L’inverno era sempre stato la sua stagione preferita.Il grigiore del cielo e la nudità degli alberi si sposavano bene con la sua innata malinconia ,era come se il torpore della natura la consolasse da una sorta di nostalgia arcana sostenuta dalla mancanza di qualcosa di indefinito che forse non le era mai appartenuto.
Era in ritardo,come suo solito.
Correva trafelata fra i passanti che ingombravano la strada,urtandone ogni tanto uno che si scansava spazientito senza profferir verbo.
Giunse alla stazione confusa ,stordita da quella massa di corpi che si muovevano lenti,quasi seguendo il ritmo cadenzato di una marcia funebre.
Un singolare quanto spiacevole nodo le serrava la gola.
Scrutò perplessa i treni che si allontanavano,certa di scorgere il suo.
“Scusi” chiese timidamente ad un controllore che stava controllando con attenzione il suo taccuino “E’ già partito il treno per Milano?”.
“Quale signorina?”.
(Quello di ieri imbecille).
“Quello delle diciannove e trenta”.
L’uomo la fissò per qualche istante,poi gettò un’occhiata veloce all’orologio che riluceva al suo polso ossuto,quindi senza aggiungere altro le indicò un lungo vagone nero e rosso ,impolverato e tetro che ammiccava sinistramente dal binario alle loro spalle.
“Grazie”sussurrò e volò via riprendendo la marcia forzata che aveva appena interrotto.
Salì e senza badare a chi incrociava il suo sguardo sia andò a rifugiare nello scompartimento indicato sul suo biglietto.
Si sedette rallegrandosi all’idea di essere sola,negli ultimi tempi la compagnia era un male che preferiva evitare ,troppi convenevoli,troppe domande,troppe false risposte,almeno con sé stessa non aveva alcuna necessità di mentire.
Il treno si mise in moto poco dopo il suo ingresso,sussultando e sbuffando;la partenza e quell’accelerazione iniziale le davano sempre un piacevole stato d’euforia,come quella particolare eccitazione che ognuno prova alla prima discesa delle montagne russe di un luna park.
Lo sfrecciare monotono degli alberi e delle case ,rare e coloniche e sicuramente disabitate,aveva un peculiare potere ipnotico:b uio,luce,buio,luce.Punto ,linea,punto,linea.Stop. La regolare sequenzialità di quella scena le rammentava il corso di buddhismo che aveva seguito l’inverno precedente .Vi si recava tre volte alla settimana,indossava gli abiti più confortevoli e meno provocanti che aveva nel guardaroba,infilava un vecchio paio di scarpe da ginnastica e si perdeva fra i flutti della meditazione,fra un lento e cadenzato vociare rituale ,che aveva sulla sua psiche l’unico risultato di..
“Farti ridere”.
Sussultò.
Si guardò attorno e non vide altro che poltroncine di pelle vuote,una porta a vetri socchiusa ed un fumo brunastro di sigarette che aleggiava per l’aria viziata.
Scosse la testa ,estrasse il cellulare dalla borsa e controllò che fosse spento,lo era.Pescò un pacchetto di Lucky Strike spiegazzato ed ammaccato ,sfilò una sigaretta estraendola con i denti e sporcando il filtro di rossetto(se mia madre mi vedesse fumare come un cowboy andrebbe su tutte le furie)pensò sorridendo ed ammiccando al suo riflesso distorto nel finestrino.
Inalò affondo.La prima boccata di fumo dopo sei mesi di astinenza andava gustata,assaporata,trattenuta come i baci di un amante dimenticato.
“E la spegnerai schiacciandola sotto la suola della scarpa tenendola strizzata fra pollice de indice per poi lanciarla via con una schicchera”.
Rise.
“Già,farò esattamente così”.
“Ti sei mai chiesta perché fumi con la sinistra pur non essendo mancina”.
“Certo,la risposta l’ho trovata in almeno cento testi di analisi del comportamento”.
Silenzio.
“Non ho mai potuto fumare liberamente in casa ,ergo associo l’idea della sigaretta al proibito e compio questa bieca azione usufruendo della mano che per antonomasia e deputata alle azioni non rette”.
