[ « indietro ]     Alle 5 e 30 del mattino venne a chiamarmi: “Dobbiamo andare a procurarci gli strumenti necessari per stasera” – e m'indicò gli abiti per me che aveva già preso dall’armadio e disposti su una sedia. Ci recammo verso la campagna parigina, fuori dalle mura della città vivevano tutti poveri e sfortunati che avevano perso le loro fortune ed erano stati esiliati da Parigi, venivano chiamati gli “chiffoniers”, ed avevano creato una vera e propria città in cui regnavano con le loro regole e in cui i topi sembravano i padroni. Il solo pensare di passare tra quelle enorme montagne di rifiuti e vedere i piccoli occhi rossi e maligni dei ratti mi dava i brividi. Passammo il più lontano possibile da quei cumuli di immondizie e ci recammo verso un vigneto, ci aprì uno sporco contadino che ci condusse verso un giovane albero di vite, Harminius congedò il contadino con un mucchio di monete e appena si fu allontanato prese da una borsa un fagotto di velluto blu, lo aprì con cura mostrando il lungo coltello che aveva avvolto, aveva una lama ancora insanguinata che sembrava emanare una luce argentea, impugnò l’arma e si avvicinò ad un ramo che non aveva ancora prodotto dell’uva, chiuse gli occhi in attesa e ricordo rimase così per 10 minuti, poi arrivò l’alba e appena un raggio di sole colpì l’albero e noi, pronunciò ad alta voce una formula in una lingua che non riconobbi e tagliò con un colpo solo il ramo. Dopo si sedette in ginocchio e cominciò ad intagliare il ramo sempre con lo stesso coltello aggiungendo delle iscrizioni per tutta la lunghezza del rametto e sulla punta un piccolo cappuccio di rame con due punte. Alzò lo sguardo verso di me e mi disse: “Hai appena visto un mago creare la propria bacchetta, stasera non ho intenzione di utilizzare quella che ho a casa, domani, se tutto va bene, t'insegnerò come crearne una.”- Si alzò in piedi e m'invitò a seguirlo. Ritornammo alla carrozza per tornare a casa (mai avrei pensato di poter chiamare così un luogo diverso dalla piccola abitazione in cui ero nato), prima di arrivare però Harminius fece fermare il conducente da un fabbro, scese dalla carrozza e tornò con una spada nuovissima, appena forgiata e mai utilizzata, subito Harminius vide il mio sguardo stupito ma si limitò a dire: “E’ solo un altro elemento per il rito”- fece seguire le parole ad un’alzata di spalle come se stesse parlando di semplici ingredienti per una torta, ma non era una cosa dolce quella che ci aspettava..
Passai tutta la giornata maledicendo il fatto che non arrivasse mai il momento di andare, fremevo di mettere in atto tutto quello che avevo imparato, ma quando Harminius mi venne a chiamare non mi sentii assolutamente pronto. Il maestro era vestito con una lunga tunica bianca e portava con sé sia la spada sia la bacchetta che aveva creato, aveva un viso sereno ma concentrato, per tutto il tragitto da casa nostra fino a Rue Duperie non disse nulla. Bussammo alla porta e ci aprì un ometto pelato che ci riconobbe all’istante, subito ci portò verso il piano superiore dove ci disse, “teniamo l’indemoniata”. Fuori dalla stanza Harminius si girò verso di me e mi disse: “ Mikael ricorda che tutto quello che accadrà e vedrai qui dentro non ti potrà toccare se qui” - indicò il mio cuore – “ti mantieni puro e sereno, non farti corrompere dalle immagini o dalle parole che sentirai, e ricorda i miei insegnamenti. Gli feci un cenno col capo e la porta fu aperta. La ragazza era legata al letto con delle corde e l’avevano imbavagliata, aveva dei lunghi capelli biondi con degli occhi chiarissimi quasi grigi. Appena vide Harminius cominciò a dimenarsi e urlare, l’ometto che ci aveva portato lì se n'era andato, ma il mago non sembrava curarsene, disegnò per terra un pentacolo con una precisione inumana, e s'inginocchio al centro, chiuse gli occhi e dopo poco si girò di scatto verso di me: “Mikael sento chiaramente una presenza nel corpo della donna ma non riesco a focalizzare bene che cosa sia, adesso proverò a eliminarla”. Si girò di nuovo verso la donna e sollevò in aria la bacchetta e la spada incrociandole sopra la testa, vidi chiaramente una luce avvolgere la spada e la bacchetta e correre verso la donna. Questa cominciò ad emettere urla terribili, ma Harminius non si fermò, ad un certo punto però sentii un rumore dal piano di sotto, come se qualcuno tentasse di sfondare la porta, mi voltai verso il mio maestro e vidi che aveva la bocca aperta in uno sguardo di terrore, spostai il mio sguardo verso la ragazza e notai che aveva perso molto sangue e che questo aveva completamente intriso il letto. Harminius buttò le bacchette per terra e si fiondò verso il letto, sollevò con le mani che gli tremavano la veste che copriva la donna e vide subito che strani simboli erano stati incisi sul suo stomaco, io ancora non capii cosa era accaduto finché Harminius non levò il bavaglio alla ragazza, questa stava per svenire e con un filo di voce pronunciò delle parole che ancora oggi riecheggiano nella mia mente: “Il mio