo a sentire il mare. Lei prese uno stretto sentiero, io non potei che andarle dietro. Il sentiero si addentrava nei boschi, al suo interno la visibilità era nulla, la luce della luna che ogni tanto riusciva a penetrare tra le foglie ed i rami, permetteva a mala pena a non farmi perdere l'orientamento. Ricordo che ebbi molto freddo, ma nonostante tutto, la mia pelle sudava un sudore caldo e maleodorante. Tutto era scuro, l'erba nel sentiero era alta e folta ed io a stento riuscivo a stare dietro a colei che sembrava invece passeggiare su di una strada larga ed asfaltata, tanta era la facilità e la sicurezza con cui proseguiva, invece per me andare avanti diventava man mano più arduo, i cespugli che mi correvano attorno si agitavano e rumoreggiavano ritmicamente con il soffiare del vento, mi venivano addosso come avvertendo la mia presenza, sembravano soffocarmi e ormai divenne sempre più difficile riuscire a sbirciare un pezzetto di luna in quella massa uniforme di vegetazione sempre più crespa. Il sentiero era avvolto nell'ombra e si fece ancora più stretto ed impenetrabile, quasi non volesse che noi giungessimo a destinazione, o meglio, non voleva che io giungessi a destinazione qualunque essa sia (allora non immaginavo assolutamente dove stessi andando), mentre per lei pareva che i rami si scansassero al suo passaggio, accarezzandola dolcemente con le foglie più delicate che potessero avere, io invece mi ritrovai con ramoscelli infilati in ogni dove, nelle orecchie, in bocca, negli occhi, avevo il viso graffiato in diverse parti e sentivo sangue caldo colarmi per le guance e nonostante tutto, fui pervaso da una eccitazione indescrivibile, mi sentivo tutto preso ed esaltato, sono convinto che se mi fossi toccato l'uccello, me lo sarei sentito durissimo e credo che se lei me lo avesse chiesto, avrei fatto l'amore là, dentro a quel sentiero, incurante dei rami che avrebbero potuto salirmi su per il culo, sarebbe stato meraviglioso. Ma non successe niente di tutto questo, abbiamo continuato a addentrarci per quello che sembrava sempre di più uno stretto tunnel naturale, proseguendo per quel viaggio che mi avrebbe portato verso l'inferno.

Mi sono stancato di scrivere, si, farlo mi piace, mi sento tutto gasato e non vedo l'ora di finire, è bello vedere come certi ricordi che parevano ormai sbiaditi, ritornano a galla quando li si deve scrivere, ma adesso devo proprio prendermi una pausa, credo che andrò a vedere un po' di televisione e poi sgranocchierò qualcosa, tutto questo ricordare mi ha fatto venire una gran fame. Dalla cucina sta salendo un delizioso odore di biscotti appena sfornati, mamma è bravissima a farli, cara donna, già mi sta venendo l’acquolina in bocca, vi saluto, ci vediamo dopo. …Ah, eccomi di ritorno, sono stato fermo solo un paio d'ore e già mi era venuta la nostalgia di scrivere. I biscotti erano deliziosi ed io ne ho fatto una vera scorpacciata, me ne sono portati degli altri qui sopra così che, tra una riga e l'altra, mangiucchierò qualcosina. Ora vediamo dove ero rimasto, a ecco! Adesso andrò a capo e continuerò il racconto sperando di fermarmi solamente quando questo sarà finito, bisogni corporali permettendo.

Finalmente giungemmo fuori e ci ritrovammo in un ampia radura incolta, mi fermai per prendere fiato, non mi ero reso conto di quanto fossi affaticato, né del tempo che era trascorso li dentro, mi accorsi di aver smarrito l'orologio, forse vittima di un furto il cui artefice oramai da diversi millenni se ne stava saldamente piantato nelle sue radici.- Da questa parte - mi fece segno lei, per nulla provata dalla stanchezza. - Pensavo avessimo finito di camminare! Adesso vorresti dirmi dove cavolo stiamo andando? - Mi lagnai io più curioso che mai. Il posto mi piaceva e pensavo che ci saremmo fermati là a rotolarci per terra nudi, gridando versi disumani, là dove solo gli animalì del bosco avrebbero potuto sentirli, ma lei aveva già stabilito un'altra conclusione per il nostro incredibile viaggio.     [ avanti » ]

di Sebastiano Cannarsa