Ricominciò a ridere.
“Ma che brava,e sei certa che l’unica ragione sia questa?”.
Smise di ridere,no,non ne era affatto certa ,in realtà non era sicura di..
“Nulla”.
“Lo so da me,non c’è nessuna necessità che mi rinfreschi la memoria”.
“Ma io sono qui proprio per questo”.
“Per assillarmi?”.
“No,per costringerti a guardarti dentro”.
“Non è un’esperienza innovativa,è un ripostiglio dove guardo spesso e dove trovo bene o male sempre le stesse vecchie cose ,smesse,ammonticchiate ,familiari e...”
“Noiose,stavi per aggiungere?”.
“No,mortali”.
“Sei depressa?”.
“La depressione è una fase passiva di un pregresso comportamento attivo “.
“Sei depressa”.
“E’ un ciclo che ho ultimato e superato,ora sono oltre;credo di essere già alla fase dell’accettazione dell’inevitabilità della condizione umana”.
“Ma la condizione umana è solo passeggera”.
“Ma smettila”.
“Non credi che sia così?”.
“Credere è un verbo che non mi appartiene”.
“Tutti credono in qualcosa,per quanto possa essere inutile e perfino deleterio in taluni frangenti,ma chiunque ha la necessità primitiva di alzare gli occhi ...”.
“Al cielo e chiedere perché?Ho smesso anche di farmi domande,triste ma vero”.
“Non è detto che sia triste,ma non è neppure detto che sia vero”.
“Vero,falso.Giusto,sbagliato.Bianco,nero.Che senso ha?”.
“Gli assoluti semplificano la vita mia cara”.
“Gli assoluti non esistono e la vita si complica da sè”.
Improvvisamente cessò di parlare ,strofinò il mozzicone fumante sotto la suola degli stivale dai tacchi a spillo,schiacciò la cicca fra pollice ed indice,abbassò il vetro del finestrino e lanciò la sigaretta oltre il raggio del suo campo visivo.
Quando si trovò nuovamente a fissare la superficie lucida del vetro si accorse che l’immagine riflessa era mutata:non c’era l’effige impersonale del suo volto ,ma un viso dalla fisionomia maschile,con una lunga barba nera e degli eleganti occhiali da sole appoggiati sulla punta del naso aquilino.
Si voltò di scatto,ma alle sue spalle non vide assolutamente nulla.
“Non cercarmi altrove,sono esattamente dove mi vedi”.
“Sei fuori da un treno in corsa?”.
“No”.
“E allora?”.
“Sai benissimo dove sono,ma non vuoi ammettere che possa essere vero”.
“Sei sospeso nella sabbia e nei cristalli di un vetro molato?”.
“Fuochino”.
“Sei sospeso nel tempo”.
“Brava,sei perspicace per essere umana”.
“Ammetto di essere disorientata”.
“Ma non spaventata a quanto posso vedere”.
“Spaventata?Solo perchè sono arrivate le allucinazioni che aspettavo da tempo;sapevo che sarebbe successo prima o poi.Sono stressata,omofobica,quasi licantropa,parlare con un uomo avvenente imprigionato in un’altra dimensione era il minimo che potessi aspettarmi!”.
La figura riflessa assunse d’un tratto lineamenti e fattezze più decise:gli occhi scuri e profondi erano appena celati da un paio di antiquati occhiali fumè,la barba era folta e ben curata,i capelli lunghi raccolti da un nastro di velluto,o almeno tale pareva la qualità della stoffa nella rilucenza del cristallo,le sopracciglia irte,ferine,le lebbra vermiglie le suscitavano pensieri che non avrebbe volentieri confessato.
“Dunque io sarei il frutto delle tue frustrazioni”.
“Un modo garbato per delineare l’inizio del mio disfacimento mentale”.
“La tua ironia è sorprendente,se una donna avesse solo osato esprimersi in una tale maniera ai miei tempi,avrebbe patito una sorte ingloriosa,almeno dal punto di vista della crocifissione sociale”.
“I tuoi tempi?”.
“Vanto una considerevole longevità”.     [ avanti » ]

di Vampire