Questo racconto credo di averlo scritto prima del 1995. Ero in dubbio se ritoccarlo o meno, poi ho deciso di pubblicarlo senza metterci le mani perché, in fondo, non l'ho scritto io, ma colui che ero nove anni fa.
  Lo dedico a Franxy, sperando che possa trascorrere numerose notti insonni ^_^
Plaisir      

- I -
Arthur Mac Cormack era di ritorno da Edimburgo dove si era recato per acquistare dei rotoli di stoffa. Quella mattina col suo carro aveva attraversato il passo di Drumochter ed ormai stava per superare la parte centrale delle Grampian Mountains dirigendosi verso Inverness, in direzione nord, per proseguire per Nairn e raggiungere, a mezza strada tra i due centri scozzesi, la lingua di terra che si spiegava per poco più di un miglio e mezzo nella distesa d'acqua del Moray Firth. Su quella spianata brulla e ventosa era stata edificata l'abitazione in cui egli ed Edith - sua moglie - erano andati a vivere da cinque mesi.
Adesso percorreva la strada che costeggiava il fiume Spey, appena fuori dal Badenoch, e stava per arrivare a Kingussie. Il suo carro procedeva lentamente e Arthur ne approfittava per ammirare, ad est, lo stupendo paesaggio di quelle zone selvaggie. Esse erano quasi disabitate e la bassa densità demografica dei luoghi davano la sensazione di trovarsi ai confini del mondo, lontano dalla comunità umana, allo stesso tempo infondendo nel viaggiatore una indicibile ammirazione e meraviglia per la grandiosità e la forza della natura. A quelle latitudini - quasi sullo stesso parallelo di Göteborg - in quella stagione il ghiacchio avrebbe dovuto tiranneggiare ed il gelo sarebbe dovuto essere il quadro solito di quelle valli, ricoprendo la superficie delle terre nude e ondulate. Invece nella valle percorsa da quella strada e fino ad Aviemore, si erano ostinatamente appigliati al terreno timidi cespugli la cui attività vitale appariva rallentata ed in qualche modo omologata al monotono panorama che si offriva agli occhi dell'osservatore. Erano piante basse e spoglie, dalle foglie stentate ed affusolate che parevano voler esporre alla rigidezza del clima solo una minima parte della loro superficie, indispensabile per strappare al pallido sole una piccola goccia della sua energia. Sembravano essersi abituate e rassegnate al vento gelido del nord che soffiava in continuazione lungo la valle e spazzava, a volte con violenza inaudita, le brulle colline settentrionali, quelle che ora, dalla strada, apparivano dolci ondulazioni di un terreno solo in superficie freddo ma che conservava nel suo interno un languido ed inconfessato nocciolo di torpore. Quel residuo di calore, alimentato per buona parte dalla Corrente del Golfo, permetteva all'erba di farsi spazio tra le zolle brune e faceva arretrare il ghiaccio in delimitate zone annevate dai contorni incerti ed acquosi.
Quando Mac Cormack raggiunse Kingussie sostò in una taverna per cambiare i cavalli e per ristorarsi. Subito dopo riprese il viaggio con l'intenzione di percorrere le dieci miglia che lo separavano da Aviemore prima di notte. Per strada si teneva rincantucciato nel bavero di pelliccia del cappotto e la sua testa era coperta da un colbacco che aveva portato con sé dalla Russia, quando vi era stato per acquistare pelli di renna. Accanto a sé teneva il fucile, infilato con la canna in un lungo fodero di cuoio assicurato alla sponda anteriore del carro. L'uomo conduceva con le redini nelle mani, guardando la valle che si apriva davanti a sé; in mezzo ad essa il fiume Spey serpeggiava dolcemente disegnando una scura linea ondulata. Sulla strada i cavalli procedevano con fatica emettendo sbuffi di vapore dalle narici ed il vento fischiava cupamente senza interruzione.
Da dietro una collinetta emerse il tetto di una grossa costruzione scura. Il carro, procedendo sulla pista di terra battuta, aggirò la collina ed apparve una imponente abitazione dall'aspetto malandato. Mac Cormack fu folgorato dalla facciata di quella casa isolata. Fermò i cavalli, scese da cassetta e restò immobile, in piedi, a contemplare col mento alzato e lo sguardo rapito la maestosità della costruzione. Era un vecchio casone abbandonato prospiciente verso il dirupo di Sant'Antonio e distante da esso un centinaio di piedi. Sotto la rupe, nel burrone, scorreva lo Spey e le sue acque lambivano quelle coste scoscese per poi distendersi tortuosamente in direzione nord, avvolgendo con abbracci flessuosi due piccole isolette e proseguendo verso l'orizzonte confondendosi con esso, fino a scomparire nel grigio azzurro della foschia che ristagnava nella valle.
Arthur Mac Cormack si guardò attorno e decise di avvicinarsi al casone di legno. Il primo piano si reggeva sulle robuste colonne di un ampio portico che correva lungo l'intera facciata e delimitato da una balaustra; essa era interrotta solamente in corrispondenza della porta d'ingresso dell'abitazione; qui due bassi gradini permettevano di accedere al piano di legno elevato da terra sul quale era stato edificato il portico e l'intera costruzione. Accanto alla porta sprangata c'era un cartello con la scritta "FOR SALE" e sotto di essa era indicato l'indirizzo di una agenzia immobiliare di Kingussie alla quale potersi rivolgere per eventuali informazioni.
Mac Cormack restò ad osservarla, immobile ed estasiato. L'aspetto esterno era squallido. L'uomo pensò che probabilmente, all'interno, il legno del pavimento dovesse essere marcio e le travi tarlate, però a lui sembrò la più bella casa che avesse mai visto. Era vecchia ma molto ben fatta ed il suo aspetto tetro suscitava in lui un indefinito sentimento di nostalgia, di mestizia per qualcosa di ignoto perso definitivamente. La vista della facciata era inquietante ma non lo impressionò; anzi, lo commosse rinvenendovi i segni profondi e crudeli del passare del tempo, dell'alternarsi delle stagioni, dell'inesorabile corrompimento. In qualche modo gli ricordava la Black Isle, la penisola che si poteva vedere dalla costa tra Inverness e Nairn, dall'altra parte dello stretto braccio d'acqua del Morray Firth più interno. Quando si trovava nella sua casa sulla costa di Nairn, raggiungeva una roccia che scendeva a picco sul braccio di mare e guardava verso la riva opposta - la Black Isle - tentando di cogliere l'oscuro mistero del suo fascino inquietante. Davanti a quella vista, il senso del tempo e dello spazio sembravano abbandonarlo ed il suo spirito pareva entrare in una dimensione sospesa, fluttuante tra la realtà e la sua dissolvenza. In quei momenti gli pareva che tutto il mondo condividesse con lui quella strana esperienza psichica, quello strano spazio di meditazione; aveva l'impressione che perfino i gabbiani volteggiassero su quel mare per poter lanciare uno sguardo furtivo alla Black Isle, per scrutarla e tentare di svelarne, così, l'arcano.     [ avanti » ]



di Plaisir