bambino…”. A quelle parole il mago sembrò diventare un ottantenne, e anche io finalmente capii tutto; Plaisir aveva fatto dei simboli magici che avrebbero confuso i poteri di Harminius in modo da fargli vedere il bambino che la donna portava in grembo come un essenza maligna e renderlo vulnerabile ad un attacco del mago per farglielo uccidere; i passi e le urla che sentivo arrivare dalla casa facevano solo parte del piano, un gruppo di persone, di sicuro avvisate da Plaisir, avrebbero visto quella scena e la colpa sarebbe naturalmente ricaduta su Harminius. Questi sembrò svegliarsi al rumore dei passi e si fiondò verso di me, con un vigore incredibile mi prese per il vestito: “Mikael devi assolutamente scappare, tu non hai colpa di questo, ho sbagliato e devo pagare per la mia colpa…ma tu devi fuggire!” – la via di fuga non era difficile da trovare, la finestra affacciava verso la strada e ci trovavamo a soli pochi metri da terra, ma non avevo intenzione di lasciarlo: “ Harminius abbiamo una spada, possiamo difenderci..” – “E uccidere quelle povere persone? No Mikael, non è questo che ti ho insegnato in questi anni, vai adesso e rendimi fiero di te.”- con una forza incredibile mi sentì lanciare verso la finestra e adesso ne sono ancora più sicuro mi sembrò di vedere Harminius sorridere ma con gli occhi resi lucidi dalle lacrime. Dopo aver rotto la finestra caddi sulla strada, appena toccai terra sentii una fitta lancinante, mi ero rotto un braccio, ma questo era nulla, dalla finestra sentivo delle urla…era stato preso e chissà a cosa sarebbe dovuto andare incontro adesso, non mi potevo disperare, mi sollevai e cominciai a correre verso casa, sarei andato lì a prendere la mia spada, e avrei salvato la vita del mio maestro a qualunque costo. La strada mi sembrò interminabile e il tempo infinito, ad ogni passo il braccio mandava lampi di dolore, e la vista cominciava a farsi appannata, ma dovevo resistere, il pensiero di Harminius maltrattato come se fosse un criminale e quel bastardo di Plaisir in libertà mi donava nuove forze. Aprii la porta di casa e mi lanciai verso le scale. Già il mio pensiero mi vedeva proiettato sui primi scalini, ma in realtà mi trovavo per terra, con il naso rotto e la testa che pulsava, qualcosa mi aveva fatto cadere e avevo sbattuto il viso sulle scale. Con un enorme sforzo mi voltai, avevo la vista appannata, non vedevo nulla, ma riconobbi chiaramente il viso di Plaisir che mi guardava ridendo e l’ometto che ci aveva accolto che felice muoveva il piede che mi aveva fatto cadere in quel modo, l’ultima cosa che vidi fu lo stivale di Plaisir alzarsi e colpirmi il viso, poi il buio.
Ricordo che sognai ancora una volta mia madre, ma questa volta piangeva sulla tomba di Harminius, a quell’immagine aprii gli occhi, era tutto buio, mi trovavo nelle cantine segrete della casa, erano praticamente irraggiungibili se non conoscevi il passaggio segreto, e inoltre erano del tutto insonorizzate, il maestro le utilizzava per i suoi riti ed esperimenti; non riuscivo a muovere un muscolo, le gambe erano come pietrificate, e lì in alto, in cima alle scale, c’era Plaisir, seduto sui primi scalini stava fumando una sigaretta e mi guardava: “Alla fine il tuo maestro sembra destinato ad una brutta fine eh? Chissà che gli faranno…gogna, ghigliottina o rogo….WAMP un'unica enorme fiammata”- a quelle parole gli s'illuminarono gli occhi: “Ma non temere, lo raggiungerai tra poco, non te ne sei ancora accorto ma ti ho rotto entrambe le gambe, ma anche per questo non c’è problema, perché tra poco arriverà il dolore e avrai tutto il tempo che vuoi per assaporarlo, ti saluto chien”. – Si alzò e chiuse la porta, sentì la serratura scattare, e la pesante sbarra scendere; ero destinato a morire nel peggiore dei modi, sarei morto di stenti, senza cibo né acqua, dopo di questo non ricordo più nulla. Ricordo solo che mi svegliai per i crampi allo stomaco, morire di fame è qualcosa di terribile, senti le forze mancarti sempre di più mentre la fame cresce inesorabile, avevo le labbra completamente spaccate e sentivo la gola arida e secca. Ma il peggio erano le gambe, ad ogni respiro urlavo dal dolore. Non sapevo come ma non ero rassegnato a lasciarmi andare, forse era per la paura di dover incontrare mio padre o per semplice istinto di sopravvivenza, per rimanere sveglio cominciai a contare le grosse pietre che formavano i muri; erano 8720, ed era già la terza volta che ricominciavo a contare quando notai una roccia diversa dalle altre, sembrava meno consumate. Cominciai a strisciare facendo perno con l’unico braccio che mi era rimasto pregando che il dolore e la fame non mi facessero svenire ad ogni passo. La roccia distava 5 passi da me, ci misi 1 ora a raggiungerla, ricordo ancora che persi i sensi 3 volte prima di poterla toccare. Mi fu subito chiaro che non era fissata al muro, la spostai e cadde con un tonfo. Dietro c’era un panno di velluto rosso che avvolgeva un libro, tirai fuori il libro e lo osservai.     [ avanti » ]

di Conte Drakul